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 2024  novembre 16 Sabato calendario

Intervista a Giuli nella «stanza degli impagliati»

Nella lugubre sala d’attesa del ministero, arredata con le foto dei predecessori in un bianco e nero jettatorio, Genny-la-gaffe non l’hanno ancora incorniciato: il successore, consapevole che prima o poi finirà appeso a quel muro anche lui, la chiama «la stanza degli impagliati». Intanto, concede la sua prima intervista da ministro della Cultura a un giornale italiano. Alessandro Giuli è vestito da Giuli, panciotto, due anelli con sigillo, orologio alla catena, le (molte) sigarette sempre innestate nel bocchino. E ovviamente parla nel giuliese che fa la gioia degli imitatori: abbiamo tradotto il minimo indispensabile. Accoglie l’umile intervistatore tenendo davanti la copia molto sottolineata di un di lui commento dove si chiedeva alla destra di scegliere se ispirarsi a Gentile o Vannacci.Ministro, che dice?«Le istanze di Vannacci non sono tutte da respingere. Da rifiutare è il suo terribilismo, reincarnazione di un infantilismo declamatorio che era tipico di una certa destra. Bisogna quindi mettere ordine intellettuale dove il pensiero si fa viscerale. E qui serve Gentile: non quello dello Stato etico, ma quello che rivendica la tradizione rinascimentale e risorgimentale italiana».Lei però sarà giudicato da quel che farà. Dica tre progetti che vorrebbe realizzare a tutti i costi.«Il primo: rianimare la filiera dell’editoria, ma partendo dalla lettura. In Italia ci sono più libri pubblicati che lettori. Arriverà un finanziamento di 30 milioni per le biblioteche, che spesso sono in periferia, nei borghi, anche in luoghi problematici del Sud. Così si accorcia la distanza fra centro e periferia, fra Ztl e borgate: la lettura come alternativa allo spaccio o all’immersione solitaria nei social. Come Meloni ha un Piano Mattei per l’Africa, io voglio un Piano Olivetti per la cultura».Olivetti inteso come Adriano? Non è un nome di destra.«Sono temi di socialismo riformista abbandonati dalla sinistra. Ma tuttora validi».Punto numero due.«La diplomazia culturale. La cultura può diventare uno strumento di dialogo e di pace, e l’Italia è di nuovo un Paese strategico. Il Maxxi Med a Messina serve a dialogare con l’Africa: il Mediterraneo è il lago interno dell’Eurafrica. Non si tratta né di aiutarli a casa loro né di aiutarli a casa nostra, ma di condividere degli strumenti per formare delle classi dirigenti. Strumenti che l’Italia, per fortuna, possiede e di ottima qualità».Numero tre.«Io ho giurato sulla Costituzione: l’articolo 9 è fra i meno applicati. Da ministro, devo dare ai beni culturali italiani una cornice protettiva, d’accordo, ma anche farli diventare strutture dinamiche. Mappare i rischi e sviluppare le potenzialità. Non si tratta di aprire i depositi dei musei, ma far sì che i musei raccontino il loro contesto, la loro storia, le loro radici. Sono l’autobiografia della comunità nazionale».Tutto bello, ma da lei si aspettano prossimamente molte nomine in musei, teatri, fondazioni e così via. Appartenenza o competenza?«Qualche segnale l’ho già dato. Nella commissione per il cinema, per esempio, ho riequilibrato la parità di genere, con personalità di latitudini lontane dalle mie...».Latitudini è molto giuliese.«Allora scriva così: di estrazioni culturali anche molto diverse dalla mia. A guidare la commissione per la scelta della capitale italiana dell’arte contemporanea ho scelto Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, perché è competente in materia».Per restare a Torino: consiglieri del Museo Egizio, amministratori locali ed esperti, chiedono di confermare Christillin e Greco perché squadra che vince non si cambia.«Sarò a Torino mercoledì con il Presidente Mattarella per celebrare il 200º anniversario dell’Egizio. Penso che il ministero debba sempre dialogare con il territorio, ascoltandolo e senza imporre nessuno: se il metodo è questo, nel merito le scelte saranno condivise. Conosco sia Christillin sia Greco, hanno tutta la mia stima e considero l’Egizio un valore mondiale. Da Roma non arriveranno né veti né nomi».Insomma, come ha scritto nel suo pamphlet Gramsci è vivo!, fare politica culturale non vuol dire occupare più poltrone possibili. Ma dalle sue parti politiche non sembrano molto d’accordo, come ha dimostrato la vicenda del suo ex capo di gabinetto, Francesco Spano.«La sua scelta ha provocato una crisi di rigetto da parte di una minoranza un po’ fanatizzata dell’elettorato di destra, non da parte di Fratelli d’Italia. Spano si è dimesso perché non reggeva la pressione dei soliti persecutori mediatici. Io le dimissioni le avevo rifiutate, ma alla fine ho dovuto accettarle».È vero che ha minacciato di dimettersi anche lei?«No. Mai minacciato le dimissioni. Ho chiesto solo, questo sì, di poter lavorare. La fiducia di Giorgia Meloni non è mai venuta meno. Respingo l’idea che io sia un ministro in qualche modo commissariato. E anche che io sia una specie di ministro tecnico, anche perché ai ministri tecnici non credo. Sono un ministro di area FdI, diciamo così».La tivù la guarda?«Poco perché ne ho fatta troppa».Come spiega che i due programmi culturali di successo, Augias e Cazzullo, siano entrambi griffati La7 e non Rai?«Sulla Rai non c’è abbastanza chiarezza politica. Quando ha cominciato a inseguire solo lo share, ha perso di vista la divulgazione culturale, dunque la sua vocazione di servizio pubblico. Augias, in fin dei conti, è diventato Augias appunto alla Rai. La televisione pubblica deve tornare ai fondamentali».FdI vuol dare soldi alle scuole private. È d’accordo?«Sì. Prima, certamente, bisogna mettere in sicurezza la scuola pubblica. Ma quello della libertà d’educazione è un principio liberale con il quale sono sempre stato d’accordo».Facciamo chiarezza sull’aquila che ha tatuata sul petto. È fascista?«Romana. Un’aquila predata dai parti, credo alla battaglia di Carre. E restituita a Roma non dopo una campagna militare, ma grazie alla diplomazia di Nerone. Quindi un simbolo non solo non fascista, ma anche pacifista».Dal polsino sinistro della sua camicia spunta un altro tatuaggio...«È il cosiddetto “scettro di Spoleto”, un simbolo osco-umbro. Sono sempre stato affascinato dall’antichità».Però fascista lo è stato, lo ammetta: Meridiano zero e quant’altro.«Io non sono mai stato fascista perché il fascismo è finito da ottant’anni. Da 14 anni a 18 ho militato nel Fronte della gioventù, cioè i giovani del Msi, e poi negli extraparlamentari di Meridiano zero, che peraltro era una citazione di Ernst Jünger. Siamo tutti avanzi di qualcosa».Il suo eloquio fa la felicità degli imitatori.«Crozza mi diverte. Fra gli avversari politici c’è stata un po’ di strumentalizzazione del mio discorso in Commissione cultura della Camera. O ho sopravvalutato le capacità cognitive di chi mi ascoltava o le mie doti di divulgatore».Più le une o le altre?«Tutte e due, temo».In Usa avrebbe votato per Trump o per Harris?«Un anno fa dissi che avrei votato democratico se non ci fosse stata Harris. Visto che la candidata era lei, o non avrei votato o avrei votato Trump. Ma il Trump del secondo mandato si ricorderà dell’assalto a Capitol Hill e, a parte qualche lapsus stavolta non teoretico, per parlare in giuliese, sarà più cauto».Nel derby fra Musk e Mattarella per chi tifa?«È semplicemente irrispettoso coinvolgere il Presidente della Repubblica in un derby del genere».Un aggettivo per Gennaro Sangiuliano.«Due. Sottovalutato nella sua tenacia politica. E massacrato da un sistema mediatico su cui bisognerà aprire una riflessione, meglio prima che poi. Una volta erano le procure a imbeccare i giornali, oggi avviene il contrario».Dal punto di vista politico come si definirebbe?«Un liberalsocialista di destra».Come vorrebbe essere ricordato, quando sarà appeso nella «stanza degli impagliati»?«Come qualcuno che ha lasciato in condizioni migliori quel che ha trovato. Nel rispetto delle regole, delle procedure e dei soldi pubblici. La destra è i conti in ordine».