Il Messaggero, 13 novembre 2024
Mike Tyson torna sul ring
L’emozione, a volte, è solo una questione di punti di vista. Se vivessimo negli Stati Uniti e fossimo nati nel Terzo Millennio, forse ci incuriosirebbe vedere lo youtuber Jake Paul, aspirante pugile, combattere contro un gagliardo imprenditore anzianotto che pare da giovane sapesse menare le mani. Noi invece, incagliati in una Europa sempre più marginale, possiamo solo arrenderci alla malinconia scandendo il conto alla rovescia che ci separa dal ritorno sul ring – dopo quasi vent’anni – di Mike Tyson, fissato per il 15 novembre ad Arlington, in Texas, nello stadio da 80 mila posti dei Dallas Cowboys.
Del resto, quando si cerca di prendere a pugni il tempo ci si può fare male. Per questo a lenire le sofferenze servono i dollari, tanti, eppure distribuiti in modo così diverso da farci capire come quello che fu soprannominato “Iron Mike” adesso sia considerato una sorta di Buffalo Bill un po’ suonato che ha trovato il suo moderno circo mediatico per raccattare soldi (parecchi) e gloria (poca). Non sorprende, perciò, che Paul, 27enne ragazzotto di Cleveland, che da meno di cinque anni si diverte con la boxe professionistica (10 vittorie e 1 sconfitta) per il match guadagnerà 40 milioni di dollari, mentre il 58enne di Brooklyn – considerato uno dei pesi massimi più forti della storia – si attesterà più o meno alla metà. Quanto basta, comunque, per ignorare la nostalgia del tempo perduto. Il Tyson sovrano del ring, quello delle 50 vittorie (44 per ko) su 56 match, il più giovane campione del mondo della sua categoria (20 anni, 4 mesi e 22 giorni), l’azzannatore di orecchie (chiedere a Holyfield), il pugile che dal 1986 al 1996 è stato il paradigma del suo sport, nonostante i tre anni persi in carcere (dai 26 ai 29) per lo stupro di Desiree Washington, l’uomo che fu definito «il più cattivo del mondo», adesso è un imprenditore di se stesso, che fra cinema, tv e produzione di cannabis lo scorso anno ha fatturato qualcosa come 150 milioni di dollari. Con queste premesse, si capisce come il match di venerdì (in Italia visibile dalle 5 del mattino del 16 su Netflix) con la boxe vera abbia poco a che fare, se si pensa che si combatterà sulla distanza di 8 round di appena due minuti ciascuno. Lasciate perdere le dichiarazioni dei protagonisti: Paul ringhia «sconfiggerò una leggenda», Tyson replica che «il più grande pugile di tutti i tempi non può essere battuto». Basterebbe ricordare che l’incontro è già stato rinviato una volta per problemi di vertigini accusati dalla ex stella del ring, pare dovuti a un’ulcera. Insomma, roba da impiegati e non da gladiatori. Eppure Tyson guerriero lo è stato sul serio, tra la corde come nella vita, interpretando la boxe come pura arma di riscatto sociale. Leggendo la sua autobiografia – impastata di violenza, sesso, droga e ingenuità – è facile accorgersi come la sfida contro Paul sia una collisione fra due mondi che hanno in comune solo la fame di denaro, la voglia di eccedere nel divertimento e le accuse di violenza carnale, che neppure l’avversario si è fatto mancare. A dividerli c’è tutto il resto, a partire dai trent’anni squadernati da un’anagrafe impietosa. D’altronde l’11 giugno 2005, quando Tyson combatteva il suo ultimo match da professionista, la piattaforma YouTube che avrebbe fatto diventare il suo rivale ricco e famoso, era stata fondata da appena quattro mesi. Da quel momento e dintorni il tempo ha cambiato marcia, modificando inesorabilmente le sensibilità e le abitudini del mondo che abbiamo intorno.
Che per una notte passato e presente – nel nome del dio denaro – provino a prendersi a pugni, non riporterà indietro le lancette dell’orologio né accelererà l’arrivo di un futuro inquietante. In ogni caso la vetrina dei prossimi anni toccherà inevitabilmente a Paul e ai suoi epigoni digitali, che utilizzeranno lo sport solo come uno dei tanti frammenti con cui costruire la propria immagine. Tyson invece, vinca o perda, sarà atteso da un altro destino: restare ghiacciato per sempre nella sua eterna gioventù di fine millennio. Piccolo gigante analogico di un tempo in cui i pugni servivano per sopravvivere e far credere di essere migliori di ciò che si era.