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 2024  novembre 15 Venerdì calendario

La donna a cui è stato concesso il suicidio assistito

Laura Santi rivede se stessa, tanti anni fa. «Fu nel 2000», dice. «Ero una ragazza carina, tacco 12, andavo a ballare. Un giorno sento un fastidio all’occhio destro. Vado a farmi vedere e mi dicono che è una infiammazione al nervo ottico, un problema non oculistico, ma neurologico. Fra me e me dico: meglio, così non devo mettere gli occhiali...»
Pensava all’estetica, quella ragazza che aveva appena cominciato la sua carriera da giornalista. E invece era un germoglio velenoso, un esordio tipico, ha saputo dopo, della sclerosi multipla. La malattia «è stata buona con me per molti anni», racconta oggi lei. Poi l’aggressione, sempre più violenta. Ne sono successe di cose da allora a oggi. L’ultima notizia è di ieri: dopo due anni l’azienda sanitaria di Perugia ha dato a Laura (50 anni a gennaio) il via libera per il suicidio assistito. È la nona persona in Italia ad avere l’ok per accedere alla dolce morte, la prima in Umbria.
Lei si è detta «felice» di esser libera di scegliere.
«È così. Lo so, può sembrare paradossale essere felici di morire. Ma la malattia è diventata progressiva, crudele. Io sono completamente tetraplegica, ho perso le braccia, il tronco, sono in sedia a rotelle da 16 anni, ho incontinenza, spasmi dolorosi. A un certo punto vedi che lei non si ferma, tu peggiori sempre più e ti chiedi: ma io voglio continuare a vivere così? Le assicuro che se lo chiederebbe anche lei. Per me la risposta giusta è: voglio essere libera. Il mio futuro possibile è soltanto uno, quello in cui sono libera di scegliere quando andarmene».
E ha già pensato a quando andarsene?
«No. Non so quando e se sarà. Ho un orizzonte indefinito ma è un orizzonte che governo io. Questo pezzo di carta che mi dice che posso morire quando voglio è la miglior cura palliativa che esista. Però vorrei precisare una cosa».
Dica.
«Io ho sempre amato moltissimo la vita. In questi anni da disabile l’ho difesa con le unghie e con i denti, ho fatto un milione di cose: ho adattato gli sci per sciare, ho nuotato finché le braccia hanno retto, ho lavorato finché le mani hanno potuto pigiare i tasti del computer, ho vissuto tutto ciò che ho potuto».
Sempre accanto a suo marito Stefano.
«Sempre. Lui non è mio marito, è il mio tutto, un uomo immenso. E vorrei dire un grazie infinito anche agli altri».
Gli altri chi?
«L’associazione Coscioni. Io dico che grazie a loro ho conquistato non il diritto di morire, ma la vita. Sono padrona della mia vita, adesso».