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 2024  novembre 21 Giovedì calendario

Di cosa parliamo quando parliamo di Ozempic

Immaginate un mondo di magri. Con meno diabete e meno infarti. Ma anche con meno artriti, meno Alzheimer e un sacco di altri “meno” che in totale farebbero un grande “più” nella contabilità di salute del Pianeta. Less is more, è il caso di dire. Poi googlate “semaglutide” e vi accorgerete che quel mondo è già iniziato. Anche se in Italia ce ne siamo accorti meno che in America, dove la febbre da Ozempic – dal nome commerciale di uno dei molti derivati del principio attivo – ha contagiato tanta gente che non aveva strettamente bisogno di prenderlo. Da Elon Musk ad attori e riccastri vari che volevano solo liberarsi in fretta di qualche chilo. Nonostante un discreto numero di uscite complottiste del «supergenio», come da immediato conio trumpiano, però una cosa va chiarita subito: questa nuova classe di farmaci funziona alla grande per le sue indicazioni primarie, ovvero diabete e obesità. Ed è già tantissimo. Ma è anche abbastanza per giustificare una recente copertina del generalmente cauto Economist
accanto al titolo “Il farmaco per tutto”? La scienza medica e i miracoli dovrebbero giocare in campionati diversi. Eppure anche i titolisti di Nature si son lasciati andare a un “Come i farmaci ‘miracolosi’ per la perdita di peso cambieranno il mondo” in un articolo che, per onestà, introduce anche un certo numero di ombre sulla generalizzata promessa salvifica. “Non ridere né piangere, ma comprendere” ammoniva Spinoza. Con incrollabile fiducia nella medicina, ma per il possibile a ciglio asciutto, tentiamo di fare ordine in un dibattito surriscaldato.
alla ricerca  del peso perduto
Partiamo dalle fondamenta. Parliamo di una classe di farmaci, scoperti una trentina d’anni fa da un signore che incontreremo a breve, per il trattamento del diabete di tipo 2, quello più spesso di origine alimentare. Si chiamano “agonisti dei recettori del GLP-1” perché imitano l’azione di un ormone naturale chiamato peptide-1 simil-glucagone. Che fa essenzialmente due cose: stimola il pancreas a rilasciare insulina, che abbassa i livelli di zucchero nel sangue, e sopprime la produzione di glucagone, l’ormone che li aumenta. Questa è la duplice azione importante per i diabetici. Poi si è visto che chi li assumeva dimagriva anche. Perché, interferendo con i recettori del GLP-1 nel cervello, riducevano la voglia di cibo e davano una sensazione di sazietà. Accresciuta rallentando la velocità con cui il cibo si muove nell’intestino. Ed è così che la fama ottenuta col diabete, che riguarda globalmente quasi 500 milioni di persone, è stata eclissata da quella per la perdita di peso. A partire dagli Stati Uniti, dove 3 persone su 4 sono sovrappeso e 4 su 10 obese. Per poi tracimare nel resto di un mondo che, stando all’ultimo rapporto della World Obesity Federation, potrebbe trovarsi con più di metà della popolazione grassa o grassissima entro il 2035.
Sì, perché i trial clinici dimostrano che con la semaglutide si perde, in un annetto, dal 10 al 15 per cento del peso corporeo. Con la tirzepatide, un’altra molecola della stessa classe (oltre alla liraglutide), si arriva anche al 25 per cento, risultato che rivaleggia con la chirurgia bariatrica. Con la differenza che quella è un’operazione importante, mentre questa è un’iniezione una
olta alla settimana – in attesa della versione per bocca su cui stanno lavorando. La Food and Drug Administration nel giugno del 2021 ha quindi approvato il Wegovy, il dosaggio più alto dell’Ozempic (entrambi prodotti dalla danese Novo Nordisk) che è invece indicato per il diabete, anche se il suo nome ha battezzato tutto il settore. Mentre l’anno scorso l’americana Eli Lilly ha messo sul mercato le sue versioni, rispettivamente Mounjaro e Zepbound, che agiscono su due ormoni contemporaneamente. E già si candidano a scalzare il loro Prozac dalla classifica dei farmaci di maggior successo commerciale. In Italia le versioni per il diabete, con un dosaggio minore, sono rimborsate dal Servizio sanitario. Mentre quelle per l’obesità no: se uno le vuole, ovviamente dietro prescrizione medica, dev’essere disposto a pagare tra i 200 e 300 euro al mese. Se però oltre a essere grasso hai la glicemia e il colesterolo alti, e ti si può definire pre-diabetico, ecco che allora puoi farti passare il farmaco. E, tra le altre cose, dimagrirai. Fine della premessa.
ne abbiamo tutti bisogno?
Il gagliardo settantanovenne Jens Juul Holst è il fisiologo dell’università di Copenaghen che nel 1993 scoprì che il GLP-1 aveva un ruolo rilevante nel diabete di tipo 2. Prima di capire, assieme ad altri con cui ha condiviso premi internazionali, che funzionava anche da interruttore della sazietà. Conto molto sulla sua serietà scandinava, la stessa che lo spinse a non brevettare la sua scoperta («da socialista l’importante era la ricerca, non i soldi»), per compensare il bias positivo nei confronti del farmaco miliardario che ne è derivato. Dice: «Più della metà dei pazienti trattati con la tirzepatide vanno in remissione, guariscono. E, come dimostra lo studio Surmount-1, anche tre anni dopo non lo sviluppano più. Mentre, versante obesità, in 88 settimane si arriva a perdere fino al 26 per cento del peso. Un risultato stupefacente». Quanto alle altre promesse (tipo l’Alzheimer) sarebbero compatibili col fatto che «riducendo il cibo si riduce anche l’infiammazione causa di tante malattie». Ma da qui a darlo a metà della popolazione mondiale che presto potrebbe essere sovrappeso, ce ne corre: «In Danimarca, a giudicare dalle prescrizioni, sembravano diventati tutti diabetici. E in sei mesi il sistema sanitario era rimasto senza una corona. Tant’è che le regole sono state cambiate e, da pochi giorni, nonostante il prezzo sia stato abbassato a 400 euro al mese (meno di metà che in America ma assai più che in Italia, ndr), il rimborso non è più automatico. I prezzi scenderanno perché tanti stanno sviluppando i generici, ma serve comunque ragionevolezza». Fermo re tando che vari studi dimostrerebbero che pazienti che han fatto l’operazione di riduzione dello stomaco allungano di nove anni l’aspettativa di vita. E lo stesso, dice Holst, varrebbe per analogia per i dimagriti via GLP-1.
Un entusiasmo quasi superiore lo dimostra il professor Silvio Buscemi, presidente della Società italiana dell’obesità. Da zero a dieci che voto darebbe a questa classe di farmaci? «Dieci. Li aspettavamo da cent’anni, dopo tanti fallimenti con altrettanti trattamenti» esordisce. Mancava uno strumento efficace per i 6 milioni di italiani obesi che non riescono a modificare le loro abitudini alimentari. Ora c’è». Ufficialmente da giugno, nel dosaggio anti-obesità, ma in pratica da prima nella formula per il diabete. Buscemi cita lo studio Select, finanziato da Novo Nordisk, che parla di una riduzione del 20 per cento del rischio d’infarto per chi è ad alto rischio. Poi, insistendo, riesco a estrarre qualche parola di cautela: «Non è un farmaco cosmetico. Va gestito sotto osservazione medica e non va mai disgiunto dal cambiamento della dieta. Gli effetti collaterali iniziali, prevalentemente nausea, vomito, diarrea, nella mia esperienza non l’hanno fatto so
spendere a nessuno». Si era parlato anche di tendenze suicidarie, ma sembra un allarme rientrato. La sua vera preoccupazione è che a Palermo, dove insegna e cura, «molti pazienti che se lo meriterebbero non possono permetterselo e ciò aumenterà le disuguaglianze di salute. Tanta gente abbandona per i soldi».
pareri a confronto
Quella dell’alto tasso di dropout, l’abbandono della cura, è tra i principali argomenti dello scetticismo di Valter Longo. Il direttore del Longevity Institute alla USC di Los Angeles è l’inventore della dieta mima-digiuno che punta a ottenere gli stessi effetti benefici del digiuno senza astenersi completamente dal cibo. Cita due studi di Prime Therapeutics, che si occupa di efficacia dei farmaci, che metterebbero una forte ipoteca sulla sostenibilità della cura: «Dopo un anno, 7 pazienti su 10 la abbandonano. Dopo due anni l’85 per cento. Non sappiamo perché, ma praticamente tutti». E poi: «Metà della perdita di peso coinvolge la massa bianca, i muscoli (ogni dimagrimento lo fa, obietta Holst, ndr). Anche la densità delle ossa ne risente. Per tacere delle ischemie del nervo ottico, triplicate. Sono stato invitato da Google per una conferenza sui temi della salute. Prima di me l’amministratore delegato di Blackrock parlava di questi farmaci come wonder drugs. Io ho ricordato che il vero miracolo è la dieta che non ti rende schiavo di una medicina a vita e non ha nessuno di questi effetti collaterali. Su duemila e rotti pazienti che abbiamo visto nella mia Fondazione, in un paio di anni li abbiamo riportati a pesi normali quasi tutti». La sua critica ha anche una parte pedagogica: «Sono farmaci che deresponsabilizzano. È come dire che vogliamo bambini istruiti senza investire sugli insegnanti. Servirebbe un grande sforzo sulla prevenzione ma l’Italia non lo fa».
Un approccio severo ma giusto che ritroviamo anche nel decano dei farmacologi italiani, Silvio Garattini. «Contrastando il diabete, la semaglutide riduce il rischio delle complicazioni cardiovascolari che ne derivano. Però sono farmaci a vita, e se interrompi riprendi il peso. A meno che tu abbia imparato ad assumere un numero di calorie adeguato» dice questo scattantissimo novantaquattrenne che va avanti con una tazza di caffè a colazione, una spremuta d’arancia a pranzo e una parca cena: «È certamente utile per i veri obesi. Ma se hai solo qualche chilo in più, è ridicolo prendere farmaci: basta mangiare di meno. Il medico dovrebbe optare sulla prevenzione, però questo va contro il mercato». Intende dire che lo prescrivono troppo? «Con questi numeri di vendite significa che lo prescrivono a tutti. Altrimenti non si spiega».
l’iniezione, che scocciatura
Ricapitolando: c’è del buono e ci sono dei rischi. Come in tutti i farmaci. L’avevano già presente duemila anni fa quando pharmakon voleva dire medicina o veleno a seconda del contesto. Chiedo a Cesare Sirtori, tra i padri della metformina, se sente minacciato il primato della sua compressa contro il diabete: «Ma figuriamoci! Costa 4 euro al mese, e in molti stanno studiando sue potenzialità anti-aging, mentre il Rybelsus, a base di semaglutide, quasi 50 volte tanto. Detto questo, quei farmaci non sono male, al netto del fatto che è sempre scocciante doverli iniettare. E che abbiamo ancora un’esperienza clinica molto limitata. Ho visto di recente una signora che è stata ricoverata una settimana per valori tutti alterati, enzimi epatici sballati e un’iniziale pancreatite. In ogni caso, solo per dimagrire il Ssn non lo passerà mai. In America le assicurazioni private pagano tutto, ma poi il sistema collassa. Ho anche visto una signora diabetica tutta contenta per essere passata da 120 a 105 chili: ne valeva la pena? Non so».
Meno tranciante il celebre diabetologo dell’università di Pisa Stefano Del Prato. Reputa «incontrovertibili i benefici molto importanti per diabete, protezione cardiovascolare e anche insufficienza renale» e aggiunge che sin qui erano «inimmaginabili» per chi non fosse disposto a sdraiarsi su un tavolo operatorio. Però, c’è sempre un però nei discorsi non promozionali: «Se smetti riprendi peso. I costi sono sostenibili? L’esperienza è limitata, serve una sorveglianza attiva». Per lui Ozempic & Co. sono soprattutto una straordinaria opportunità per «reset resettare lo stile di vita», dimagrire quei chili che ti fanno vedere allo specchio una figura inedita al punto da voler fare di tutto, anche senza farmaci, per restare così. Mentre gli usi off label, ovvero prendere il dosaggio anti-diabete ma per dimagrire, sono un modo per dirottare un salvavita da chi ne ha un bisogno essenziale verso chi ha solo la possibilità di pagarlo.
ricchi e poveri
Qui è dove la medicina cede il passo alla sociologia prima e all’economia poi. «Più si scende di classe sociale, più cresce il peso» semplifica Antonio Maturo, autore del recente Il primo libro di sociologia della salute (Einaudi): «In questo quadro che peggiora di anno in anno, l’idea del farmaco miracoloso è attraente. Sia per i malati, per cui la soluzione basata sull’autodisciplina non è mai stata semplice. Che per le istituzioni. Le quali, invece di impegnarsi in complesse politiche per città e stati wellness, che incoraggino il movimento e la prevenzione, scaricano tutto su un farmaco privato». Col serio rischio di radicalizzare ulteriormente la differenza tra grassi e magri. E rimoralizzare un divario che spesso ha a che fare con reddito e istruzione. Motivo per cui le signore che all’alba incrocio a fare le pulizie in università, tendono tutte all’obesità perché non hanno tempo di andare in palestra né soldi per cibarsi di mirtilli». L’interessante paradosso che già si intravede è che un’epidemia di origine capitalistica, in cui le classi subalterne non hanno altra scelta che cibarsi di schifezze ingrassanti a buon mercato, venga curata dall’ennesimo ritrovato di Big Pharma. Basti pensare che la capitalizzazione di Novo Nordisk vale già più di tutto il Pil della Danimarca. Gli analisti finanziari prevedono per i farmaci antiobesità una crescita, entro il 2032, di dieci volte l’attuale mercato globale da 47 miliardi di dollari. Se le farmaceutiche festeggiano, non così i colossi alimentari. Che succederà se alla gente passa l’appetito? Morgan Stanley ipotizza una riduzione di consumo di calorie dell’1,3 per cento negli Stati Uniti entro dieci anni. Il ceo della catena di ipermercati Walmart ha messo in relazione il calo nelle vendite di cibo a ottobre con Ozempic e simili. Mentre un’aerolinea statunitense ha chiesto agli esperti di Jefferies di modellare gli effetti che un dimagrimento generalizzato della popolazione potrebbe avere sui loro conti: 4 chili in meno a testa si tradurrebbero in 100 milioni di litri di cherosene risparmiati all’anno. L’obesità ha un costo. Quello sanitario è solo il più visibile. Alcuni politici americani, tra cui il vecchio Bernie Sanders, hanno commissionato un’analisi che dimostra come Novo Nordisk continuerebbe a fare profitti anche vendendo i suoi due farmaci di punta a 5 dollari al mese. Ora sul cartellino il prezzo è nei dintorni di 1.000. L’unica certezza è che, nel mondo dei magri, alcune tasche diventeranno più grasse che mai.
 
 
 
 
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