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 2024  novembre 16 Sabato calendario

Intervista alla moglie di Andrea Bocelli

Sta passeggiando sul lungomare di Forte dei Marmi quando mi risponde al telefono. Mi dice che ha finito di lavorare e ora passeggia perché lei non sa stare ferma. Poi inizia a raccontare di sé, di Andrea, delle loro vite, e parla veloce, appassionata, perché per lei la velocità e la passione sono gli aspetti più importanti della vita. Si chiama Veronica Berti e ha 40 anni. La metà della vita l’ha passata al fianco di Andrea Bocelli. Si conoscono da 20 anni, si sono sposati 13 anni fa. Lei è diventata una colonna del «bocelismo», per una ragione – credo – semplice. Perché quando vuole una cosa la ottiene. Orgogliosa della Fondazione Bocelli, creata per aiutare i ragazzi più svantaggiati, per dar loro un’educazione, una cultura.
Veronica, è vero che hai vissuto la tua infanzia tra i campi?
«Sì. Nata e cresciuta in campagna. Meglio: spersa nella campagna. A quattro chilometri dalla casa più vicina. Vicino c’era un piccolo paese, si chiama Offagna (Ancona): 300 metri di altezza, 2mila abitanti».
Quando hai visto per la prima volta una città?
«Quando i miei genitori si sono separati. Avevo 10 anni».
Hai sofferto per la loro separazione?
«No, per niente. Quasi non me ne sono accorta. Loro sono rimasti amici. Mio padre si è messo con la madre della mia migliore amica e la mia migliore amica è diventata mia sorella».
Infanzia felice?
«Molto felice. Quando si sono separati io sono rimasta con mio padre in campagna. Rimasi con lui perché era lui quello che più si occupava di me. Mi ha tirato su, mi ha educato con l’esempio. Niente proibizioni, mai».
Quando spunta nella tua vita Andrea Bocelli?
«A una festa. Io non volevo nemmeno andarci. Poi all’ultimo momento ci andai. Ho saputo che anche lui stava per dare forfait. Anche perché quel giorno c’era un tempo da lupi».
Che tipo di festa era?
«Era la festa di Sgarbi. Arrivai in anticipo e mi resi conto che l’organizzazione latitava. Tutto in ritardo e la festa stava per cominciare. Allora decisi di dare una mano e tutti pensarono che fossi dell’organizzazione. Un signore cominciò a protestare perché non vedeva il pianoforte. Diceva che stava per arrivare Bocelli. Allora mi misi a cercare nelle stanze. Trovai il pianoforte. Lo portammo in sala. Lui disse: ma ora chi lo suona? Io mi offrii anche se non è che sia brava. A un certo punto questo signore capì che ero una invitata, e si imbarazzò. Disse che per compensare mi avrebbe presentato Bocelli. Quando il maestro arrivò, lui mi indicò, la folla si aprì, come il mar Rosso, e Bocelli mi venne incontro».
Ti sei intimidita?
«Dissi: sono onoratissima di conoscerla».
E lui?
«Si mise a chiacchierare con me, di tutto: di arte, di musica, soprattutto di musica, e si accorse che io ne sapevo».
E poi?
«Eccoci qui. Da quel momento non ci siamo più lasciati un minuto».
Colpo di fulmine?
«La sera mi disse: vieni a dormire da me. Domani ti accompagno a casa. Era l’8 maggio del 2002».
Qual è la cosa che ti è piaciuta di più di lui?
«Ha uno charme che non ti immagini. Quando mette il turbo».
È una persona romantica?
«Si. Incredibilmente romantico. Scrive poesie».
Dopo quel primo incontro?
«Tre giorni dopo stavo all’Università, ad Ancona, per dare un esame. Notai un gran fermento. Tutti si davano di gomito. Chiesi a una ragazza: che succede? Ma che ne so? – mi rispose – c’è Andrea Bocelli fuori dal portone che aspetta da tre ore e non sappiamo perché. Restai di sasso».
E lui che ti disse?
«Sono venuto a prenderti. Gli chiesi: per andare dove? Negli Stati Uniti».
Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna?
«Spesso è così. Ci sono persone che nascono per stare sul palco e persone che sono nate per stare dietro il palco, come me. Però sono io che metto insieme tutta l’organizzazione».
Qual è il pregio maggiore di Andrea?
«La calma olimpica. Io sono più litigiosa, ma al massimo per cinque minuti. Mi destabilizza chi tiene il muso per una settimana».
È vero che nel 2016 Trump invitò Andrea a cantare alla cerimonia di insediamento e lui non andò?
«È una ferita aperta. Andrea ha cantato per tutti i presidenti precedenti. Clinton, Bush, Obama. Io rispetto l’ufficio del presidente. Non mi importa chi sia: è il presidente eletto. Rappresenta un’intera nazione. Andrea ha cantato anche per Chavez, che non era mica un santo, però era il Presidente».
E quindi perché Trump no?
«Fosse stato per noi avremmo rispettato quell’invito, ma successe l’iradiddio. Sui social valanghe di insulti, sotto l’albergo la gente gridava avete venduto l’anima al diavolo. I nostri figli sono stati costretti a chiudere i loro canali social. Mortificante dover rispondere di no, ma non avevamo scelta. Io non credo che un artista debba rotolarsi nelle polemiche. Non mi piacciono quelli che si schierano, si sporcano in politica, trascinano Hollywood in campagna elettorale».
Sei stata male per quella decisione?
«Sì. Sono finita in ospedale per il nervoso. Era il 24 dicembre, vigilia di Natale».
Ti piacciono gli Stati Uniti?
«Io ho sempre ammirato gli Stati Uniti. Si scannano finché c’è la campagna elettorale. Poi una volta eletto il presidente, basta. Tornano tutti americani».
Anche a te fa paura Musk?
«No. La paura è un sentimento che non mi appartiene. Si ha paura di ciò che non si conosce».
E tu lo conosci?
«L’ho incontrato spesso. È sempre venuto a vedere i concerti di Andrea. La sua potenza è determinata dalle persone che gli vanno dietro. E se molte persone credono in lui vuol dire che qualcosa vale».
Perché è così temuto secondo te?
«La domanda è: chi ti guida? Il potere, i soldi? O qualcos’altro? Dio o mammona?»
Chi guida Musk?

«Non credo che lo guidi mammona».