la Repubblica, 20 novembre 2024
Anche a destra servono novità
Michele de Pascale non ha solo il merito di aver vinto le elezioni nella sua regione, l’Emilia-Romagna. Impresa facile, agli occhi di molti, eppure occorre avere il coraggio di affrontarla, sfidando gli imprevisti, le conseguenze delle alluvioni, le urne desertificate eccetera.
L’altro merito del neo presidente è quello di usare un linguaggio un po’ diverso dalla retorica tipica della sinistra, il che significa sforzarsi di mettere in difficoltà la destra su un terreno, diciamo così, più politico e meno declamatorio. Giorni fa, ad esempio, de Pascale ha detto che il vero problema di Giorgia Meloni è il timore di avere dei nemici alla propria destra. Sono tanti, sono pochi?
Intanto sono gli avversari da destra della politica estera governativa, coloro che le fanno carico delle scelte atlantiche, di non essere una sorta di “cavallo di Troia” di Putin nelle istituzioni occidentali.
È il vecchio riflesso anti-americano di chi è ancora convinto che i soldati degli Stati Uniti nel ’45 non portarono la libertà, bensì una forma di sudditanza verso il dollaro. Poi ci sono quelli che accusano i “traditori”, tutti meritevoli di espulsione: coloro che avrebbero sabotato la carica innovativa della destra, imponendo una sorta di resa all’establishment. Non li sfiora il dubbio che è grazie alla politica pragmatica di palazzo Chigi se il massimalismo dell’estrema destra non ha riportato i Fratelli d’Italia alle percentuali a una cifra degli anni d’opposizione.
Comunque sia, si rinnova a parti rovesciate un vecchio schema della sinistra europea (e italiana); un tempo si diceva “nessun nemico a sinistra” (pas d’ennemis à gauche),intendendo che non bisogna mai lasciar scoperto il proprio fianco sinistro, dove possono incunearsi vari tipi di avversari o di “quinte colonne”. Il Pci, ad esempio, fu ambiguo nel rapporto con una certa sinistra extraparlamentare fino a quando il proliferare delle Brigate Rosse, con la loro rete di fiancheggiatori, non impose il taglio netto. Come si ricorderà, il Pci fu il difensore più intransigente della linea che rifiutava qualsiasi tipo di trattativa con i rapitori di Aldo Moro. Tant’è che si parlò di un “album di famiglia” per via dei molti rami dell’albero originario: rami che le circostanze imponevano di spezzare.
Finora, e per sua fortuna, Giorgia Meloni non deve fronteggiare un’analoga sfida da destra.
Tuttavia la minaccia esiste e il fatto di non riuscire a chiudere la porta all’ala estremista, nella speranza che si diluisca da sola fino a scomparire, è un tema.
Che è ben diverso dal sostenere la consapevole complicità di Fratelli d’Italia con i gruppuscoli. Tuttavia significa incoraggiare la premier e il suo partito a tagliare i rami di un vecchio album di famiglia. Infatti è alla presidente del Consiglio che de Pascale propone un “patto repubblicano”, una cornice generale volta a salvare il patrimonio istituzionale dalle asperità del confronto a Roma come nelle Regioni.
È realistica questa speranza? Senza dubbio, no. Però è una novità politica che sarebbe un errore lasciar cadere del tutto. In fondo, il risultato di Emilia-Romagna e Umbria dovrebbe aver fatto capire alla destra che è arrivato il momento di un colpo d’ala.
In attesa di riforme altisonanti (premierato, separazione delle carriere dei magistrati, autonomia regionale) si procede con l’ordinaria amministrazione. Mentre c’è una parte dell’elettorato del centrodestra che attende invano un segno non autoritario, bensì più decisamente liberale nelle politiche dell’esecutivo.
Finora nel giorno per giorno non si distinguono quasi i confini fra l’Italia di destra e quella di sinistra, al netto della retorica, dellegaffe e al di là degli scontri verbali ripetitivi.