Corriere della Sera, 15 novembre 2024
Da soli (e felici) al ristorante
Mangiare da soli al ristorante per molti è un tabù, ma per molti sta diventando un piacere. C’è ancora chi lo considera imbarazzante e teme di essere additato come un poveraccio senza un amico con cui mangiare, e c’è, invece, chi ne decanta le virtù. Godersi il proprio piatto preferito senza essere distratto da una conversazione è una di queste. Assecondare i propri tempi di degustazione è un altro. Stare in silenzio o approfittarne per leggere, lavorare e ottimizzare i tempi sono ulteriori vantaggi. E, ormai, l’onnipresente telefonino supplisce alla compagnia «in presenza». Sui forum online, tanti rivendicano la bellezza di pasteggiare fuori in solitaria. Roberta scrive: «Ormai è un rito: una volta al mese, mi vesto bene, vado al ristorante da sola, prendo tutto quello che voglio, mi rilasso, non devo intrattenere conversazioni né mangiare in fretta per timore che qualcuno si scocci». E Stefano: «Mangio fuori da solo ogni giorno. Senza nessuno che mi fissi, concentrato solo sulla respirazione tra un boccone e l’altro».Nel Regno Unito, dopo il Covid, le prenotazioni da uno sono aumentate del 14 per cento. Lo scrive il Guardian, citando una ricerca della società di booking online OpenTable. Per il quotidiano inglese, sarebbero soprattutto la Generazione Z e i Millennial ad alimentare la tendenza. Da noi, invece, la piattaforma di prenotazioni online The Fork calcola che è il 4 per cento dei clienti a riservare un solo coperto, percentuale stabile, con una media più alta di un punto al Nord e una punta del 9 a Torino. Ma i dati disponibili non possono fotografare la realtà esatta: trovare posto per uno è più facile che trovarlo che per una tavolata, per cui spesso, chi mangia da solo non prenota. I ristoratori, però, rilevano clienti singoli in aumento, nei locali alla buona, come nelle cucine stellate.
Ad Alba, Roberta Ceretto possiede un tre stelle e una trattoria e racconta: «Un tempo, se vedevamo un cliente da solo, pensavamo che fosse un critico gastronomico in incognito. Ora, non più. In trattoria, alla Piola, si tratta soprattutto di persone in giro per lavoro che, invece di fermarsi al bar per un panino, preferiscono un bel piatto della tradizione piemontese. Chi prenota al Piazza Duomo, invece, cerca una coccola, apprezza il talento dello chef Enrico Crippa, il servizio spettacolare, il balletto meraviglioso di tante persone che si prendono cura di lui: è come se si regalasse un giorno in una Spa per stare da re». I mangiatori in solitaria, osserva, sono soprattutto stranieri, ma aumentano gli italiani, specie giovani.
L’attrice Marial Bajma-Riva, 29 anni, Generazione Z, è la giovane detective che su Rai Uno ha appena affiancato Elena Sofia Ricci in Ninfa Dormiente – I casi di Teresa Battaglia, fiction che ha vinto la sfida dell’Auditel per tre settimane di seguito. Racconta: «Mangiare fuori da sola mi piace tantissimo. Ricordo ancora la prima volta: ero a Bari, avevo 21 anni e mi sono sentita parecchio grande, anche perché era la mia prima tournée». In quel remake teatrale del Sorpasso, Marial aveva la parte che fu al cinema di Catherine Spaak e, da allora, ha pranzato e cenato fuori da sola tante volte: «Mangiare da soli al ristorante è bello, se sai come farlo», assicura, «io m’impongo di non guardare il telefono, affinché sia un momento solo mio. Così, posso godermi il silenzio, le pietanze e osservare gli altri. Non è detto che non fai incontri, magari conosci qualcuno, cosa che per la mia generazione, molto concentrata sul telefonino, non succede spesso. L’altro trucco che rende piacevoli i pasti in solitaria è avere dei posti preferiti: a Parigi, dove vado spesso perché ci lavoro tanto, amo Le Potager du Marais perché mi accolgono salutandomi per nome e mi riservano sempre lo stesso tavolo».
Per tanti, tuttavia, come da tradizione italiana, l’idea del pasto resta associata alla convivialità. L’attore Massimo Ghini giura: «Non ho mai fatto il one man show nei teatri perché ho sempre pensato: dopo, con chi vado a cena?». E spiega: «Sono abituato a mangiare in compagnia. Ho tre fratelli e, a casa, fra amici e parenti, non eravamo mai meno di otto a tavola. Io ho continuato la tradizione: casa mia è stata un ostello della gioventù, ho sfamato tutto il cinema italiano. Quando da ragazzo arrivai a Milano per recitare con Giorgio Strehler, avevo una fame che manco si immagina e la mentalità boyscout, per cui telefonavo a casa, mi facevo spiegare le ricette e cucinavo per tutta la compagnia. Tuttora, a Los Angeles o a Parigi, gli amici mi fanno trovare la spesa fatta e mi aspettano per mettermi ai fornelli». Convivialità e buon cibo, dunque. Ma non sempre si può avere tutto e, come ha scritto il critico gastronomico inglese Jay Rayner, «mangiare da soli è come cenare con qualcuno che ami».