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 2024  novembre 18 Lunedì calendario

Vuoto Sardegna. L’isola senza figli


Credere che la partita per aumentare le nascite si giochi oggi come ieri guardando ai figli, ovverosia con misure che tendono a incrementare direttamente la natalità: questo, paradossalmente, è l’errore che proprio i Paesi con le strategie e le misure più avanzate per il sostegno alla natalità stanno commettendo.
La riprova di questa che può sembrare all’apparenza pura contraddizione è presto detta. Il 2016 è stato per l’Unione Europea l’anno con il più alto tasso di fecondità, ovvero con il più alto numero medio di figli per donna, nell’arco dell’ultimo decennio: 1,57. Un tasso di fecondità, sia chiaro, decisamente basso, ove si pensi che per avere una popolazione stazionaria occorrono poco più di 2 figli in media per donna. Bene, gli otto Paesi con le politiche per la natalità più avanzate (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia, Olanda, Svezia dell’Unione Europea più la Svizzera) avevano in quell’anno 2016 un tasso di fecondità più alto di quello medio dell’Ue: 1,69. Ma oggi, mentre il tasso di fecondità dell’Unione Europea è sceso da 1,57 a 1,46 quello dei Paesi con le politiche nataliste più avanzate è sceso da 1,69 a 1,49, con una perdita doppia di quella generale dell’Ue.
Dunque l’Occidente più ricco e avanzato quanto a misure per stimolare le nascite non mostra più alcuna sensibilità alle classiche manovre nataliste. È il momento di chiedersi perché. E il perché è assai vicino, non importa andarlo a cercare chissà dove: la famiglia. Meglio, la crisi della famiglia. E più precisamente: la super crisi della famiglia centrata sulla coppia uomo-donna unita in matrimonio e con la prospettiva dei figli. Crisi di quantità – sono sempre meno le famiglie cosiffatte; di qualità – sono sempre più piccole e instabili; di considerazione sociale – mai stata tanto bassa verso questa tipologia di famiglia considerata retriva e superata. Tre crisi strettamente collegate che ne fanno una, pesantissima, dalla quale la famiglia non sembra capace di venir fuori.
Questa famiglia, una volta perno della natalità, è l’istituzione sociale che ha subito i più violenti contraccolpi di una nuova sensibilità e una nuova morale in fatto di genere, sesso, diritti. L’illusione è stata quella di credere che il discredito che si abbatteva sulla famiglia centrata sulla coppia eterosessuale, unita in matrimonio con la prospettiva dei figli, avrebbe risparmiato i figli. Non è stato affatto così.
Ma eccoci al punto a cui volevamo arrivare: in Italia abbiamo un caso di scuola, se così possiamo dire, del precipitare di una crisi demografica all’insegna del rifiuto dei figli che parte da un altro rifiuto ancora, quello del matrimonio e della famiglia. Il caso di scuola è quello della Sardegna e appare incredibile che, nel contendersi la guida della Regione nel febbraio di quest’anno, nessuno schieramento di laggiù abbia sentito il dovere di sollevare la questione di quella che è, con la Corea del Sud, l’area geografica al mondo in cui si registra il più basso numero di figli in media per donna – ovvero il più basso tasso di fecondità. Secondo le stime relative all’anno 2023: 0,9 figli in media per donna, meno di un figlio in media per donna nel corso della sua vita. Un valore che definire patologico è un complimento.
La Sardegna è ovviamente la regione che detiene il record italiano del più basso numero di figli per donna. E la prima cosa che si deve dire di questo primato al negativo è, appunto, che esso deriva da un altro primato, anzi da un triplice primato negativo che riguarda la famiglia: la Sardegna è la regione d’Italia col più basso tasso di nuzialità, quella in cui le spose hanno l’età media al matrimonio più alta e, ancora, quella dove le dimensioni della famiglia sono le più striminzite. Primati che fanno (o dovrebbero fare) letteralmente zompare sulla sedia, tanto sono negativi. Vediamoli.
In Sardegna si sono avuti nel 2022 (ultimo anno del quale si conoscono i dati definitivi) 2,7 matrimoni ogni mille abitanti, mentre nello stesso anno il tasso di nuzialità è stato di 3,2 e di 4,2 matrimoni ogni mille abitanti rispettivamente in Italia e nell’Unione Europea. L’Italia è l’ultimo Paese per tasso di nuzialità dell’Unione Europea, la Sardegna è l’ultima regione dell’Italia per quello stesso tasso di nuzialità. Fate i vostri conti. Chi pensasse che un anno non basta, ricordi che la solfa è sempre questa. E ancora: la donna in Sardegna arriva al primo matrimonio (escludendo dunque i matrimoni successivi al primo, quando ovviamente gli sposi sono più in su con gli anni) quand’ha superato alla grande la soglia dei 35 anni (35,2), l’uomo i 38 anni. Di nuovo un primato assoluto, sia in Italia che a livello europeo. Numeri che impongono una domanda: come può essere il tasso di fecondità più alto di quello che è se in Sardegna si sposano in pochissimi e quei pochi a età già problematiche anche solo per mettere al mondo un figlio? Come fa una donna della Sardegna a mettere al mondo due figli se si sposa superati i 35 anni? Ovviamente la cosa riguarda anche l’uomo, ma è la fecondità della donna quella che determina i figli. E, sempre ovviamente, si fanno figli anche senza essere sposati. Ma il dato è questo, e non c’è modo di ignorarlo: dove ci sono più matrimoni ci sono anche più figli. Risultato: la dimensione media della famiglia in Sardegna è di appena 2,15 componenti, più bassa del dato nazionale, a sua volta minimo, di 2,25 componenti in media a famiglia. Nelle previsioni dell’Istat, tra venti anni la media dei componenti a famiglia scenderà a 2,08 a livello nazionale e addirittura largamente sotto i 2 componenti (1,94) in Sardegna. Se in pochissimi si sposano e lo fanno quando la gioventù è in buona parte bell’e trascorsa non può esserci altro risultato che questo: famiglie ridotte ai minimi termini di consistenza che non hanno nel loro Dna lo sguardo lanciato verso la possibilità di un figlio in più.
Dunque il panorama è fosco a tal punto da non lasciare nessuno spiraglio all’ottimismo? Esattamente. I dati sono così impietosi che sembrano costruiti apposta da qualcuno che ce l’ha su coi sardi e la Sardegna. Perché tutto va storto, non c’è niente che mostri di funzionare. Vediamo due questioni, demograficamente devastanti. Prima questione: lo sprofondo della fecondità è generale sull’isola, non contempla eccezioni: in nessuna provincia della Sardegna si arriva a un tasso di fecondità pari a un figlio in media per donna, tutte le province restano al di sotto di questo valore che ha pochi eguali nel mondo: si va dal massimo di 0,99 figli della provincia di Nuoro al minimo di 0,85 figli per donna della provincia di Cagliari. Nella città di Cagliari, capoluogo dell’isola, 147 mila abitanti, nel 2023 sono nati 586 bambini, nemmeno 4 nati annui ogni mille abitanti, un valore ch’è meno della metà della natalità dell’Unione Europea. Né basta, perché nello stesso anno, nella stessa città, sono morti in 1.965 per un incredibile rapporto di 336 morti ogni 100 nati. Numeri da suicidio. Nel 1981 Cagliari aveva 234 mila abitanti, in quarant’anni ha perso 87 mila abitanti e il 37 per cento della popolazione al 1981. La spinta al suicidio procede magnificamente.
Seconda questione demograficamente devastante. Il clima in materia di famiglie e figli che si respira in Sardegna è a tal punto depresso che perfino le donne straniere residenti in questa regione hanno un tasso di fecondità che non solo è di gran lunga il peggiore tra tutte le regioni, ma ch’è tale da aggiungere male al male, depressione a depressone, figli mancati a figli mancati: appena 1,3 figli in media a donna straniera residente in Sardegna. Come se spirasse sull’isola un virus, della non famiglia e del non figlio, che investe anche le donne che vengono da aree del mondo dove di figli se ne fanno fin troppi.
Ecco, questo è il quadro, nient’affatto esagerato – dal momento che si basa su dati tutti ufficialissimi. Un quadro dal quale non filtra neppure la debole lucina che si finisce sempre per intravvedere nel buio fondo dei boschi delle fiabe.
E ora una considerazione. Che potrebbe avere il suo peso, in un discorso che intendesse provare a metter mano a questioni che, lasciate a sé stesse, trascinano l’isola a fondo come nessuno sconquasso climatico potrà mai fare. In Sardegna nel 2022 ci sono stati 2.096 laureati e 3.336 laureate, ovvero 159 donne laureate ogni 100 uomini laureati: un divario a tal punto macroscopico da meritare un subisso di analisi sociologiche. Dunque in Sardegna i maschi sono culturalmente a tal punto così lontani dalle femmine da lasciar addirittura intravvedere un ritardo perfino antropologico tra i due sessi? In Italia siamo a 134 donne laureate ogni 100 maschi laureati, e anche questo è un distacco pesantissimo, indubitabilmente, ma non abissale come quello che si verifica in Sardegna. E che ha questo preciso significato: in Sardegna ogni 100 maschi laureati ci sono 59 donne laureate che non hanno un corrispondente maschio laureato. È noto che c’è una alta concordanza tra titoli di studio di quanti si sposano (e anche di quanti si uniscono in coppie di fatto); una concordanza che per una formidabile parte delle donne laureate della Sardegna non avrà comunque modo di realizzarsi per la pura e semplice mancanza della controparte maschile. Può sembrare una sciocchezza, ma non lo è affatto. Questo divario è così grande (anche in Italia, pur se meno drammatico che in Sardegna) da costituire ormai un fattore che ostacola fortemente la formazione delle coppie e di conseguenza la natalità. Attenzione, perché si sentono sempre più donne sussurrare, nei loro discorsi: con chi dovrei sposarmi? Con chi fare un figlio? Con quale maschio? Quale uomo? E se, a partire dalla Sardegna, avessero ragione?