Avvenire, 16 novembre 2024
«Qui a Valencia non viene nessuno»
Acqua passata, fango no. E neanche la rabbia della gente. La Dana (acronimo spagnolo per “depressione isolata ad alta quota”) che due settimane fa ha scatenato l’inferno su settantaquattro Comuni intorno Valencia, lascerà il segno a lungo. Per vedere i paesi più massacrati servono calosce e mascherine (molta polvere e un certo rischio d’infezioni) e ci si muove quasi solo a piedi. Calamità o no, i cambiamenti climatici qui sono (stati) sfacciati. Cristian Iborra spala dentro un garage ancora gonfio d’acqua e fango: «Lavoriamo da quattordici giorni, non viene nessuno, esercito, pompieri, Unità militare d’emergenza, nessuno, siamo soli. Ci sono solo i volontari e le persone che arrivano dai paesi vicini e così andiamo avanti». Una specie di litania: quel «siamo soli» lo ripetono tutti, ovunque. Catarroja e Massanassa (insieme, quasi 35mila abitanti), per esempio, sono in ginocchio da far paura. E non c’è alcuna fila dei mezzi di soccorsi. Anzi.
Le cataste di macchine martoriate e infangate fanno impressione e s’incontrano spesso, la racconta lunga solo guardarle. «Da quel martedì non abbiamo chiuso un giorno – spiega Carmen Tramoye-res, farmacista a Barrio Del Christo, quartiere di Poblet –: tutta la gente di Aldaia, qui vicino, colpita duramente anche se i mezzi d’informazione non ne hanno parlato troppo, ha cominciato ad arrivare da noi. Soprattutto anziani, a piedi, pieni di fango, tanti piangendo».
Il fatto è che da queste parti non solo sono davvero molto arrabbiati perché la macchina dei soccorsi s’è mossa tre o quattro giorni dopo la catastrofe, ma anche perché non è stato dato alcun allarme prima. A proposito, invece, l’altro ieri sera alle 19 e 46 sui nostri cellulari ha suonato ed è entrato un lungo messaggio: «Alerta nivea rogo en todo el litorale de Valencia», “Allerta di livello rosso in tutto il litorale di Valencia”, per quasi ventiquattr’ore. Nelle quali, poi, ha piovigginato poco o nulla.
Eppure ben prima del 29 ottobre non era affatto un mistero la piega che avrebbe preso il cielo: «Tutti i comuni, incluso il mio, tre, quattro giorni prima avevamo ricevuto avvisi da parte dell’Agenzia di emergenza – racconta Martin Pérez, che è il presidente della associazione autonoma della Protecion civil di Valencia e il capo della Protecion civil di Moncada (11 chilometri da Valencia) –. Ogni allerta, all’inizio arancione, poi rossa, diceva che sa-rebbe arrivata una Dana. Ma la decisione di fermare gli spostamenti della gente, sospendere il lavoro, muovere i mezzi di soccorso, non spetta ai comuni, è della comunità autonoma». Morale? «Visto che si poteva prevedere cosa sarebbe successo, si è perso troppo tempo prima d’avvisare le persone di non uscire di casa e di attivare il Centro di coordinamento operativo integrato e l’Unità militare d’emergenza». Tempo costato un bel po’ di vite umane e distruzione.
Un altro fatto è la situazione politica. Gli attacchi reciproci vanno avanti da un pezzo e mettiamola facile: la provincia di Valencia è governata da Carlos Mazòn (che ieri ha fatto per la prima volta autocritica), cioè Partido popular, il capo del governo spagnolo è Pedro Sànchez, cioè Partido socialista obrero español (Psoe, sinistra) e maggioranze e opposizioni s’accusano senza complimenti d’essere responsabili di quant’è successo. Solo che la gente adesso ce l’ha con entrambi, e basta guardare certe scritte (non riferibili) con lo spray sui muri dei paesi colpiti. «La politica è così: decisioni, non decisioni, tutti si danno la colpa – dice Laura Bueno Martinez, che vive a Catarroja, dopo aver ricordato il terrore di quelle ore, dell’ondata di fango fino due metri d’altezza e d’essere rimasta tredici giorni, senz’acqua, né luce –. Siamo tutti arrabbiati per le perdite, l’impotenza, tutto». Elisabetta Fontelles ha sessantacinque anni ed è a Moncada: «Non ha funzionato niente per colpa della politica. Chi governa Valencia dice che l’emergenza era competenza di Madrid, Madrid dice ch’era di Valencia e la gente è finita nella m…». Anche Amparo Monzo è di Moncada: «Per giorni, non è arrivato l’aiuto di nessuno». E qualcuno ha già fatto i primi conti: 5 miliardi di euro è solo la stima iniziale dei danni.
C’è tanto dolore. Così tanto che, a parlare di quei giorni, scoppiano in lacrime. Visto l’andazzo e l’aria che tira, non stupisce granché che la gente neppure creda troppo ai numeri ufficiali che (a oggi) riportano 222 persone rimaste uccise. Pau Mortes, ventisei anni, è andato ogni giorno ad aiutare volontariamente: nei posti più colpiti: «La Polizia a cavallo ha pattugliato la spiaggia del Saler, che è a sud di Valencia, è ha trovato cadaveri portati fin lì dalla Dana, come uno tsunami ». La tragedia è difficile descriverla, meglio scegliere una frase di nuovo di Martin Perez: «Ci vorranno tre anni per rimettere tutto a posto». I danni materiali, almeno.