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 2024  novembre 13 Mercoledì calendario

Tremonti commenta il ritorno di Trump

Tremonti, ha vinto di nuovo Donald Trump. Se non ricordo male lei fu invitato al primo insediamento. Ora dirà che aveva previsto tutto.
«Per capire l’America di Trump basta rileggere Alexis de Tocqueville. Alcuni sostengono la tesi secondo la quale il controllo da parte dei Repubblicani della Casa Bianca, del Congresso, del Senato e della Corte Suprema sia la fine della democrazia. Io rispondo: è quel che prevede la Costituzione americana. Lei vede in giro per gli Stati Uniti qualcuno che ne sta contestando la vittoria?».
Alcuni suoi comportamenti in passato non hanno dato l’impressione di un uomo innamorato della separazione dei poteri. Sia come sia, è opinione comune che il secondo mandato di Trump sarà un guaio per l’Europa. Lo pensa anche lei?
«È la fine dell’utopia della globalizzazione. Barack Obama quando si insediò disse: non c’è più il passato, ma solo il futuro. Ecco, mi pare la conferma che quella politica fosse errata».
Lei diceva queste cose anche quando Trump vinse la prima volta. Che la globalizzazione sia finita ce lo ha fatto capire Joe Biden con pesanti sussidi a favore delle imprese americane e dazi su molte importazioni, sopratutto cinesi. Ora le cose peggioreranno?
«C’è sempre una certa differenza fra quel che si dice in campagna elettorale e l’attività di governo. È probabile che Trump replichi l’impostazione del primo mandato».
Ovvero?
«Una colossale deregolamentazione, detassazione degli utili d’impresa, dei rimpatri di capitali, e poi più dazi, anche sui prodotti europei».
Si limiterà ad aumentarli sui prodotti ad alto valore aggiunto o si accanirà anche sui settori più forti dell’export italiano?
«È presto per dirlo, in ogni caso la fiscalità sugli scambi non si limita ai dazi. Perfino nel regolamento doganale europeo l’Iva sulle importazioni viene considerato un dazio. Ora si aprirà un’enorme trattativa fra Bruxelles e Washington su questo: è probabile che Trump ne tenga conto per tarare i dazi sui prodotti europei».
Come pensa si debba attrezzare l’Europa?
«Tempi duri creano uomini forti, uomini forti creano tempi facili, tempi facili creano uomini deboli, uomini deboli creano tempi difficili. Il Dopoguerra portò con sé De Gasperi, Adenauer e il Trattato di Roma. Dal Trattato di Roma discese il mercato comune europeo. Ai primi anni Novanta arrivò Maastricht, dal quale derivò una cosa giusta – l’euro – ma si fece una cosa sbagliata ignorando che in parallelo stava arrivando la liberalizzazione de i commerci mondiali. Furono due Trattati asimmetrici perché Maastricht regolamentò gli scambi all’interno dell’Unione ignorando il fatto che stava nascendo il Wto. Per dirla più semplicemente: i giardinieri che curavano la serra non si resero conto che qualcuno da fuori stava lanciando pietre sui vetri».
Lei è presidente della Commissione Esteri della Camera e di Aspen Italia, dunque una persona piuttosto informata. Andiamo al dunque. L’Unione è divisa e nei guai. Che fare?
«Il contesto è drammatizzato dalla guerra. Oggi il grande problema dell’Europa non è più e non solo l’economia. Ipotizziamo che la guerra in Ucraina si trasformi in una nuova Corea. Se così fosse, ne uscirà vincente Putin. E se accadrà, che succederebbe agli equilibri politici nei nostri confini? Pensi per esempio ai Balcani».
Teme che l’Europa possa entrare in conflitto con la Russia?
«Credo che la pressione dei russi e dei loro alleati crescerà: Cina, Corea del Nord, Iran. L’Europa si è occupata a lungo di allargamento ad est, in modo paternalistico e fiscale, Putin a sua volta vuole l’allargamento a ovest. Il futuro dell’Unione passa dunque dalla costruzione di una vera difesa comune, che può essere allo stesso tempo fattore di unità politica e una leva per la crescita. Nel 2003 la presidenza italiana dell’Unione propose l’introduzione degli eurobond per infrastrutture e spese militari. Vent’anni dopo ci stiamo arrivando».
E però l’impressione è che i governi continentali, a partire da quello italiano, non abbiano voglia di aumentare ancora la spesa per armamenti.
«Sono venti anni che in Europa non spendiamo abbastanza per la difesa. Tra l’altro vent’anni fa c’era ancora la leva militare obbligatoria. Si dice che in Italia sia difficile reintrodurla, ma io ho fatto il soldato semplice e ne ricordo la funzione sociale di costruzione di uno spirito di unità nazionale. Forse è ora di ripensare a qualcosa di simile».
Quanto è grave secondo lei la crisi dell’economia tedesca?
«È finita l’idea di chi credeva in un’Europa che va dall’Atlantico agli Urali. Su quest’idea era stato costruito il modello che teneva in piedi l’economia europea, ovvero import di energia a basso costo dalla Russia, esportazioni in Cina e difesa pagata dagli americani».
La crisi tedesca produrrà il ridimensionamento dell’industria europea dell’auto?
«È un fatto: l’industria dell’auto in Europa si è suicidata a favore di quella cinese. Trent’anni fa si producevano in Cina le auto tedesche con gli operai cinesi, ora siamo alle auto cinesi fatte con gli operai europei, ammesso che li assumano».