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 2024  novembre 20 Mercoledì calendario

Intervista a Claudio Santamaria


«Il mestiere dell’attore può avere una funzione importante, non solo quella dell’intrattenimento. Può risvegliare, può spingere a informarsi, a conoscere. L’arte dovrebbe raccontare il mondo circostante, suscitare domande, anche senza dare tutte le risposte, lasciando però un interesse vivo nel pubblico. Mi è capitato di conoscere persone che hanno modificato il loro modo di pensare su certi argomenti dopo aver visto un film». Volando da un set all’altro (ora è a Barcellona, per girare Idolos, ambientato nel campionato mondiale di moto GP) diviso tra lavoro e famiglia, stando attento a non diventare un divo pieno di paranoie tipo quello che interpretava in Call my agent, Claudio Santamaria ha raggiunto a 50 anni il traguardo di una maturità sana, concreta, che si sposa con l’aria sorniona, senza cancellare il ricordo dei suoi personaggi più avventurosi, Jeeg Robot in testa. Adesso torna di scena nel film di Paolo Costella Una terapia di gruppo, dove interpreta Emilio, ossessionato dal calcolo aritmetico.
Nella vita reale, quali sono le sue manie?
«Le ho tutte. La più marcata riguarda la simmetria delle sensazioni fisiche, cioè se mi gratto a sinistra mi devo grattare, nello stesso identico punto, anche a destra, lo faccio sempre. Se evito, avverto subito una specie di vuoto, di incertezza. Per fare il film ho cercato di pescare in questo tipo di fissazioni, ci sono persone, come Emilio, che non riescono assolutamente a superarle».
Come si vive con le manie?
«Bisogna imparare a conviverci, che poi vuol dire conoscerci, tutti abbiamo qualcosa che ci fa soffrire, il modo per evitare che questo accada è accettare le cose per quello che sono. Come dice il saggio “se puoi cambiare qualcosa perché ti arrabbi. Se non puoi farlo perché ti arrabbi"».
E anche sua moglie Francesca Barra ha imparato ad accettare le sue manie?
«Insomma, ci convive, mi sopporta...».
Nel film (domani nei cinema) recitano tanti attori italiani, con alcuni non aveva mai lavorato prima. Che cosa ha scoperto di loro?
«Margherita Buy è veramente insospettabile. Oltre a essere un’attrice straordinaria è una delle persone più simpatiche mai incontrate su un set. Ha un’immagine molto ieratica, gliel’ho anche detto, con il suo sguardo azzurro sembra incutere timore e invece è una gran simpaticona. Con Bisio mi ero trovato fianco a fianco anni fa sul palco di Sanremo, è un attore molto preciso, uno che prova e riprova, Lucia Mascino è un gran talento, ci siamo divertiti».
È nel film di Uberto Pasolini The Return, liberamente tratto dall’ultima parte dell’Odissea. Interpreta Eumeo, fedelissimo di Ulisse. Cosa rappresenta per lei questo personaggio?
«Il mio obiettivo, in questo mestiere, è imparare più cose possibili, come diceva Stanislawskij, nella vita come nell’arte, non esiste stare fermi, o si va avanti o si va indietro, per me fare Eumeo è stato un grosso passo avanti. Credo che il personaggio rappresenti la fedeltà, la speranza, la scelta di mantenere viva l’umanità, senza far prevalere la parte bestiale, la resistenza contro il cinismo, in un universo che sta perdendo i suoi valori, nel bel mezzo di una tempesta di barbarie».
Una figura, quindi, molto attuale. È d’accordo?
«Sì, con quello che stiamo vedendo accadere in questi giorni, con le guerre che non risparmiamo nessuno e che non hanno nulla di umano. Sul set di Torneranno i prati, che era ambientato nel 1917, durante il conflitto, ricordo che Olmi ci diceva che quella era stata l’ultima guerra combattuta corpo a corpo, in cui era successo che a Natale le due trincee nemiche festeggiassero insieme, anche se il giorno dopo tornavano a combattere. Adesso è tutto disumanizzato, devastante».
Il fenomeno Jeeg Robot aveva coinvolto, a suo tempo, tanti ragazzi. Il suo personaggio era diventato simbolo del riscatto di una gioventù lasciata ai margini, a Roma, nel quartiere di Tor Bella Monaca, i centri sociali, i murales, avevano sottolineato questo legame. Oggi c’è chi dice che i centri sociali vadano chiusi. Che cosa ne pensa?
«Mi viene da citare Sorrentino, evidentemente c’è una volontà di disunirci, di disgregarci, per lasciarci soli. Quel genere di esperienze fa paura, non è accettabile che qualcuno pensi a provvedimenti di questo tipo. Toglierci il diritto di esprimerci, di stare insieme, di scambiare idee, di vivere in un altro modo, significa uccidere la democrazia. E questo è molto grave. D’altra parte il piano di “disunire” va avanti da tanto tempo».
In che modo?
«Anni fa ho fatto un film che raccontava quello che era successo al G8 di Genova, Diaz, le persone chiedevano solo un po’ di giustizia e le cose sono andate come sappiamo, c’è stata una repressione estrema. C’è il rischio che il nostro mondo diventi pericoloso per i nostri figli».
Da padre, che cosa la preoccupa delle ultime generazioni?
«È una generazione stimolata da troppe cose, i ragazzi pensano di sapere tutto solo perché hanno un telefono in mano, osservano la vita da un punto di vista freddo, distaccato, credono di conoscere un argomento perché ne hanno letto qualcosa su un motore di ricerca, non avvertono nessun rispetto per l’esperienza che un genitore può offrire. Trovo che, rispetto alla nostra, questa sia una generazione molto più in difficoltà».
Perché?
«Solo l’esperienza diretta consente di empatizzare con la realtà, di trovare un riscontro emotivo. Vedo che i ragazzi vedono solo video su video, eliminando la parte sensoriale, che è, invece, fondamentale».—