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 2024  novembre 13 Mercoledì calendario

Buzzolan, l’inventore della critica televisiva

Quando la televisione era condivisa, quando contava davvero, quando tutti sapevano che cosa fossero «I grandi camaleonti» o i quiz del «Rischiatutto» e la Rai brillava in perfetta solitudine, «La Stampa» aveva un critico tv molto popolare e molto conosciuto, il fondatore della critica televisiva in Italia: si chiamava Ugo Buzzolan, u.bz. la sua originale sigla. Nato il 10 novembre 1924, cento anni fa, se ne andò troppo presto, nel 1990. Era un giornalista, scriveva benissimo, suo fu il primo «originale televisivo» in onda (adesso si direbbe «sceneggiato»), un racconto scritto apposta per il piccolo schermo, La domenica di un fidanzato, 1954. La sua rubrica era enormemente seguita, gli arrivavano ogni giorno decine di lettere: si scriveva tantissimo, la scrittura non l’hanno inventata i social. Oggi alle 18, a Torino, Palazzo della Radio, grazie all’interessamento di Rai Teche e della rassegna Archive Alive!, curata da Susanna Gianandrea e Donata Pesenti Compagnoni, sarà proiettato uno dei suoi originali, «Eravamo Giovani» (1955). Oltre a Antonella Lualdi e Franco Interlenghi, vi recita anche una giovane attrice, Cecilia Ciaffi, la ragazza che diventerà sua moglie, madre di Angelica, Arturo e Dario: i tre figli che oggi ricorderanno insieme al pubblico il loro grande papà.
Altro che i mille di adesso: quando Buzzolan intraprese il suo lavoro di critico televisivo, nel 1958, c’era un canale soltanto. Il secondo programma cominciò le trasmissioni nel novembre del 1961. I programmi avevano ascolti che potevano raggiungere i 30 milioni di spettatori. Impressionante. Non c’era l’Auditel che misurava la quantità, c’era l’«indice di gradimento», che rilevava la qualità, o meglio, per l’appunto, quanto una trasmissione fosse gradita. Il debito che la televisione e la critica televisiva tutta hanno nei confronti di Buzzolan è grandissimo: le sue battaglie contro la censura, contro le intromissioni della politica erano feroci e lievi nello stesso tempo. Come il suo stile felicissimo. Quando morì, a 66 anni, la sua eredità era difficile da raccogliere. Considero dunque un onore e un privilegio, senza retorica, aver provato a farlo. E quando, qualche anno fa, proprio «La Stampa» pubblicò un libro dedicato al piccolo schermo, «La tv che mi piace», per ogni genere televisivo trattato chiesi l’aiuto di Ugo Buzzolan, attraverso i suoi scritti, che la digitalizzazione dell’archivio ha consentito di conservare. E u.bz. fu un Virgilio meraviglioso.
Allora, quando la televisione arrivò in Italia, 70 anni fa, pochi credevano nel nuovo mezzo, gli intellettuali diffidavano. Ma non Giulio De Benedetti, il direttore della Stampa. Che subito incaricò Mirella Appiotti, giovane giornalista, di occuparsi del nuovo mezzo. Cominciando da subito, e proprio dal quiz. Disse il direttore ad Appiotti: «Ho visto che c’è un certo Miche (diceva proprio così, Miche) Bongiorno, che conduce “Arrivi e partenze": farà strada». Il fiuto giornalistico di De Benedetti non si smentì. Come non si smentì quando, nel 1958, decise di far passare il testimone della critica tv da Appiotti a Ugo Buzzolan, uno dei suoi giornalisti più brillanti.
Nato a Thiene, provincia di Vicenza, nel 1924, morì a Torino, in quell’8 ottobre 1990. L’ultima sua rubrica l’aveva scritta il 26 settembre, dal letto. Quando già la fine si avvicinava, lo si incontrava ancora a teatro, smagrito, stanco, ma sempre appassionato. Perché il teatro era una delle sue passioni: che a lungo, giovanissimo giornalista (cominciò a lavorare alla «Stampa» diciottenne) aveva condiviso con quella della cronaca nera. E proprio la cronaca gli aveva conferito il gusto della notizia mescolato con lo stile del narratore. Ugo Buzzolan è stato dunque critico tv per 32 anni, dal 1958 al 1990. Il programma che aveva visto lui, e di cui parlava, lo avevano visto tutti quei milioni di altri spettatori. Il confronto era immediato, squisitamente «generalista».
Le battaglie che Buzzolan condusse erano appassionate come il suo temperamento: contro i mutandoni delle ballerine, simbolo di una censura codina che soffocava gambe e idee; contro gli spot che infarcivano i programmi; contro la cosiddetta «tv verità» che cominciava a dilagare. Ma le sue battaglie erano anche «per»: per la prosa di qualità in video; per la libertà da condizionamenti politici; per le innovazioni. Battaglie ancora attuali e non tutte vinte. Delle moltissime lettere che riceveva, tante erano di lettori d’accordo con lui; e tante di coloro che non lo erano, che lo giudicavano troppo progressista, troppo «di sinistra» (u.bz. era stato anche partigiano, nella Divisione Val Chisone, e fu ferito). Proteste indignate suscitò a esempio la sua adesione allo sceneggiato di Ugo Gregoretti Il circolo Pickwick, che aveva rivoluzionato, per ritmo e impostazione, il concetto del vecchio «romanzo sceneggiato». Buzzolan, u.bz., è ancora ricordato da tanti lettori della Stampa, da autori, attori. Lo ricordano con l’affetto e il rimpianto legati all’idea di una tv che sapeva entusiasmare e indignare, insegnare e intrattenere.