Corriere della Sera, 15 novembre 2024
Intervista a Cillian Murphy
«L’ho trovato bello e straziante, non riuscivo a levarmelo dal cuore. E ho pensato fosse il progetto giusto». Cillian Murphy non nasconde l’emozione parlando di Small things like these, il romanzo di Claire Keegan (pubblicato da Einaudi) che segna il suo debutto come produttore, insieme alla Artists Equity di Matt Damon e Ben Affleck. Il film, Piccole cose come queste, diretto Tim Mielants, uno dei registi della serie Peaky Blinders arriva in sala dal 28 novembre con Teodora, dopo l’anteprima alla Berlinale. Un piccolo grande progetto per l’attore nato a Cork, dopo l’Oscar per Oppenheimer, che evoca una storia terribile, quella delle Magdalene Laundries, conventi gestiti da suore cattoliche, dove venivano rinchiuse donne «decadute» e ragazze madri che partorivano di nascosto bambini che morivano o venivano dati in adozione. Lui è Bill Furlong un tipo tranquillo, tutto lavoro e famiglia. Fornisce carbone al paese, anche al convento diretto da Suor Mary (Emily Watson), e per caso si imbatte in un mistero che gli toglie il sonno. «Anche se riguarda l’Irlanda in un momento specifico, è ambientato nel 1985, è un’opera universale. Può essere guardato anche attraverso il prisma di ciò che accade ora nel mondo. Ci dice che i singoli possono fare la differenza, invece di girare la testa e far finta di non vedere».
L’ultima Magdalene Laundry è stata chiusa nel 1996, l’anno in cui lei ha iniziato a recitare.
«È una vicenda dolorosa che ci tocca nel profondo. Ma ricordiamolo, non è successo solo in Irlanda che la Chiesa cattolica esercitasse un tale controllo e con tale crudeltà in nome della morale».
Chi è Bill Furlong?
«Un cittadino normale che fa una cosa straordinaria, un classico uomo comune. Lo incontriamo in un momento della vita in cui fa i conti con il passato, il dolore legato al destino di sua madre, e l’ansia per il futuro delle cinque figlie. L’incontro con una ragazza nel capannone del convento mette in moto un conflitto morale, non premeditato, né pianificato. Non è in alcun modo il classico eroe di un film. Si ritrova ad agire, anche sfidando il silenzio della comunità, perché crede che sia giusto. È un atto di carità».
Secondo il regista Tim Mielants è un ritratto di mascolinità non comune, condivide?
«Sì. Lui mostra la vulnerabilità di Bill, un tipico irlandese di una generazione fa. Parlavano poco ma non vuole dire che non fossero profondi. Era un’epoca di forte repressione. Lui si arrovella, ciò che ha visto non lo fa dormire».
Come ha convinto Matt Damon a produrlo?
«Giravamo Oppenheimer. Eravamo nel deserto per delle riprese notturne. Lui mi ha parlato della sua casa di produzione e io di questo progetto. Gli ho dato la sceneggiatura. Lui ha un gusto eccezionale, un bravo sceneggiatore, una leggenda assoluta. Ci hanno dato un supporto incredibile, ci hanno davvero permesso di fare il film».
Vincere l’Oscar ha cambiato le cose?
«Mi rendo conto che la gente si stupisce di sentirmelo dire ma no. Ho affrontato il ruolo di Furlong con lo stesso rigore con cui ho affrontato lo scienziato. Mi piace lavorare con gli amici, le persone che stimo. In questo film ce ne sono tante. Mi fa sentire al sicuro condividere il lavoro con le persone che mi stanno a cuore. È il privilegio che ti dà la fama, hai voce in capitolo e puoi usarla bene».
Anche essere una star di Hollywood e continuare a vivere in Irlanda le dà sicurezza?
«Lo faccio per i miei figli ma non solo. Amo vivere qui, sono stato lontano e felice di essere tornato».
È un momento fortunato per gli artisti irlandesi.
«C’è una bella generazione di giovani registi e attori, una staffetta con chi è arrivato prima. Raccontare storie, comunicare, con la musica, la letteratura, la poesia è nel nostro dna. Abbiamo un presidente poeta. Ma lo vedi ovunque. Succede in qualunque pub».
Tim Mielants è belga. Cosa vi unisce?
«Ci intendiamo, è una persona autentica, un vero artista in tutti i sensi. Puro spirito creativo, abbiamo un approccio al lavoro molto simile ed è anche un ottimo amico. Faremo altre cose insieme. C’è già un altro film, Steve».
Come speravano i fan, si fa il film Peaky Blinders. E lei è anche produttore.
«Felice che ora sia ufficiale. Ho convissuto con Tommy Shelby per dodici anni, lo conosco bene».