La Stampa, 21 novembre 2024
Charlie Hebdo cerca vignettisti per ridere di Dio
Nelle ultime settimane in giro per il mondo si sono svolte delle competizioni molto divertenti di “lookalike”, cioè di sosia. A New York Timothée Chalamet si è presentato a sorpresa durante la gara, la controfigura di Jeremy Allen White di lavoro fa lo psicoterapeuta, ma adesso la questione pare essere sfuggita di mano. Charlie Hebdo ha lanciato una gara per il miglior sosia di Dio, ed è probabile che a vincere sarà una pagina bianca. Il settimanale satirico francese ha indetto questo concorso di caricature dal titolo “Ridere di Dio”.Sembra passato un secolo da quando eravamo tutti Charlie Hebdo, cosa che non era vera perché nessuno di noi è mai stato disposto a morire per una battuta, però ci piaceva tanto dirlo. Da quel momento l’esibizione pubblica della virtù è passata da hashtag a morale comune: le scritte sulle mani per dirsi a favore di un decreto-legge o contro la violenza sono le nuove stigmate, sgranando rosari di slogan che suonano bene. Negli ultimi anni Dio è scomparso dal discorso pubblico, ma il declino delle religioni ha solo prodotto altre religioni, altri culti, altre chiese. Il guaio è che queste religioni laiche, dichiaratamente tolleranti, inclusive e accoglienti, se potessero ti farebbero tagliare la testa per una battuta; c’è di buono che andando in psicoterapia per un mignolo contro lo spigolo è difficile che imbraccino un fucile. Per il momento, si limitano a farti licenziare.Non vorrei fare spoiler su Il nome della rosa, ma già lì ridere non era visto benissimo, perché «Cristo non rideva mai». Negli Usa diversi comici sono stati oggetto di grandi polemiche, boicottaggi, tentativi di cancellazione, aggressioni. Dave Chappelle, forse il più famoso stand up comedian americano, è stato assalito da un uomo durante un suo spettacolo a Los Angeles. Dopo l’aggressione, Chris Rock è andato sul palco e ha chiesto: «Era Will Smith?». Quando agli Oscar Will Smith diede uno schiaffone a Chris Rock perché aveva fatto una battuta sulla moglie, la reazione più comune è stata: beh, ma non viene dal nulla.Ecco, quello che dovrebbe preoccuparci è una certa tolleranza verso atti violenti nei confronti di chi non ci piace, una tolleranza con uno spettro che va da «dipende dal contesto» a «che cosa si aspettava?». Si può ridere di tutto, si dovrebbe ridere di tutto, compreso Dio. Ci sono tante cose che dovrebbero offenderlo, e tra queste non c’è l’ironia, compresa quella brutta. Le parole sono parole, poi io capisco che sono anni che ci ripetiamo che le parole sono come le botte, ma tra sentirsi feriti ed esserlo c’è una linea che tutti dovremmo tenere presente. Nonostante l’incremento notevole di stand up comedian nel mondo, e nonostante facciano ridere in tre, nella vita reale si può trovare una misura con chi ci sta intorno, perché nella vita quotidiana noi non siamo Charlie. L’attentato terroristico di matrice islamica alla sede di Charlie Hebdo è stato un trauma collettivo, ma che io ricordi è il primo trauma dove qualcuno ha iniziato a scrivere «ma» dopo «nessun attentato è giustificabile». Il Guardian dopo l’attentato decise di non pubblicare le vignette di Hebdo scrivendo: «Difendere il diritto di qualcuno di dire quello che vuole non vi obbliga a ripetere le sue parole». La libertà di espressione consiste anche nel dire che alcune vignette di Hebdo sono orrende, che comunque rimane una posizione innocua. Sono decenni che ci si interroga sui limiti della libertà di espressione, ma dubito che in questo momento storico arriverà qualcuno a formulare un illuminato teorema. Nel primo anniversario della strage, Charlie Hebdo pubblicò una vignetta che raffigurava Dio con la tunica insanguinata e un kalashnikov, con la didascalia: «Un anno dopo, l’assassino è ancora in libertà». Sarà difficile fare meglio di così. —