La Lettura, 18 novembre 2024
Tutte le vite di Churchill
Che cosa sarebbe successo se Winston Churchill fosse morto quando fu investito da un’automobile a New York nel dicembre 1931? Il futuro primo ministro britannico, nell’attraversare la strada in fretta, fu ingannato dal fatto che nel suo Paese i veicoli procedono a sinistra, mentre negli Stati Uniti vanno a destra. Se ci avesse rimesso la pelle, sarebbe stato capace il Regno Unito, senza la sua guida energica, di trovare la forza di resistere e rifiutare una pace separata con la Germania tra il 1940 e il 1941, quando le armate tedesche dominavano l’Europa senza alcun altro nemico da fronteggiare?
Di sicuro la storia mondiale avrebbe perso un protagonista, che allora aveva già 57 anni (Churchill era nato il 30 novembre 1874, esattamente un secolo e mezzo fa), ma doveva ancora dare il meglio di sé nella lotta contro quel Terzo Reich che all’epoca non esisteva ancora.
Eppure si può dire che il leader inglese, al momento dell’incidente, avesse già vissuto diverse vite, che Gabriele Genah, giornalista della Rai, ripercorre in forma romanzata mettendosi nei panni del protagonista e utilizzando una grande quantità di sue citazioni (poste in corsivo nel testo) nel libro Io, Winston, in uscita per Solferino il 22 novembre.
Churchill era stato giovanissimo corrispondente di guerra a Cuba nel 1895, per raccontare lo scontro tra i ribelli indipendentisti e le truppe spagnole. Poi aveva indossato lui stesso la divisa, combattendo in India, nel Sudan e quindi in Sudafrica. Nel corso del terzo conflitto era stato fatto prigioniero dai boeri, coloni di origine olandese in lotta con l’Impero britannico, ed era riuscito a fuggire avventurosamente, raggiungendo il territorio portoghese del Mozambico.
Lasciato l’esercito, aveva sfruttato la popolarità conquistata in guerra per dedicarsi alla politica. Era stato eletto alla Camera dei Comuni neppure ventiseienne nel 1900 e dal Partito conservatore era passato a quello liberale nel 1904. Sostenitore di una politica di provvidenze a favore delle classi più umili, era stato ministro del Commercio e poi dell’Interno. Nel 1911 era stato nominato primo lord dell’Ammiragliato, il membro del governo incaricato di occuparsi della flotta, un compito assai importante in un Paese che aveva il suo strumento di difesa più rilevante nella marina militare, la leggendaria Royal Navy.
Durante il primo conflitto mondiale, Churchill era stato tra i fautori dell’operazione anfibia di Gallipoli, volta a prendere possesso dello stretto dei Dardanelli e a mettere fuori combattimento la Turchia, alleata degli austro-tedeschi. Ma quella campagna militare, condotta nel 1915, era fallita ed era costata a Winston la poltrona nel governo. Un’eclissi temporanea, perché già nel 1917 gli era stato assegnato il ministero degli Approvvigionamenti e nel 1919 quello della Guerra. Nemico giurato del comunismo, si era battuto invano per un’intervento più energico a favore dei controrivoluzionari russi in guerra contro i bolscevichi e poi aveva fronteggiato con durezza la rivolta degli indipendentisti in Irlanda, conclusa peraltro con il distacco dell’isola, a parte sei contee settentrionali, dal Regno Unito.
Più tardi Churchill aveva abbandonato il Partito liberale ed era tornato tra i ranghi dei conservatori e nel 1924 era diventato cancelliere dello Scacchiere, cioè ministro dell’Economia, un prestigioso incarico ricoperto in precedenza da suo padre Randolph. Qui però non aveva brillato, in particolare per la scelta di perseguire il gold standard, la convertibilità della sterlina in oro. Genah riporta una sua citazione significativa: «Tutti dicono che sono stato il peggior cancelliere dello Scacchiere della storia e ora sono incline a concordare con loro. Così adesso il mondo è unanime».
Insomma nel 1931 Churchill poteva sembrare un personaggio con un grande avvenire dietro le spalle. Conferenziere e storico di enorme successo, membro del Parlamento, ma isolato nel suo stesso partito. Forse anche tale condizione di battitore libero gli permise tuttavia di comprendere prima di molti altri quale pericolo rappresentasse per la pace l’ascesa al potere di Adolf Hitler. In precedenza era stato assai benevolo nei confronti di Benito Mussolini, aveva dichiarato che se fosse stato italiano sarebbe stato al fianco dei fascisti nella lotta contro «gli appetiti e le passioni bestiali del leninismo». Ma nel Terzo Reich vide subito una minaccia di portata epocale e divenne una voce martellante nel lanciare grida d’allarme per lungo tempo inascoltate.
Quando la Seconda guerra mondiale prese una brutta piega, fu inevitabile affidare a lui la guida del governo britannico. E cominciò così l’epopea per la quale Churchill è noto e celebrato da chiunque abbia un po’ di senso storico, mentre gli estremisti della cancel culture hanno preso a bollarlo come razzista.
A tal proposito Genah non manca di porre in evidenza la mentalità imperialista del leader britannico, condivisa peraltro all’epoca dalla grande maggioranza della classe dirigente. Churchill era convinto che il suo Paese svolgesse una funzione civilizzatrice nelle colonie conquistate con le armi, in primo luogo l’India. E colpiscono senza dubbio le sue parole sprezzanti, riportate nel libro, verso un alfiere della non violenza come il Mahatma Gandhi, anch’egli peraltro oggi accusato di razzismo per la scarsa considerazione mostrata verso gli africani.
Ci sono diversi aspetti dell’opera politica di Churchill che meritano senza dubbio di essere criticati alla luce della sensibilità odierna. Ma è difficile non riconoscerne la lungimiranza e il realismo dinanzi ai regimi totalitari e aggressivi. Lo vide in prima fila anche l’opposizione a Iosif Stalin con il famoso discorso di Fulton, negli Stati Uniti, del marzo 1946, meno di un anno dopo la sconfitta di Hitler. Non si può davvero dire che la sua immagine della cortina di ferro calata sull’Est europeo non avesse riscontro nella realtà, come hanno dimostrato ampiamente le vicende ungheresi, cecoslovacche e polacche fino al 1989.
Poi c’è anche, nel libro di Genah, il Churchill privato: l’amore solido come la roccia per la moglie Clemmie; il dolore per la morte della figlioletta Marigold, scomparsa quando non aveva ancora compiuto tre anni; la passione per la pittura che gli offriva impagabili momenti di distensione anche nei periodi più duri; il consumo abbondante di alcol e tabacco. Non è un eroe innalzato sul piedistallo, questo Churchill, ma un uomo certamente assai dotato che ammette con franchezza di essere stato sempre aiutato dalla buona sorte. Come a New York, quella fredda sera del 1931.