Il Messaggero, 16 novembre 2024
Ai concorsi uno su due è laureato in legge
Il dato è eclatante. E potrebbe persino essere sorprendente se l’analisi non riguardasse la pubblica amministrazione. La macchina statale, si ripete sempre più spesso, avrebbe bisogno di informatici, statistici, matematici. I cosiddetti profili “stem”. Ma la verità che emLerge dai dati è un’altra. Ancora oggi quasi la metà (il 43,3 per cento per l’esattezza) dei candidati a un posto pubblico, ha una laurea in giurisprudenza. A rilevarlo è uno studio commissionato da Flp e condotto dalla società Bigda. Secondo i dati emersi dalla ricerca, che ha esaminato i bandi gestiti dal Formez, la presenza di laureati in informatica, statistica o matematica, è sistematicamente inferiore all’uno per cento. Dopo il profilo giuridico, quello più presente è ilprofilo economico. Ma non c’è da stupirsi. L’offerta risponde alla domanda. Sono le stesse amministrazioni a chiedere in numero elevato laureati in legge e in economia. Basta pensare alle migliaia di posizioni nell’ufficio del processo, lo staff che aiuta i magistrati a smaltire l’arretrato, le cui assunzioni sono state finanziate con il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Dall’analisi emergono anche altri dati di interesse.C’è per esempio una strutturale incapacità della Pa del Sud Italia di attrarre e mantenere in loco i propri talenti, con la Campania ad avere il saldo peggiore. Se, infatti, è vero che il 28% dei dipendenti del settore pubblico lavora in una regione diversa da quella di nascita, Nord e Sud nel nostro Paese viaggiano a 2 velocità. A fronte di un saldo attrattivo (numero di dipendenti nati in altre regioni) decisamente positivo di Lombardia e Emilia Romagna, rispettivamente +129.000 dipendenti e +92.000, si assiste a un’emorragia di personale dal Sud. In Sicilia solo il 6% del personale arriva da fuori regione, saldo addirittura negativo per la Campania che performa peggio di ogni altra regione e chiude il bilancio di attrattività del personale con -192.000 dipendenti. Fra i settori, è la scuola quello che presenta la maggiore mobilità, con i lavoratori dipendenti maschi che si muovono di più (33,5%) rispetto alle colleghe (24,1%).Secondo un’altra elaborazione Flp, presentata sempre ieri mattina, le retribuzioni medie della Pubblica amministrazione italiana si fermano a 1.000 euro sotto la media Ue. Nonostante un aumento del 23% in 10 anni, gli stipendi della P.a del nostro Paese non sono al passo con quelli del resto d’Europa: 1.978 euro per i dipendenti italiani contro i 2.973 euro dei colleghi stranieri. Un gap che, secondo Flp, dovrà essere colmato rinnovando i contratti nazionali, senza più rinvii e dilazioni e garantendo il rilancio della contrattazione integrativa che deve essere adeguatamente finanziata, liberandola dai vincoli dell’inaccettabile normativa sui tetti predeterminati ai Fondi delle amministrazioni. «Quello che osserviamo è frutto di un mix negativo, fatto di ripetuti e caotici interventi legislativi che, unitamente al blocco della contrattazione, durato per circa 10 anni, ha burocratizzato sempre più le amministrazioni, complicato il rapporto con i cittadini e le imprese, frenato le retribuzioni, svilito il personale e il suo ruolo», ha detto Marco Carlomagno, segretario generale di Flp.