Corriere della Sera, 16 novembre 2024
Sala preferisce le rinnovabili al nucleare
Il tema energetico rappresenta una questione centrale nel dibattito pubblico, come si vede in questi giorni anche attraverso le prese di posizione della presidente del Consiglio.
Ritengo sia tema da declinare certamente sul fronte della sicurezza e dell’indipendenza energetica, ma anche su quello dei costi e quindi della competitività del nostro Paese. Partendo dalla premessa che attualmente l’Italia, con il 23% di autoproduzione, è fanalino di coda nell’indipendenza e paga dall’inizio della guerra in Ucraina il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica più alto in Europa.
L’elevato prezzo dell’energia è conseguenza diretta dell’eccessiva dipendenza italiana dall’importazione di fonti fossili, con la rapida sostituzione delle forniture di gas russe con quelle da Algeria, Azerbaijan e Libia a costi significativamente più alti e in un quadro di crescente instabilità geopolitica globale. A parziale compensazione concorre il basso costo della nostra rete elettrica di distribuzione e ciò è importante in considerazione della crescente elettrificazione dei consumi, tema che richiede un approccio organico e interdisciplinare ben oltre l’ambito puramente economico, abbracciando aspetti sociali e ambientali. Vorrei pertanto proporre un’analisi delle sfide principali che il nostro sistema energetico deve affrontare e delle possibili soluzioni.
L’Europa, attraverso il Green New Deal, ha definito un programma ambizioso, capace di trasformare le vulnerabilità energetiche degli Stati membri in opportunità di innovazione e sostenibilità. L’iniziativa prevede investimenti per mille miliardi di euro entro il 2030 e rappresenta un volano per superare le fragilità strutturali e costruire fondamenta solide per il futuro. Questa strategia è confermata pienamente nel recente Report affidato dalla Commissione europea all’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha sottolineato la necessità di sviluppare un’infrastruttura europea integrata per le rinnovabili e di coordinare gli sforzi nazionali per massimizzare l’efficacia delle misure e l’autonomia. È soprattutto questa sinergia tra politiche nazionali ed europee che può consentire all’Italia di cogliere i maggiori benefici dalla transizione.
Grazie alla transizione energetica, a un sempre più determinante contributo delle energie rinnovabili e all’intensificazione del processo di elettrificazione dei consumi, si stima che il fabbisogno di energia primaria al 2050 in Italia possa dimezzarsi, riducendo così, drasticamente, la necessità di import.
Il potenziamento delle energie rinnovabili emerge come soluzione chiave per ridurre la dipendenza energetica del nostro Paese e promuovere un sistema più sostenibile, con tecnologie già collaudate e caratterizzate da una costante e progressiva diminuzione dei costi di produzione. Le stime indicano che, attraverso un maggiore sviluppo di fotovoltaico, eolico, idroelettrico, recupero energetico dai rifiuti, l’Italia potrebbe soddisfare mediante proprie risorse circa il 60% del suo fabbisogno, contenendo i costi.
Tale considerazione accomuna tutti gli scenari e le visioni delle diverse parti politiche, al punto che il PNIEC 2024, cioè il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima del governo Meloni, è sostanzialmente allineato al PNIEC 2023 redatto dal governo Draghi, al netto di una prima riflessione sul nucleare su cui tornerò più avanti.
Se comincia ad essere chiaro cosa occorre fare, dovrebbe essere di conseguenza chiaro cosa sarebbe meglio non fare.
Un primo esempio su cui ragionare è il Decreto Aree Idonee che consente alle Regioni di normare la realizzazione di impianti di energia rinnovabile sui propri territori. Un principio che, nei fatti, rischia di trasformarsi in un elemento di ostacolo ad uno sviluppo omogeneo, non coerente con gli obiettivi dello stesso PNIEC. Un secondo caso è il DL Agricoltura che comporta la realizzazione sulle aree agricole di fotovoltaico a parecchi metri di altezza, con costi di esecuzione insostenibili che verrebbero poi ribaltati sulla bolletta di cittadini e imprese. Un terzo punto riguarda le gare sulle concessioni idroelettriche che, oltre all’assenza di reciprocità con gli altri Paesi europei, sembrano puntare al solo incremento dei canoni di concessione regionali, invece che alla riduzione del prezzo dell’energia.
In merito al dibattito sulla reintroduzione del nucleare in Italia, ritengo utili due considerazioni per evitare che un tema così importante possa correre il rischio di essere utilizzato a fini propagandistici. La prima, risaputa, è che l’entrata in esercizio di una centrale nucleare richiederà non meno di 10 anni e che le tecnologie non sono stabili. La seconda è il dovere di essere chiari con cittadini e imprese sul fatto che il nucleare potrebbe contribuire significativamente all’innalzamento dell’autonomia energetica del Paese, ma non ridurrebbe il costo di produzione dell’energia. Questo stando alle evidenze delle centrali nucleari entrate in funzione in Europa negli ultimi due anni e agli studi presentati recentemente da Ansaldo Nucleare ed Edison, che stimano il costo di energia prodotta dai nuovi piccoli reattori (SSR), tra i 90 e i 110 € MW/h; pressappoco l’attuale costo dell’energia in Italia.
Quindi, diciamo la verità, il nuovo nucleare è ancora ampiamente nella fase della sperimentazione, ben venga che la scienza vada avanti con il suo lavoro, ma qui non si parla di scienza quanto di bollette e una decisa accelerazione sulle rinnovabili, già ampiamente disponibili, sarebbe a mio avviso la mossa giusta per garantire a famiglie e imprese di ridurre le loro spesa per l’energia. E lo affermo, come ho cercato di dimostrare, non in base a una presa di posizione ideologica ma attraverso l’analisi tecnica della materia. Analisi tecnica che certamente non può sostituire il ruolo della politica, ma che dalla politica non può essere ignorata.