La Stampa, 15 novembre 2024
Avati sulle dimissioni di Castellitto
«Non si può certo dire che Sergio Castellitto sia di destra, piuttosto è una di quelle persone pensanti, equilibrate, che non sono di nessuno». A 24 ore dalle dimissioni del presidente, Pupi Avati, membro del cda del Csc e, a suo tempo, fautore della scelta, scende in campo e commenta: «Ora bisognerà vedere chi metteranno al posto di uno che può davvero insegnare che cos’è un film».Secondo lei perché Castellitto si è dimesso?«Credo abbia avvertito una gran fatica, il Centro Sperimentale è un insieme di persone che difendono molto il posto che hanno, insegnano anche, ma, insomma... è luogo complicato da gestire. Sergio ce l’ha messa tutta, forse in un modo vistoso, non so come dire, con un po’ di visibilità di troppo, e, a un certo punto, si è sentito molto stanco. Credo che, per rimanere al Centro, abbia rinunciato ad almeno due film. Si sarà fatto due conti e avrà ritenuto che forse restare non gli conveniva affatto».È vero che è stato lei a proporre Castellitto per l’incarico?«Sì, ho insistito, a suo tempo, con l’allora ministro Sangiuliano e con Meloni, mi sembrava una scelta che potesse pacificare l’ambiente. L’incarico di presidente sarebbe dovuto andare o a me o a Giancarlo Giannini, abbiamo rifiutato ambedue, allora mi è venuta in mente l’idea di Castellitto, lui ne parlò con la moglie e mi disse che si poteva aprire un discorso. Siamo riusciti a convincere tutti che fosse l’uomo giusto. E infatti lo era. Quando è arrivato al Csc gli studenti lo hanno applaudito, è diventato un presidente molto amato, ha promosso iniziative bellissime come la “Diaspora degli autori in guerra” in cui ha messo insieme registi di Paesi ostili l’uno all’altro. Forse io non avrei venduto il cinema Fiamma, ma dicono che lo dovevano vendere...».Quali doti, a suo parere, rendevano Castellitto adatto all’incarico?«Sergio può dire cos’è un film, in tutto il percorso necessario a crearlo, in tutte le sue fasi, dalla scrittura al missaggio, ha la conoscenza, non dico come me, che faccio il cinema da 57 anni, ma quasi».Fin dalla nomina è stato oggetto di reiterate accuse. Che cosa ne dice?«È stato attaccato dai giornali in un modo violento, era preso di mira tutti i giorni, ma io non credo che tv e stampa debbano assumersi questa funzione di giudici. Il problema è che, quando si vuole aggredire qualcuno, si arriva a trasformare la realtà pur di trovare i motivi che giustifichino l’attacco. E tutto questo perché? I giornali per vendere copie, le tv per fare audience. Per fare ascolti si fa tutto, anche tradire il proprio fratello».Come pensa che stia uscendo, adesso, dall’esperienza in via Tuscolana?«Sergio ha la grande fortuna di avere una famiglia meravigliosa e una grande professionalità. Queste cose non può levargliele nessuno. L’esperienza al Csc è stata una parentesi sicuramente dolorosa della sua vita, era partito con un entusiasmo pazzesco, secondo me anche un po’ eccessivo. E invece si è risvegliato in un posto dove ognuno voleva essere in qualche modo riconfermato e dove hanno iniziato a colpirlo da tutte le parti. Lui però resta Sergio Castellitto, e tutto questo non gli ha levato niente».Siete rimasti in contatto durante il suo incarico, e anche ora, dopo le dimissioni?«Ci siamo sempre parlati tantissimo, mi relazionava su tutto, anche quando mancavo alle riunioni del cda, siamo andati ogni volta d’accordo. Ora l’ho incoraggiato a tornare il prima possibile a fare il suo lavoro».In Dante ha diretto Castellitto, nel ruolo di Boccaccio. Qual è la caratteristica d’attore che in lui apprezza di più?«Il suo apporto esplicito al personaggio. È diventato Boccaccio e Boccaccio è diventato lui, e questo perché è un attore naturale. I grandi attori sono così, penso a Tognazzi, Abatantuono, Haber, non hanno bisogno di far finta. È questa la prima cosa che si dovrebbe insegnare nelle scuole di recitazione. Di recente ho visto una fiction su un importante personaggio scomparso della tv italiana, l’interprete, pur bravissimo, era molto limitato dal fatto che tentasse di imitare quel personaggio».Sarà tra poco al Tff con un nuovo film, su Benedetto Croce. Come sarà?«È una docufiction sulla vita di Croce, me l’hanno offerto. Non c’erano materiali, Croce è stato filmato due volte in tutta la sua vita. Ho inventato del finto materiale di repertorio, che potesse supportare una docufiction. Poi mi sono chiesto come raccontare il protagonista. E ho pensato una cosa di cui sono convinto, e cioè che, per raccontare un essere umano, basti prendere un pezzetto, un giorno della sua vita. Un giorno è sempre emblematico, ho scelto quello dell’ultimo Natale, tema molto avatiano, festeggiato in famiglia nel ’51, l’anno dopo Benedetto Croce morì. Ho scoperto Napoli e me ne sono innamorato pazzamente».