La Stampa, 16 novembre 2024
La crisi degli affidi
Torino – L’unica certezza è che il calo è costante. E lo confermano i numeri raccolti dall’Istituto degli innocenti di Firenze, una delle più antiche istituzioni dedicate all’accoglienza dei bambini. Anno dopo anno sono sempre meno i minori in affido temporaneo ad altre famiglie, allontanati dai genitori biologici perché giudicati incapaci, da soli, di garantire un ambiente idoneo alla loro crescita. In tutta Italia, erano 14.370 nel 2010, 13.632 nel 2018, 12.507 nel 2022. I primi dati relativi allo scorso anno sono arrivati ieri. E se è vero che gli affidi sono in lieve aumento, 12.632, è cresciuta la forbice rispetto agli inserimenti in struttura, passati da 18.081 a 18.304. Il motivo? Le ragioni possono essere tante, quella giudicata meno probabile è il progressivo miglioramento dei contesti famigliari. Tutt’altro. A pesare, piuttosto, c’è il costante impoverimento della popolazione, compresi i soggetti solitamente coinvolti nella rete di accoglienza. Una crisi economica che deve fare i conti con le incertezze legate alle guerre in corso ma anche con l’onda lunga del Covid. C’è l’incremento dell’impegno lavorativo di donne e uomini che rende sempre più difficile l’assunzione di un impegno tanto gravoso. E poi ci sono i pregiudizi. Vale a dire la mancanza di informazioni adeguate rispetto alla condizione dei minori coinvolti, che di fatto limita le strategie di supporto che potrebbero attuare. Prima di tutto nel mondo della scuola.Effetto BibbianoLa lista dei falsi miti è piuttosto lunga. Qualche esempio? «Le famiglie affidatarie sono mosse principalmente da interessi economici». «I bambini collocati fuori dalla famiglia d’origine rischiano spesso di essere maltrattati». E ancora: «I minori vengono ingiustamente strappati dalle loro famiglie per colpa degli assistenti sociali». Una sorta di “effetto Bibbiano” che tende a scoraggiare quanti avrebbero le carte in regola, e le giuste motivazioni, per mettersi a disposizione. Anche il cinema viene inserito nell’elenco dei responsabili, più o meno consapevoli, delle rappresentazioni negative. Film e serie tv spesso raccontano storie di famiglie disfunzionali, con padri alcolizzati e figli allo sbando. Tuttavia, la possibilità di vivere in una famiglia affidataria viene dipinta come il peggiore dei mali. Le frasi sotto accusa? Sono più o meno sempre le stesse: «Gli assistenti sociali portano via i bambini» oppure «gli affidatari sfruttano i bambini per produrre collane in cantina».Nuove regoleIntanto, le regole stanno per cambiare. Lo scorso 23 aprile il Consiglio dei ministri ha approvato il testo definitivo del disegno di legge “Disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento”. L’intenzione è quella di introdurre disposizioni per tutelare il superiore interesse del bambino a vivere e crescere all’interno della propria famiglia d’origine, contrastando gli affidamenti giudicati “impropri”, cioè gli affidamenti presso istituti o famiglie a lungo termine se non addirittura sine die. Così si intende garantire contatti costanti tra i genitori del minore e la famiglia affidataria, prediligendo dove possibile le soluzioni interne alla stessa famiglia d’origine. Vengono poi istituiti due registri, per le famiglie affidatarie e per gli istituti di assistenza, pubblici e privati, per il monitoraggio e la raccolta dei dati a livello nazionale.Confronto europeoVa detto che, almeno in Italia, la percentuale di figli minori in accoglienza alternativa alla famiglia resta molto bassa. Non va oltre il 3,3 per mille. Siamo undicesimi in Europa, in testa c’è la Polonia con il 17,9, e dietro a Francia (11,2), Germania (10,8) e Spagna (5). Nel nostro Paese, poi, va ricordato che ai 12.500 bambini in affidamento famigliare vanno aggiunti altri 18 mila accolti nelle comunità. In generale, l’età media è piuttosto alta: sei su dieci hanno tra gli 11 e i 17 anni. Leggermente superiori i maschi (53%), in continua crescita i minori che hanno alle spalle un’esperienza migratoria. Erano appena il 5,6% nel 1999, oggi sono uno ogni cinque. Tradotto: hanno il doppio delle possibilità di essere accolti in affidamento rispetto agli autoctoni. Un dato che conferma la maggiore fragilità delle famiglie di recente migrazione. Il report sui nuclei affidatari racconta invece un’Italia spaccata in due, dove al Centro-Sud si concentrano le esperienze intra-familiari e al Nord quelle etero-familiari, che in totale rappresentano comunque oltre sei casi ogni dieci.Promuovere la fiduciaCosì quella dell’affidamento resta ancora oggi una sfida aperta. Secondo lo studio di Paola Ricchiardi, docente di Pedagogia all’Università di Torino che ha analizzato e rielaborato i dati dell’Istituto degli innocenti, sono tre le strade da percorrere, nell’interesse del minore e degli stessi genitori naturali. Restituire la fiducia al sistema, promuovendo gli affidamenti consensuali e aumentando le famiglie disponibili e allargando la rete di assistenza per favorire segnalazioni più tempestive dei casi a rischio. Promuovere la continuità degli affetti, per non interrompere i legami naturali tra il bambino e i suoi genitori. E, anche alla luce delle nuove normative, monitorare le collocazioni. Ad iniziare dai tempi: oggi due minori su tre sono in affidamento da oltre due anni. E, compiuti 21 anni, un ragazzo su tre rimane nella famiglia affidataria malgrado non sussistano vincoli formali.