Corriere della Sera, 22 novembre 2024
Bibi assediato dai giudici si affida all’amico Trump
GERUSALEMME Lo chiamano «decreto per l’invasione dell’Aia» e autorizza il presidente americano a «ordinare tutte le misure necessarie e appropriate» per liberare militari statunitensi detenuti o arrestati su mandato della Corte penale internazionale. Prende il nome della città olandese dove ha sede il Tribunale, ma può essere applicato in tutti i Paesi che aderiscono ed estende la sua protezione agli alleati: quindi anche a Benjamin Netanyahu. In teoria e sempre più in pratica con il passare delle settimane verso l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca: è all’amico americano che il premier israeliano si starebbe già affidando per nullificare i mandati di cattura emessi contro di lui e Yoav Gallant, l’ex ministro della Difesa. Spera che Trump eserciti pressioni anche sulle nazioni aderenti perché non eseguano gli ordini di arresto. Adesso che Yoav Gallant è stato cacciato da Bibi, com’è soprannominato, gli assistenti raccontano che l’ex generale si presentava alle riunioni del consiglio di guerra con l’avvocato. Proprio perché voleva proteggersi dalle decisioni del capo del governo: Gallant non pensava all’Aia, teneva lo sguardo più vicino a casa e si premuniva in vista di una commissione di Stato israeliana che investigasse gli errori strategici precedenti ai massacri del 7 ottobre e sulla gestione del conflitto. Gallant sta prendendo le distanze da quello che sembra ormai delinearsi come il piano della coalizione di estrema destra al potere per mantenere il dominio militare sul nord di Gaza, un primo passo verso la ricostruzione delle colonie nella Striscia dopo l’evacuazione ordinata da Ariel Sharon nel 2005. Ogni scontro – locale o internazionale – crea l’occasione per i ministri più oltranzisti di rafforzare il progetto di annessione, non solo della Striscia: «La nostra risposta ai giudici dell’Aia deve consistere nel prenderci la Giudea e la Samaria», come indica con i nomi biblici la Cisgiordania, controllata da Abu Mazen il presidente palestinese. Bezalel Smotrich, ministro della Finanze e anche lui rappresentante dei coloni, invoca di causare «il collasso dell’Autorità palestinese». Il «ricercato» Netanyahu, così ormai lo definisce Amnesty International, ha mobilitato Gideon Sa’ar per raccogliere sostegni globali: il neo-ministro degli Esteri ieri ha chiamato i colleghi internazionali, proprio lui che se n’era andato dal Likud accusando il partito di «culto della personalità» verso quel Bibi che ora esalta al telefono. Il premier in questi giorni si districa anche tra le richieste dei giudici israeliani. La Corte Suprema ha respinto l’appello dei suoi difensori di rinviare ancora una volta la testimonianza del premier al processo per corruzione e abuso d’ufficio. Bibi deve presentarsi in aula il 2 dicembre e non sono bastate come in passato le scuse legate alla gestione della guerra.
I suoi consiglieri starebbero premendo sullo Shin Bet perché emetta un parere negativo per ragioni di sicurezza sulla presenza del leader in aula. Le voci sul licenziamento di Ronen Bar, il capo del servizio segreto interno, sarebbero legate proprio alla volontà del superpoliziotto di non cedere alle pretese di Bibi.