Corriere della Sera, 16 novembre 2024
Ritratto di Alberto Manzi
Siamo davvero bravi a dimenticare i nostri concittadini migliori. È passata da pochi giorni l’occasione di ricordare la figura e l’opera di Alberto Manzi (1924-1997), insegnante e scrittore, noto come presentatore del programma televisivo Rai Non è mai troppo tardi. Il suo nome sembra riemergere tra i ricordi in bianco e nero del maestro televisivo di un’Italia analfabeta. Che pure scopriva come la televisione potesse essere uno strumento educativo e importante. Oggi ci farebbero tenerezza le sue lezioni, ma chi era cresciuto nelle devastazioni patite da un’Italia contadina, trascinata in una guerra devastante, trovò in quell’uomo dal sorriso accogliente, finalmente una cultura amica. Furono 484 le puntate del suo Non è mai troppo tardi, sepolte nel 1968 insieme a una televisione che aveva insegnato a leggere e a scrivere a 35 mila persone. Eppure, Alberto Manzi non è davvero solo questo: scrittore per bambini, autore di Orzowei e di Grogh, favole tradotte in mezzo mondo, morto nel 1997 a Pitigliano, il paese toscano dove aveva finito per essere eletto sindaco. Ma esiste un altro Alberto Manzi meno conosciuto: il giovane studioso di entomologia che negli anni Cinquanta vola in Brasile per studiare le formiche amazzoniche e scopre che ci sono bambini e adulti trattati peggio degli insetti. «C’erano i contadini che non sapevano leggere e scrivere e nessuno glielo insegnava – racconterà nell’ultima intervista –. Chi cercava di farlo rischiava di essere picchiato e imprigionato oppure ucciso». Lui ci è andato per anni. «Mi accusarono di essere guevarista, poi marxista o un qualunque accidente che finiva in “ista”» racconterà lui stesso. Per alcuni Stati divenne «indesiderato». Quella esperienza è diventata un romanzo E venne il sabato, pubblicato postumo nel 2005. Nel volume compare una premessa dello stesso Manzi: «Con grande rammarico devo affermare che i fatti qui narrati sono per la maggior parte realmente accaduti».