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 2024  novembre 13 Mercoledì calendario

Gli equilibrismi di Ursula

«Non posso togliere la vicepresidenza a Fitto». Ursula von der Leyen deve correre nel Palazzo del Parlamento europeo. La sua futura Commissione rischia l’esplosione. E deve convincere socialisti e popolari ad abbassare i toni e a ridurre le pretese. Nel pomeriggio – mentre sono ancora in corso le audizioni dei candidati vicepresidenti – il gioco dei veti incrociati, che sembrava solo una pantomima per accontentare l’ego e l’elettorato dei partiti, si trasforma infatti in una roulette russa. E i due proiettili inseriti nel tamburo della pistola politica brandita da Ppe, Pse e Ecr, sono pronti a colpire l’italiano Raffaele Fitto e la spagnola Teresa Ribera.Tutto inizia di buon mattino. Quando il capogruppo del Ppe, il tedesco Manfred Weber, chiama i colleghi di S&D e di Renew per rimettere in discussione l’intesa chiusa la sera precedente che prevedeva l’approvazione contestuale di tutti i vicepresidenti per ieri sera o stamattina. Una richiesta bocciata subito dai socialisti: «Il voto – ripete la capogruppo Iratxe Garcia Perez – non può slittare, si deve fare entro mercoledì». Perché? Perché Weber, pressato dai popolari spagnoli pronti a bocciare Ribera, li ha calmati accogliendo una loro esigenza: costringere la candidata spagnola a riferire al Parlamento spagnolo sull’alluvione prima del via libera europeo. Sostanzialmente il partito iberico pretende che la ministra di Madrid subisca prima il “processo” in casa. Weber sa che stavolta i suoi colleghi spagnoli non cederanno. Ha bisogno di prendere tempo.I socialisti a quel punto alzano il tiro. «Il Ppe rispetti i patti, si voti tutto subito». E nello stesso tempo mettono nel mirino Fitto. Se Ribera può essere messa in discussione, allora la stessa sorte tocca al candidato italiano. Sul piatto ci finisce la vicepresidenza esecutiva assegnata al rappresentante meloniano. Il Pse ne fa una questione meramente politica. L’Ecr non fa parte della maggioranza politica, quindi non può essere vicepresidente. S&D chiede anche un riconoscimento politico a von der Leyen: una dichiarazione o un documento politico che ristabilisca i confini della coalizione che l’ha eletta a luglio.A quel punto tutto si ingarbuglia. La possibilità che gli eventi precipitino al di là delle effettiva volontà dei protagonisti, diventa concreta. La presidente della Commissione si precipita a Palazzo Spinelli. Parla con i capigruppo di S&D e Renew. Dopo, più riservatamente, con il suo connazionale Weber. Il quale, oltre al pressing degli spagnoli, rimarca un’altra necessità: evitare di formalizzare l’esistenza di una maggioranza di destra. Soprattutto ora che parte la campagna elettorale in Germania. Von der Leyen concorda. Ma sugli aut-aut dei popolari spagnoli non vuole intervenire: «Sono problemi del Ppe di cui non mi posso occupare». Messaggio confermato anche alla socialista Garcia Perez cui ribadisce di non voler sottrarre la vicepresidenza a Fitto. L’inquilina di Palazzo Berlaymont ha bisogno di una sponda per dialogare con Trump e pensa che possa esserlo Meloni. Ma anche che è disponibile a firmare un documento in cui si conferma che la sua maggioranza è quella senza la destra di Ecr.L’impasse non si sblocca. Per i socialisti non basta. Il nodo Ribera resta. Anche per i popolari. La presidente della Commissione cerca un’ennesima mediazione, i contatti proseguono nella notte. Deve fare in fretta. In primo luogo perché l’idea di far slittare tutto alla prossima settimana contiene un rischio altissimo: se i commissari non vengono approvati entro giovedì prossimo, non è possibile dare la “fiducia” all’intero collegio nella plenaria di fine novembre. Bisogna spostare l’appuntamento a dicembre. Un altro mese, dunque, a bagnomaria. L’altro problema è numerico: se ci fosse una forzatura, la sua paura sono i voti in aula. Senza i Verdi che contano cinquanta deputati e magari una parte di socialisti e liberali, il suo futuro diventerebbe più incerto. Anche con il sostegno di Ecr. La debolezza degli Stati membri che l’ha favorita in estate nella formazione di una commissione fatta a sua immagine e somiglianza, si sta rivelando ora una fragilità.