Libero, 17 novembre 2024
Speleologi a Milano
Quarant’anni di battaglie. A Milano e per Milano. Nelle viscere della metropoli, sulle tracce di tesori nascosti. Archeologi del sottosuolo Esplorazioni, studi e pubblicazioni. Sempre sul campo.
«È così che si dimostra l’appartenenza all’associazione. Noi non abbiamo né tessere né quote associative», spiega a Libero Gianluca Padovan, fondatore e presidente di Scam (Speleologia cavità artificiali Milano). Era il 1984 quando cominciò la caccia alle opere ipogee. «Feci il corso al Cai per diventare speleologo nell’81. Dopo qualche anno a infilarmi nelle grotte delle freddissime Grigne, dove la temperatura scendeva anche a due gradi in estate, ho deciso di occuparmi solo di cavità artificiali...».
Nel 2005, invece, la creazione della Federazione nazionale cavità artificiali, la cui presidente (oggi candidata all’Ambrogino d’Oro) è Maria Antonietta Breda, architetto, speleologa, ex docente a contratto del Politecnico di Milano e della Statale. A oggi l’associazione ha pubblicato ben quindici libri (in collana) con la British Archeological Reports di Oxford.
Nel 2022, infine, ha visto la luce Scamp (Speleologia cavità artificiali press) col supporto di Angelo Pirocchi (titolare della Libreria Militare di Milano): 14 le pubblicazioni, tra cui Malebolge, unico manuale al mondo sulle opere ipogee.
Padovan, la battaglia più grande portata avanti in questi primi quarant’anni?
«Quella per la valorizzazione del Castello Sforzesco di Milano, senza alcun dubbio. Con un resistenza pressoché totale da parte delle istituzioni, purtroppo. E dire che nell’ottobre dell’88 l’allora assessore alla Cultura e vicesindaco della giunta Pillitteri, Luigi Corbani, ci aveva concesso di esplorare i sotterranei. Un politico serio. Aveva tolto le auto da dentro il Castello, sistemato la pavimentazione e i tetti. Volevamo trovare la galleria che dalla fermata metropolitana di Lanza portava alla fortezza, in una sorta di passaggio dal moderno all’antico. Un progetto innovativo. Poi cambiò la giunta e si bloccò tutto...».
Con le amministrazioni successive come è andata?
«Fino al ’95 siamo andati avanti a singhiozzo con le ricerche... Ci fu un convegno per la restituzione alla città del Castello e Gae Aulenti, sul Sole 24 Ore, spiegò che i ruderi della Ghirlanda al di fuori del fossato risalivano al ’500. Era però noto che questi fossero quattrocenteschi, come dimostrano gli stessi disegni di Leonardo. Letizia Moratti, invece, voleva fare un fast food sul lato del Castello che guarda verso Cadorna e creare un ascensore nell’unico rivellino rimasto integro per arrivare sulle merlate dove sarebbe sorto un ristorante... Per fortuna non se ne è fatto nulla».
E Sala?
«Con lui siamo arrivati alle ruspe. Il cantiere aperto sulla Ghirlanda ha sfondato il cervello di volta della galleria sottostante, anch’essa documentata da Leonardo. Chiamai arrabbiato la Sovrintendenza. Là sotto oggi è pieno d’acqua e di piante infestanti, quando invece potrebbe essere aperto al pubblico per le visite... Per non parlare del rivellino di Porta Comasina, pieno di fango e animali morti dopo almeno trent’anni di degrado. Anche se l’opera più interessante, se c’è ancora, è sotto viale Gadio. Una galleria, probabilmente militare visto che è alta tre metri e un lungo tratto ha la volta a spiovente in tavelloni di pietra: poterla recuperare e allacciarla alla metro non sarebbe un’idea stupida e attirerebbe una vera valanga di turisti. Non dimentichiamoci, inoltre, la presunta riqualificazione di questi anni: un enorme spreco di risorse pubbliche».
Perché questo scarso interesse da parte del Comune?
«Loro si fermano al perimetro del Castello... Certo, i politici avranno cose più importanti a cui pensare ma non ci si può non occupare di cultura. Soprattutto a Milano. Manca anche una mentalità un minimo imprenditoriale, perché dei beni di questo genere portano anche soldi. Bisogna reiventarsi da un punto di vista culturale come del resto fanno gli altri Paesi europei».
Oltre al Castello, quali altre opere nascoste andrebbero valorizzate?
«Sotto terra ho visitato almeno 15 chilometri di vecchi alvei dei canali. Bisognerebbe pulirli e portarli alla luce, per attrezzarli a visite guidate».
E questo Duomo che non riesce a farsi riconoscere Patrimonio dell’Umanità?
«Mi sto battendo anche per questo. È inconcepibile che la più grande chiesa d’Italia, nonché terza cattedrale al mondo, non sia tutelata dall’Unesco. Il Duomo di Milano, tra l’altro, vanta una particolarità eccezionale: dalla fondazione del ’300 sono stati archiaviati tutti i disegni e i bozzetti, oggi ben conservati e ben catalogati. Perché non si fa come per le Dolomiti? Tuteliamo tutto il centro storico, da Brera al Castello Sforzesco».