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 2024  novembre 21 Giovedì calendario

Ehud Olmert difende il Papa e attacca Netanyahu

«Da quello che ho letto, il Papa non ha espresso alcun giudizio sulle condotte di Israele a Gaza, ma una sua legittima preoccupazione». Spiega così, Ehud Olmert, ex premier israeliano, la polemica scaturita in Israele dalle parole di Francesco, contenute nelle anticipazioni del suo libro rivelate da La Stampa, nelle quali chiede un’indagine per verificare se a Gaza ci siano stati atti di genocidio. «Ho letto che il Papa ha detto che dovrebbe essere aperta un’indagine per scoprire se ci siano crimini contro l’umanità o genocidi commessi da Israele a Gaza. Riflette la sua preoccupazione ma non ha espresso alcun giudizio su Israele o se abbia effettivamente commesso qualcosa, ha detto che deve essere indagato».Lei, il mese scorso, ha incontrato il Papa, al quale, insieme all’ex ministro degli esteri palestinese Nasser Al-Kidva, ha presentato un piano di pace che prevede anche la soluzione a due Stati. Che le ha detto a riguardo di ciò che accade nella Striscia?«Mi ha confidato che era molto preoccupato per la situazione a Gaza e per il dolore, il disastro che accade a un gran numero di cittadini. Quanto ha espresso nel libro, penso che rifletta la sua preoccupazione per gli atti che mettono a repentaglio la vita di molte persone innocenti. Il suo pensiero dovrebbe essere accettato così com’è stato detto. Non dobbiamo accusare il Papa di nulla che vada oltre questo».Signor Olmert, lei ha mostrato più volte insofferenza verso Netanyahu, le sue scelte, il suo governo, alcuni membri dello stesso. E ha più volte detto di non condividere la gestione del conflitto. Perché dopo più di un anno non si è vicini alla fine?«Non ci siamo perché Israele non vuole porre fine alla guerra a Gaza. Israele vuole continuare la guerra indefinitamente, a causa di molti tipi di considerazioni del primo ministro, che non capisco. E se le capissi, non sarei d’accordo».Gli Stati Uniti hanno cambiato amministrazione. Crede che l’arrivo di Trump possa cambiare qualcosa anche per il Medio Oriente?«Che cosa possiamo aspettarci da Trump? È presuntuoso e di vasta portata, suggerire cosa Trump potrebbe fare. Non sono certo che a questo punto sappia cosa vuole fare. Trump è abbastanza imprevedibile in molti modi, è tutto da vedere. Tom Friedman sostiene che la situazione attuale potrebbe offrire un’opportunità a Trump di raggiungere la pace in Medio Oriente, il che gli porterebbe anche il premio Nobel per la pace. Il modo per farlo è essere in grado di costringere Israele a fare i passi necessari con i palestinesi su Gaza e sulla Cisgiordania. Spero che ciò accada. Speriamo Trump legga ciò che ha detto Friedman e che lo prenda sul serio».Se su Gaza siamo lontani, sembra essere più vicino un cessate il fuoco con il Libano. L’inviato americano Hochstein a Beirut e Gerusalemme discute i dettagli di un piano che Hezbollah e i libanesi avrebbero accettato. Lei era premier quando è entrata in vigore la risoluzione 1701. Crede siamo davvero vicini alla soluzione del conflitto attuale?«Spero che Hochstein continui i suoi incontri e che ne venga fuori qualcosa, si arrivi a un accordo ma non sono a conoscenza dei fatti. In base a ciò che sento, credo che ci debba essere un po’ di accomodamento sulle linee di confine e sulle dispute storiche tra Israele e libanesi, cosa che si può fare. Personalmente, ho redatto insieme al generale Sagi, l’ex capo dell’intelligence militare israeliana, una proposta di accordo sulla base della risoluzione 1701 più alcuni aggiustamenti minori sulla linea di confine. E l’ho inviata ai francesi e agli americani. Credo che più o meno stanno negoziando su una base simile».Da più parti si critica la risoluzione che ha messo fine al conflitto libanese nel 2006 come inefficace.«Non posso dire che lo sia stato. Ha funzionato per alcuni anni, finché Hezbollah non ha iniziato a violarla. A quel tempo c’era una forza internazionale efficace che impediva qualsiasi azione di Hezbollah nel Sud del Libano e qualsiasi penetrazione di forze militari o la costruzione di installazioni militari nel Sud del Libano. È un fatto che per più di 17 anni non sia stato sparato un solo proiettile dal Libano al confine con lo Stato di Israele. Quindi, c’è stato un cessate il fuoco completo e una totale assenza di attività violente».E allora che cosa è cambiato?«Probabilmente a un certo punto tra il 2009 e il 2012, Hezbollah ha iniziato a costruire silenziosamente bunker militari per l’accumulo delle sue armi nella parte meridionale del Libano, non lontano dal confine con Israele. E l’8 ottobre 2023 ha invaso completamente l’area e ha iniziato a operare militarmente contro Israele da quei bunker. E, questo, ha ovviamente cambiato tutto».Tornando anche al piano di pace che ha presentato il mese scorso al Papa. Crede che il 7 ottobre abbia cambiato anche la mentalità degli israeliani, condizionandone l’approccio con i palestinesi?«Certo, ha influenzato in modo drammatico l’opinione pubblica israeliana, le emozioni e gli atteggiamenti di molti israeliani. Stiamo tornando a un certo diverso equilibrio. Non dobbiamo solo essere ossessionati dalle lacrime e dalle emozioni per ciò che è accaduto, ma anche dai cambiamenti di ciò che dovrebbe accadere in futuro. Possiamo distruggere Hamas completamente, possiamo uccidere tutti i suoi combattenti e avremo comunque 6.000.000 di palestinesi. Che cosa pensiamo di fare con loro? Rimarremo per sempre occupanti in completo controllo dei palestinesi? O siamo pronti a rivedere le opzioni necessarie e reciproche che ci porteranno verso negoziati significativi e la pace? Questa è la sfida principale che abbiamo». —