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 2024  novembre 21 Giovedì calendario

Linda McMahon, la vincitrice nella battaglia dei think-tanks

NEW YORK - Da ragazza voleva fare l’insegnante ma poi l’incontro col futuro marito, Vince McMahon, la portò altrove. Insieme trasformarono un piccolo gruppo sportivo nel gigante miliardario del wrestling, la World Wrestling Entertainment. Poi l’incontro con Donald Trump nei suoi casinò di Atlantic City: una grande amicizia fin da quando, nel 2007, sul ring Trump si divertì a rapare a zero la testa di Vince.
Ma Linda, 76 anni, nominata ieri da Trump ministro della Pubblica istruzione col mandato di smantellare il dicastero, dopo aver guidato per tre decenni quella federazione ed essersi anche prestata a sceneggiate sul ring nelle quali veniva scaraventata a terra dai campioni o era lei ad abbattere quei giganti con ginocchiate al basso ventre, nel 2009 ha scoperto la politica: due anni nel board of Education del Connecticut, l’organo di governo del sistema scolastico, sua unica esperienza in questo campo. Poi, nel 2010 e nel 2012, due volte candidata, senza successo, al Senato.
Nel 2016, il ritorno in politica al seguito di Trump: 7 milioni di dollari donati alla sua campagna elettorale e il sostegno di personaggi popolari del wrestling come Hulk Hogan. Una volta eletto, Donald l’ha ripagata mettendola a capo dell’agenzia che sostiene le piccole imprese. Nel 2019 Linda lascia il governo. Passa a un incarico più strategico: l’organizzazione della campagna per le rielezione del leader repubblicano. Ma vince Biden.
Quando molti, anche a destra, pensano che Trump sia ormai fuori gioco, McMahon fonda, su suo mandato, l’America First Policy Institute (Afpi): un think tank creato per preparare il secondo atto della presidenza Trump. Lui vuole un piano per sovvertire l’attuale sistema di governo, lo ritiene dominato da un «deep state» che, dalla Giustizia, dai servizi segreti e dal Pentagono avrebbe cercato di defenestrarlo. Un sistema, sempre secondo Trump, «infestato» da una cultura politica della sinistra radicale, quella chiamata woke, dominante in molti ambiti, a partire da scuola e università.
Qui comincia la parte meno pubblicizzata e più importante del lavoro di Linda. Mentre a Washington si danno battaglia vari centri di ricerca della destra che dai tempi di Reagan si contendono il primato nella fornitura ai presidenti di programmi, idee politiche e personale conservatore «doc», l’Afpi lavora sottotraccia. In superficie i vecchi bastioni della destra, l’American Enterprise Institute e il Cato sono ormai fuori gioco: vecchi eredi del freedom conservatism reaganiano, soppiantato dal national conservatism trumpiano. A cavallo tra i due ci sono l’Americans for Tax Reform di Grover Norquist e l’Hudson Institute, ma la vera corazzata del fronte di The Donald sembra essere la Heritage Foundation, passata dalla linea liberale a quella nazionalista e populista sotto la guida dell’ultratrumpiano Kevin Roberts.
Troppo ultrà: prepara per Trump un progetto di governo zeppo di idee radicali, spallate a raffica alle strutture di governo. Ma, anziché tenerlo riservato, Roberts diffonde ovunque il progetto: i democratici estraggono le idee più spaventose o bislacche e le usano contro Trump.
Lui, però, sconfessa subito la Heritage. Può farlo anche perché nel frattempo Linda McMahon, Brooke Rollins, Ceo di America First, e Matthew Whitaker stanno selezionando in gran segreto il personale per la futura amministrazione e preparando un programma che in gran parte ricalca quello della Heritage.
Whitaker ora è stato premiato col ruolo di ambasciatore Usa alla Nato, mentre Linda non ha avuto il ministero promesso, quello del Commercio: Trump l’ha girato, come indennizzo, a Howard Lutnick, uscito sconfitto dalla battaglia per il Tesoro. Per la fedelissima McMahon un incarico minore, con 4.400 dipendenti l’Istruzione è il ministero più piccolo, e difficile da portare a termine: Trump lo vuole abolire ma per farlo serve una supermaggioranza di 60 voti al Senato che non ha. Linda, intanto, spingerà ancora di più per trasferire competenze agli Stati e per ridurre l’istruzione pubblica a favore di quella privata.