la Repubblica, 20 novembre 2024
Intervista a Michelle Yeoh
Nel bel mezzo della conversazione con Michelle Yeoh a un tavolo del ristorante Roseber y, a Knightsbridge, lei si ferma: «Quello è mio marito», dice. Ed ecco Jean Todt, suo compagno da vent’anni.
«Ci conoscemmo a una cena a Shanghai dove accompagnavo un evento Ferrari», ricorda lui. Todt pretende un bacino sulle labbra, lei gli toglie uno sbaffo di cappuccino dal naso. Lui si siede, la guarda adorante: «Lei è l’ispirazione della mia vita», racconta in italiano, mostrandoci le foto di Michelle in uno spot per l’uso delle cinture di sicurezza. Todt è inviato speciale dell’Onu per la sicurezza stradale e lei lo affianca nella missione, la prossima tappa è Roma. Dopo essere stata la prima asiatica a vincere l’Oscar da protagonista (perEverything everywhere all at once ),
per Yeoh c’è anche spazio per il fantastico mondo di Oz. Centinaia di fan “oziani” aspettano, davanti al Corinthia Hotel, Ariana Grande e Cynthia Erivo, le star del film musical Wicked che colonizza schermi e manifesti a Londra.
In che modo è finita nel mondo cinematografico di Oz?
«Devo dire grazie a Jon (M. Chu, regista del film in sala dal 21 novembre con Universal, ndr ).Il produttore Marc Platt ha aspettato vent’anni per portare sullo schermo il suo musical e lui mi ha fatto abbracciare questo spettacolo pazzo, memorabile e dal successo così longevo».
Che cosa sapeva di “Wicked”, il musical dal romanzo di Gregory Maguire sull’amicizia tra Galinda e la verde Elphaba, le future Glinda la Buona e la Perfida strega dell’Ovest?
«Non avevo visto il musical, sono corsa a recuperarlo. Canzoni e testi fantastici e temi in cui ci si ritrova: accettazione, scoperta di sé, amicizia. È facile spaventarci davanti al diverso, escluderlo. E quando sei l’escluso soffri, ma devi trovare il coraggio di accettarti.
Trovare il proprio percorso è importante, per questo generazioni di bambini e ragazzi sono affascinate da questa storia».
È stata Miss Malesia e poi una star a Hong Kong. Si è trovata in contesti in cui non era accettata?
«In Malesia, dove sono cresciuta, la società è multirazziale, lì da piccoli ci si ritrova in classe con indiani, malesi, cinesi caucasici. Nessuno si percepisce come diverso. Io mi sono sempre sentita radicata e compresa. Quando ho iniziato a viaggiare sono stata in Paesi in cui le donne sono subalterne, ed èintollerabile, e arrivando negli Stati Uniti mi sono ritrovata minoranza, sebbene gli asiatici siano così tanti nel mondo. La sfida è stata essere asiatica, donna e poi di una certa età, perché a un certo punto ti trattano da nonna. Non dovremmo permettere che qualcuno ti dica quello che sei: dobbiamo lottare per essere ciò che vogliamo».
L’Oscar da protagonista è stato importante.
«È vero che sono stata la prima asiatica a vincerlo. Ma non sono la migliore attrice, mi considero semplicemente una delle tante e ce ne sono molte davvero incredibili.
La scommessa è sempre stata trovare ruoli inclusivi, con volti che ti assomigliano».
Come cambia, dopo un Oscar, la vita di un’attrice?
«Il mio Oscar ha acceso i riflettori su persone come me che chiedono pari opportunità».
Il ricordo di quella serata?
«L’interminabile attesa dell’annuncio. Su quella poltrona mi dicevo: “Mio Dio, mia madre in Malesia sta guardando la televisione con amici e familiari che si sono alzati all’alba. E se non vinco? Non tornerò a casa”. Ti senti in colpa, perché stai facendo qualcosa non solo per te ma per un’intera comunità».
Quali sono i film che hanno cambiato la sua carriera?
«Il primo film d’azione mi ha catapultata in un mondo fino ad allora dominato dagli uomini.
Con quel genere ho fatto un buon lavoro a Hong Kong e in Asia, poi sono entrata nel mercato internazionale con il Bond diIl domani non muore mai e a consolidare la carriera è stato
La tigre e il dragone. Ma i miei film d’azione sono di vent’anni fa, ora per i bambini sono la signora Chow, la combattente dei Minions. ConWicked busso alla prossima generazione di spettatori».
Quanto è importante condividere la vita e l a missione con suo marito Jean Todt?
«Jean è inviato speciale per la sicurezza stradale, ho sposato la sua vita e la sua causa da tempo. Il numero di persone, e bimbi, che muoiono ogni giorno sulle strade è agghiacciante. Le cinture, i caschi, non bere quando guidi, tutto questo fa la differenza tra la vita e la morte. Jean è un eroe, ha preso questo molto sul serio. E abbiamo tanti altri fronti su cui lavorare: siamo benedetti dalla fortuna, è giusto impegnarci in ciò che può rendere migliore la vita di tutti».