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 2024  novembre 20 Mercoledì calendario

La guerra raccontata dagli abitanti di Kiev

KIEV— Olena Kozachenko, 35 anni, riceve continue notifiche di notizie sul telefono mentre parla in un piccolo caffè vicino a piazza Taras Shevchenko. A un certo punto scuote la testa e alza gli occhi al cielo: «Ecco un nuovo piano del presidente. Non sorprende che non voglia elezioni, sta perdendo l’appoggio della gente. Non verrebbe rieletto in questo momento, ma nemmeno l’oppositore Petro Poroshenko ha nessuna chance». La donna che lavora per una ong di diritti umani, porta sul polso un tatuaggio con la forma dell’Ucraina e un cuore al posto della capitale, ma confessa di aver considerato di andarsene: «Mio marito è nell’esercito, fino a poco fa era a Chasiv Yar. La situazione sul terreno è disastrosa. Ogni settimana la Russia prende controllo di un nuovo villaggio. Il fronte si muove sempre di più nella nostra direzione». Mentre parla salta la corrente e l’improvvisa assenza del rumore bianco del generatore lascia la caffetteria sospesa nel tempo con la luce cristallina di una mattina di inverno che trafigge le vetrate. È il millesimo giorno di guerra ma è anche il secondo del ritorno dei razionamenti di energia per l’intera capitale che prevedono la suddivisione dell’urbe in sei aree di corrente a rotazione. È una misura adottata dopo il massiccio attacco russo che domenica è tornato a terrorizzare il Paese, dando inizio ad una nuova campagna di inverno fatta di famiglie ucraine lasciate al buio e al gelo.
In un martedì di sole splendente e privo di allarmi anti aerei, l’aria che si respira a Kiev è quella dell’esasperazione. La gente è stanca e chi fermi per strada ripete all’unisono una frase che solo un anno fa nessuno osava pronunciare: «Tutto questo deve finire». A dirla sono spesso giovani donne, ormai in maggioranza numerica per le strade quando il Paese si avvicina a concludere il terzo anno di un conflitto le cui vittime ufficiali sono solo quelle civili: 12 mila. Per i soldati uccisi in combattimento basta l’approssimazione delle bandierine azzurre ai caduti che sventolano sul monumento di piazza Maidan: decine di migliaia.
«Io ho un solo desiderio ed è che la gente smetta di morire. Mio fratello è di stanza a Prokovsk e quello che mostrano le tv non è vero. Ai nostri soldati manca equipaggiamento. Noi parenti abbiamo fatto una colletta per comprargli un veicolo. La situazione è critica. La Russia è all’offensiva e noi stiamo finendo le persone». Jana, 34 anni, fuma nervosamente: «Voglio che tutto finisca presto, o finiremo le persone».
Katya e Yaroslava hanno 18 anni e sono di passaggio a Kiev. Originarie di Sumy, una città che si è trovata adessere bersaglio numero uno in questa fase del conflitto. «Su Tik Tok tra gli amici c’è ora un tormentone: tutti postano le immagini dell’estate del 2021 prima della guerra», spiega Katya, «Sumy era una città sicura, ora è una costante corsa alla metropolitana per sfuggire la minaccia dei droni. Mi sento in colpa a dirlo per chi sta combattendo. Ma voglio vedere la fine, a qualsiasi costo».
Tra i discorsi delle persone incontrate a Kiev, un congelamento del conflitto sulla situazione attuale è una formulazione molto più comune di quanto non lo sia ancora a livello negoziale. Anastasia Chemachenko è un’attrice di 36 anni e ha quattro figli che dormono nel corridoio della casa del quartiere di Podil perpaura degli attacchi aerei e sanno distinguere con esattezza un drone da un missile e da un intercettore che interviene a bloccarli. «Tutti sanno che dovremo scendere a compromessi: io vorrei che la situazione si congelasse ora, che la diplomazia risolvesse le dispute sui territori e che il nostro Paese ricevesse potere di deterrenza dagli alleati».
Oleh ha il volto disteso di chi l’ha scampata. Dopo un anno al fronte la nascita del quarto figlio gli ha permesso il ritorno alla vita civile dell’ingegnere informatico. La casa di famiglia, a Toretsk, nel Donetsk, è caduta sotto il controllo russo. «Compromessi territoriali sono possibili a condizione che l’esistenza dell’Ucraina venga garantita e che la Russia non sia più in grado di esercitare il suo controllo: è importante quali garanzie ci saranno», spiega da un caffè nel quartiere di Osokorki: «Non dimentichiamo, in gioco c’è la democrazia».
La luce del pomeriggio su Khreschatyk, il viale che porta al Maidan, disegna ombre scure sulle facciate, Olena si ferma e invita osservare. «Non è bellissima Kiev? Dicono che è la capitale del mondo libero», ma il sorriso si ferma a metà.