Il Messaggero, 21 novembre 2024
Ue, i retroscena dell’Ursula-bis
BRUXELLES – A piedi nudi, sorridente, sulla spiaggia di Copacabana. Mentre gli eurodeputati, a decine di migliaia di chilometri di distanza, si arrovellavano sugli ultimi dettagli per dare il via libera definitivo a Teresa Ribera e Raffaele Fitto, e con loro all’intero pacchetto di vicepresidenti esecutivi, sui profili social di Ursula von der Leyen correvano ben altre immagini, lontane dalla grisaglia (e dal grigiore climatico) brussellese. È la scelta (significativa) di una presidente della Commissione che – al termine della settimana da lunghi coltelli che ha messo a serio rischio la sua euro-maggioranza – ha tenuto la bocca cucita, lontano dalle polemiche, e ha fatto le valigie per il G20 di Rio de Janeiro (da medico, sul volo di ritorno, ha pure soccorso un passeggero che ha avuto un malore). Pur mantenendo il telefono acceso e i numeri di leader e capigruppo in alto nella rubrica con l’obiettivo di scongiurare il peggiore degli incubi: un rinvio dell’insediamento dell’esecutivo al 2025 proprio nel momento in cui l’Europa vuole mandare un segnale forte alla futura amministrazione americana a guida Donald Trump. Il continente, invece, era tornato a dividersi seguendo il più tradizionale dei copioni e anche la più classica delle ragioni: la politica nazionale.
Il blitz dei popolari spagnoli per chiedere la testa di Ribera aveva assunto, all’ultimo miglio della trattativa, le sembianze di una formuletta giuridica da inserire nella lettera di conferma, ma aveva rischiato di far saltare il banco, con gli eletti del Partido Popular, ferocemente all’opposizione a livello nazionale (di un governo con numeri risicatissimi), che dopo aver forzato la mano del gran capo del Ppe Manfred Weber sulla vicepremier uscente di Madrid avevano minacciato di negare alla Commissione i voti in plenaria. Mostrando delle fratture interne allo stesso partito di maggioranza relativa, dove alcune delegazioni – polacchi, greci e irlandesi – stavano perdendo la pazienza per le manovre dei compagni di cordata. E altri, tra cui il leader di Forza Italia Antonio Tajani, a fare da pontieri nel tentativo di trovare una soluzione al rompicapo. Sullo sfondo, la fiducia ormai ai minimi storici tra Ppe e S&D, con Weber determinato (anche perché sul punto il “patto della legislatura” non dice volutamente nulla) a continuare con la politica dei due forni e con le aperture a destra e all’estrema destra sui singoli dossier (un esempio è stato, appena una settimana fa, il rinvio del regolamento contro la deforestazione extra-Ue) che irritano fette del Ppe. E che avevano fatto, inevitabilmente, traballare non solo la maggioranza “Ursula” ma pure l’inizio del secondo mandato di colei che ha dato il nome a delle larghe intese diventate a Bruxelles sempre più strette. Non è un mistero che i rapporti tra i due connazionali Weber e von der Leyen siano tutt’altro che idilliaci, e la scommessa del bavarese è spostare sempre un po’ più a destra l’asse politico Ue ma anche nella stessa Germania di comune provenienza, dove a febbraio si andrà al voto anticipato. Con dei contraccolpi destinati a sentirsi anche nei palazzi europei