la Repubblica, 14 novembre 2024
Vincenzo Nibali compie 40 anni
Roma – A Singapore, domenica scorsa, Vincenzo Nibali ha riassaggiato la sensazione dello stare in gruppo. Nel Criterium vinto da Mark Cavendish a 41 di media si è difeso bene e si è divertito. Ma, a due anni dal ritiro, non gli è venuta nostalgia: «Sto benissimo così». L’ultimo vincitore italiano del Tour (2014) e del Giro (2016) oggi compie 40 anni.Com’è andata allora a Singapore?
«Si andava veloci, ma in gruppo si stava bene. E ho avuto le solite sensazioni che mi dà la bici: libertà e piacere».La gamba girava.
«L’ho detto ai miei amici, lì: una Ferrari con un po’ di polvere sopra è pur sempre una Ferrari. Le dai una spolveratina e lei va. Al di là delle battute, non ho mai mollato completamente la bici. Ho solo dimezzato i numeri: se una volta facevo 30 mila km l’anno, oggi sono a 15 mila».
Non ha voluto prolungare la sua carriera su altre superfici più di moda oggi: il gravel, la mountain bike.
«Ho fatto qualche gara in mtb, sonostato alla Cape Epic in Sudafrica, durissima, massacrante. Ho vissuto di conserva con la forma che avevo alla fine del mio ultimo anno, il 2022. Ora la bici è solo un passatempo. Mi serve per pensare, per riunire le idee. A volte se ho mal di testa o devo risolvere un problema, salgo in bici e mi faccio due orette. Magari incontro qualche vecchio collega, scambio qualche parola, ci tiriamo un po’ il collo l’un l’altro. Mi capita di trovarmi spesso con Fabio Aru, ad esempio».
Si sta dedicando di più alla famiglia, alle sue due figlie.
«Certo, è una fase importante della loro e della mia vita. Ho anche diversi progetti legati al ciclismo: ho lanciato una linea di abbigliamento, la Q 36.5 NibaliShark, e sono testimonial di un paio di imprese attive nel nostro sport».
In Italia però il ciclismo non tira più come un tempo. Cosa sta succedendo?
«Servirebbe una grande squadra italiana, una squadra-nazionale, come lo sono la Movistar in Spagna o la Visma in Olanda. Sponsor disposti a mettere sul piatto 30 milioni in Italia non ci sono. Si potrebbe chiedere una mano allo Stato, ma noi abbiamo il calcio come primo sport. Ci vorrebbe un Sinner in bici, uno che cambi le prospettive».
Cosa allontana gli sponsor?
«Forse il passato del ciclismo, la cattiva fama che si è fatto anni fa acausa del doping. Ma i tempi sono cambiati, il ciclismo è uno sport dinamico, bello da vedere. Aziende straniere, grandi multinazionali come Red Bull ad esempio, non hanno esitato a entrare. Ci vorrebbe un grande progetto».
A lei piacerebbe tornare, in qualche veste?
«Mai dire mai».
È stato fatto il suo nome come ct della Nazionale. Ci pensa?
«Me l’hanno chiesto. Ma non è un ruolo che sento mio».
Il ciclismo sembra diventato molto più selettivo di un tempo.
«I giovani arrivano formati e stra-informati: hanno il procuratore, il preparatore, sanno tutto. Il mio primo misuratore di potenza l’ho avuto quando sono passato professionista: oggi te lo danno da juniores. Ma se non inizi a vincere subito rischi: a 25 fai il gregario, a 30 smetti».
Si va sempre più veloci, poi.
«Le gare sono cambiate concettualmente: ai nostri tempi, in una tappa del Giro o del Tour, si andava forte nella prima e nell’ultima ora. Oggi si va a tutta dall’inizio alla fine. Lo permettono le bici. Me ne accorgo nei miei giretti: in pedalate senza pretese oggi faccio i 36 di media, quattro anni fa facevo 32. È una differenza enorme».
Pogacar è già tra i più grandi di sempre?
«Sicuramente. Fa delle cose incredibili. Ma non credo che riuscirà a ripetere una stagione come l’ultima. Gli consiglio di concentrarsi ora su quello che non ha ancora vinto: la Vuelta, la Sanremo, magari la Roubaix».
Lei ha vinto tutti i Grandi Giri: le è rimasto il rimpianto per non aver provato a vincere sul pavé?
«No, non direi. A Singapore ero con Biniam Girmay: mi ha raccontato che in una caduta al Fiandre, due anni fa, ha perso mezza faccia. Sono gare complesse e moltopericolose. Ma dal fascino incredibile».
A che posto, tra le sue imprese, mette il Giro 2016, vinto sull’ultima salita?
«Molto in alto. E molto in alto metto le sensazioni che ebbi nel lanciarmi in quella discesa dal Colle della Lombarda. La squadra, con Michele Scarponi in testa, aveva lavorato tutto il giorno per me. Da corridore funzionavo così: se stavo bene fisicamente e di testa, la discesa potevo farla a tutta, non avevo paura. Al contrario, iniziavo ad avere dubbi, tiravo un paio di volte in più i freni. Però ho vinto grandi corse in discesa: i due Lombardia, la Sanremo giù dalPoggio, quel Giro».
Il tennis con Sinner ha trovato la sua pepita d’oro. Le piace Jannik?
«Molto. Mi piace il suo autocontrollo, quello che riesce a esprimere nelle sue interviste. Nella vicenda Clostebol ha mantenuto la calma, cosa fondamentale in uno sport mentale come il tennis. Durerà tanti anni grazie a questo».
Il nuovo Nibali è il Graal che non riusciamo a trovare nel ciclismo.
«Antonio Tiberi è molto bravo, ma deve fare un passo in più per diventare un vincente. Giulio Pellizzari è più scalatore, più incostante nelle tre settimane. Ma è molto molto giovane. Ha la metà dei miei anni, beato lui».