il Giornale, 13 novembre 2024
Saakhasvili dice che lo vogliono morto
È come se lo stemma di San Giorgio che uccide il drago tra i due leoni d’oro fosse la prova necessaria di quello che si legge sotto: Mikheil Saakashvili, terzo Presidente della Georgia. Una carta intestata solenne e preziosa che si contraddice con la scrittura tremolante e sofferente che viene dopo. Come se, dopo tre anni di prigionia e diverse denunce di avvelenamento, di lui restasse solo un’intestazione, la commemorazione di un passato lontanissimo e sfinito, di quando visionario e baldanzoso sfidava la Russia, la madornale Golia.
Presidente dal 2004 al 2013 Misha, come lo chiamavano gli amici intellettuali francesi, era il simbolo perfetto di una resistenza impossibile e romantica e l’Ucraina doveva ancora venire. Il filosofo Glucksmann e suo figlio, l’enfant prodige della politica francese, lo esaltavano come una nuova Giovanna D’Arco e il giovane popolo georgiano che sognava l’America e invidiava l’Europa, ballava sulle note del primo Eurovision organizzato a Tbilisi con i Subsonica che suonavano. Oggi non restano molte tracce di quel clamore e di quegli amici se non qualche petizione. «Non mi è permesso incontrare nessun membro del Parlamento georgiano e internazionale, mi proibiscono tutto, di uscire a respirare o di telefonare». Per questa intervista che esce col quotidiano belga l’Echo, le trattative sono durate più di un anno, tra intermediari, ripensamenti e difficoltà a filtrare le sue lettere. E così, l’uomo della Rivoluzione delle Rose, che la CasaBianca osannava come il movimento della storia moderna che più ha ispirato a cercare la libertà, guarda fuori dalle finestre ferrate della clinica penitenziaria il suo Paese scivolare nelle mani del Partito filorusso, Sogno georgiano e incita alla protesta. «Si combatta ora perché dopo sarà troppo tardi». La piazza e il presidente del Paese Salomè Zourabichvili sono con lui, un leader ancora capace di fare rumore, paurosamente dimagrito tanto da essere irriconoscibile ma con una forza e un coraggio da leoni: gli stessi che scelse lui nel 2004 quando autorizzò il nuovo stemma e la bandiera della sua Georgia.
Perché dalla prigione incita la protesta?
«Perché abbiamo assistito al più chiaro e arrogante esempio nella storia moderna di elezioni rubate. Dopo resterà la frustrazione e la rassegnazione di vivere in una dittatura che spunterà nella mappa dell’Europa».
Il Cremlino è stato accusato di aver interferito pesantemente anche alle presidenziali in Moldavia. Come e perché il regime russo dovrebbe operare in questo modo?
«Non c’è dubbio che la firma in Moldavia e in Georgia è molto simile. Brogli e irregolarità sono state segnalate, voti multipli e manipolazioni, fake news per influenzare i voti».
Il Primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha assicurato che il governo è pro Europa, ci crede?
«Attenzione: il governo georgiano non ha niente a che fare con quelli europei. Qui purtroppo ogni singola istituzione e ogni ufficio governativo è controllato dalla Russia e dalla sua oligarchia. Ma non solo, il Cremlino ha il controllo su buona parte dell’economia del Paese».
Cosa succederà ora che Trump è stato eletto? Cambierà qualcosa per voi?
«Donald Trump è stato eletto da una solida base isolazionista, ma al tempo stesso non credo che abbandonerà la naturale vocazione americana di essere un buon leader del mondo libero. Ho conosciuto Trump personalmente e posso dire che è un tipo troppo in gamba e orgoglioso per lasciarsi manipolare da Putin».
La Russia sta vincendo la guerra contro l’Ucraina. Poi toccherà alla Georgia?
«No, la Russia al momento è in vantaggio ma non c’è modo che vinca la guerra a meno che non ci sia un completo embargo delle armi contro l’Ucraina. E a quel punto potrebbe andare oltre».
Cosa può fare a questo punto l’Europa, oltre a imporre le sanzioni, per fermare gli appetiti russi?
«Inasprirle ulteriormente».
Come sono le condizioni di prigionia?
«Non ho messo il naso fuori da oltre tre anni e non ho più respirato aria fresca».
Dopo l’avvelenamento ha paura?
«Si. Resto convinto che chi mi ha messo in carcere, cioè il Cremlino e gli oligarchi locali, vogliano sbarazzarsi di me. Il loro obiettivo è farmi fuori».
Cosa ha pensato quando Navalny è morto?
«Che io sarei stato il prossimo. Io e Navalny ci siamo scritti fino all’ultimo, da carcere a carcere. Putin ha già fatto parallelismi tra me e lui. La sua morte mi ha sconvolto. Ho pianto per lui e per me»