Corriere della Sera, 22 novembre 2024
Il vedovo ricorda Anna Kanakis
Anna Kanakis se ne andava un anno fa, il 20 novembre, a soli 61 anni, vinta da un linfoma di cui non aveva mai parlato pubblicamente, nonostante una vita vissuta sotto i riflettori, fra cinema, tv, libri. Pochi mesi e avrebbe festeggiato vent’anni di matrimonio, invece, oggi, Marco Merati Foscarini arriva al nostro appuntamento accompagnato solo da Gulla, la loro cagnolina. Me la presenta, dice: «Negli ultimi sette mesi in cui Anna è stata a casa malata, ha dormito tutte le notti sotto il suo letto». Sotto il braccio, ha una foto in cornice che ha staccato dal muro di una trattoria romana per portarcela: «Ce l’aveva fatta Rino Barillari, il paparazzo. Ho chiesto al ristoratore di regalarmela. Ci tengo tanto perché, qui, Anna ride in un modo che era tutto suo: la guardi, sembra una ragazzina...». Con loro due, nella foto, c’è Gaddo Della Gherardesca, l’unico a cui il banchiere erede di un doge di Venezia aveva raccontato della malattia della moglie: «A qualcuno dovevo dirlo. Per condividere il peso. Gaddo è un amico vero, quando veniva a Roma, stava a casa da noi. Anna gli voleva bene e lui la chiamava Anita».
Quel 20 novembre, lei era preparato?
«In parte, perché me l’avevano detto. Però la speranza nel miracolo ce l’hai sempre. Anna aveva scoperto di avere un linfoma nel 2018, facendo un esame del sangue di routine. Dopo, per due volte, la malattia era andata in remissione. Abbiamo fatto viaggi, vacanze, aveva scritto il suo ultimo libro. Era stata bene».
Come aveva reagito alla diagnosi?
«Con grande coraggio. E preoccupandosi soprattutto degli altri. Al pronto soccorso ematologico del Policlinico Umberto I di Roma ci sono tre targhe che la ricordano. È una struttura geniale, riservata ai pazienti con malattie del sangue, ma è pubblica, ha poche risorse e Anna ha rifatto tutto il reparto, dove fra l’altro è mancata. Quella sera, ha chiesto lei di andare. Ha chiamato il professor Maurizio Martelli che ci è sempre stato vicino con professionalità e cuore e gli ha chiesto di ricoverarla».
Come aveva vissuto quegli ultimi mesi sapendo che non c’era più nulla da fare?
«Non lo sapeva. A ogni visita, chiedeva che probabilità avesse e andava avanti. Confidava nella terapia. Però, dieci giorni prima di morire, aveva cambiato il testamento. Forse aveva capito, ma non lo diceva, per proteggere me. E aveva detto al professore: se ha altre cose che posso fare per il reparto, me lo dica».
Che cosa aveva cambiato nel testamento?
«Da poco era nata una bimba, figlia di mia nipote, e lei se n’era innamorata. Sofia Nicla, detta: Pupazza. Nei suoi ultimi giorni, le uniche chat che Anna guardava erano quelle con le foto di Pupazza. Le ha lasciato la casa al mare, amatissima, di Porto Santo Stefano. Il testamento, invece, lo aveva fatto dopo aver saputo della malattia, lasciando il ricavato della vendita dei suoi gioielli alla Fondazione Veronesi e alla Fil, la Fondazione italiana linfomi».
L’asta si farà il primo dicembre a Montecarlo da Wannenes. Che donna raccontano quei gioielli?
«Era la sua collezione. Aveva questa passione. Prima che ci sposassimo, faceva un film, metteva da parte un po’ di soldi e si comprava degli orecchini o un bracciale. Tutti particolari, eleganti. Ma lei era elegante anche se metteva dei birlocchi grandi così».
(Merati Foscarini scorre una galleria di foto sull’iPad. C’è Anna al pianoforte con degli orecchini in oro e brillanti, ci sono lui e Anna in abito da sera e lei con dei pendenti in diamanti, c’è Anna con un bracciale comprato in uno dei tanti viaggi a Bali e un altro comprato insieme sul Ponte Vecchio a Firenze. C’è una foto col bracciale del gioielliere greco Lalaounis, comprato a Corfù in viaggio di nozze...).
Vi siete conosciuti e sposati in quattro mesi, 42 anni Anna, 57 lei. Cosa vi aveva unito?
«La complicità. L’ho scritto nel mio necrologio, parlavamo di tutto, sempre, senza fermarci mai».
L’ha conosciuta quando era la star di tante fiction, mentre lei viveva nella più riservata alta finanza. Non erano distanti quei mondi?
«L’ho seguita sui set, in Umbria, in Tunisia, ovunque, mi divertiva conoscere quell’ambiente. E ho scoperto di avere un sacco di amici, banchieri e affini che la guardavano in Vento di Ponente. Stare sempre insieme in entrambi i mondi era naturale. E la prima volta che mi ha accompagnato a una cena, a un concerto di Zubin Mehta organizzato da Generali a Firenze, siamo entrati, c’erano tutti i personaggi più importanti della finanza italiana, ma i fotografi erano tutti per lei».
Al «Corriere», Anna raccontò che, quando uscì il suo primo romanzo, sull’ultimo scandaloso amore di George Sand, andava in onda in una serie da otto milioni di ascolti, «La terza verità», ma l’emozione di vedere stampato il suo libro fu tale che chiamò il suo agente e gli disse di non mandarle più copioni. Le aveva chiesto consigli?
«Consigli no. Disse: mi do alla scrittura perché è la cosa giusta per me e mi dà di più. Chiamava i suoi libri: i miei bimbi di carta, erano qualcosa che partoriva lei, non c’era regista, sceneggiatore... L’ultimo, Non giudicarmi, sul barone Jacques d’Adelswärd-Fersen e la fatica esistenziale di essere omosessuale negli anni ’20, l’ha portata a battersi tanto per i diritti civili. È stato il suo ultimo atto di altruismo».
Nel suo ultimo giorno, siete riusciti a salutarvi?
«Ero lì con lei. Lei non voleva che stessi lì. Mi ha detto: vai via. Non me ne sono andato».