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 2024  novembre 20 Mercoledì calendario

L’eterno ritorno dei cacicchi

Nel generale e conclamato discredito della classe politica forse nemmeno i sindaci si salvano, ma almeno vincono le elezioni – per quanti, sempre meno, ancora le frequentano credendoci.
Magra consolazione da bicchiere mezzo pieno, però intanto il Pd deve dire grazie ai rappresentanti dei “territori”, come ampiamente e discutibilmente si dice neanche fossero abitati da selvaggi; idem la destra se solo si pensa che senza l’idea e il traino di voti di Marco Bucci, primo cittadino di Genova, il mese scorso avrebbe perso anche la Liguria, mantenuta anche per il gentile interessamento di Claudio Scajola, tuttora sindaco di Imperia dopo esserlo stato altre tre volte nella sua lunga e tempestosa carriera.
Così ancora una volta non solo sindaco è bello, ma anche conviene. Pure alle scorse europee, per quanto disertate da una buona metà di italiani, gli elettori hanno premiato sindaci e personaggi entrati in lista per le loro precedenti esperienze municipali: con il Pd Gori (Bg), Nardella (Fi), Decaro (Ba), Ricci (Pu); a destra Moratti (Mi) e Tosi (Vr), che a capodanno faceva il bagno nell’Adige; per la sinistra verde sono stati eletti Orlando (Pa), che della categoria può considerarsi il patriarca più amato (“cuinnuto cu parla male du sinnaco!” e il “marziano” Marino (Roma). L’elenco è lungo, forse incompleto e anche un po’ noiosetto, per cui si cercherà qui di rianimarlo ricordando che a Strasburgo sono comunque finiti sia Mimmo Lucano, che con serie conseguenze anche penali diede vita al “modello Riace”, sia Mario Mantovani, venerato sindaco di Arconate che dopo aver concesso la cittadinanza onoraria a Mamma Rosa a suo tempo noleggiò un aeroplanino che in estate sorvolava le spiagge della Romagna recando in coda la scritta “meno male che Silvio c’è”. Oggi Mantovani, che pure ha avuto i suoi guai, è diventato un fratello d’Italia. Ma rispetto all’andazzo banderuola, i sindaci restano complessivamente fedeli ai partiti d’origine verso i quali tuttavia, così come rispetto al potere centrale, tendono a mostrare un certo grado di autonomia e a volte di estraneità, ciò che evidentemente gli elettori gradiscono.
C’è chi sostiene che tale indipendenza è rafforzata dal sistema elettorale, quindi dal mandato pieno e diretto. Ma come spesso accade, si dimentica che è sempre stato così, anche quando nei municipi si votava con la proporzionale. Nel 1981, quasi due generazioni orsono, un importante giornalista politico come Guido Quaranta pubblicò un libro inchiesta dal titolo Signor sindaco (Mondadori) che si apre proprio dando notizia di un sondaggio secondo cui gli italiani, assai più e prima dei leader di partito, dei parlamentari e dei ministri, si fidavano dei sindaci: “quei personaggi che cingono la fascia tricolore nelle cerimonie, rilasciano le licenze di commercio, firmano i certificati e, come sovrani di un piccolo Stato, hanno il potere di emettere ordinanze che riguardano l’edilizia, l’incolumità delle persone, la salute pubblica rispondendone davanti al consiglio comunale”.
Sulle ragioni di questa fiducia, ieri come in tempi di tirannia mediatica, pesano la lontananza dal ceto politico, la prossimità ai cittadini, l’obbligata indisponibilità alla chiacchiera ideologica e la (relativa) scarsezza degli scandali. Poi certo si aggiungono la personalità, la fama, il carisma e il ricordo dei sindaci, da Achille Lauro a Diego Novelli, da Maurizio Valenzi a Rutelli, da Cacciari a Suni Agnelli, da Petroselli a Renzi, senza dimenticare l’opera di don Remo Gaspari che rese la sua Gissi caput mundi. Dispiace qui gettare secchiate di disincanto, ma con la politica in decomposizione e l’inverno della democrazia, anche stavolta sarebbe bello e saggio risparmiarsi, specie a sinistra, retoriche salvifiche tipo “ripartiamo dalle città!” o postumi revival di primavere palermitane, rinascimenti a Napoli e/o modelli romani. Evitare anche, se possibile, la ricorrente e ormai iettatoria invocazione del “partito dei sindaci”, fare a meno di formule tipo “cento città” destinate a divenire “cento padelle” (Giuliano Amato dixit), se non “accampamenti di cacicchi” (questo è D’Alema maior). Se a Milano da qualche tempo Sala si agita un po’ troppo e nella capitale dell’anno santo Gualtieri rischia di diventare un meme inaugurante, l’unica speranza è che facciano bene il loro lavoro di sindaci. Dopo tutto è per questo che sono stati eletti, e nel disonore dei tempi, a parte le loro fortune personali, sarebbe addirittura una consolazione.
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