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 2024  novembre 13 Mercoledì calendario

Emma in stato di grazia

«Sono in stato di grazia: chi mi conosce bene mi ha visto serena e felice. Lo spirito con cui ho affrontato il concerto era: questa è la mia festa». Emma deve ancora smaltire le emozioni dello show al Forum di Assago, il primo dei tre palazzetti con cui chiude il progetto «Souvenir», disco uscito l’anno scorso e che ha appena visto una nuova versione con 6 inediti. 
Felice e serena, ma lo spettacolo parte con un video in cui lei è un fantasma che partecipa al proprio funerale... 
«Pensiamo sempre alla fine delle cose come un momento in cui il sentimento che prevale è il dolore, ma voglio dare un altro punto di vista. Sono morta tante volte e ho sempre vissuto la fine come l’incipit di un nuovo inizio. Sul palco porto canzoni ma anche sentimenti: racconto il passaggio fra morte e rinascita». 
Il punto più basso e quello in cui ha capito che era ripartita? 
«La perdita di mio papà (nel 2022, aveva 66 anni ndr) è stato il momento più difficile. Il clic per ripartire è arrivato con “Mezzo mondo”. Ho capito che volevo riprendere la mia strada. “Souvenir” è stato un disco di reset non solo perché stavo attraversando un trauma familiare ma anche perché è cambiata la musica. Dopo l’uscita sono partita subito col tour nei club: non ero in grado fisicamente e psicologicamente di affrontare dei posti grandi. Ero distrutta, disturbata, incazzata... e avevo il bisogno di ritrovare il contatto con la musica e con la gente. È stata una scelta personale, non di mercato». 
Su «Intervallo», brano dedicato a papà, c’è un video in cui è ripresa in primo piano e la commozione arriva come un’onda, sino alle lacrime. Come è stato sul palco? 
«Nessun altro video sarebbe stato adatto. Ho messo in pubblico il mio dolore, cosa che in genere non faccio. Ho visto quelle immagini solo alle prove generali. Al Forum ero emozionata, ma la sfida che mi ero data era quella di non mollare e portare a casa il pezzo. Ce l’ho fatta». 
Il concerto ha una fase con arrangiamenti rock, quindi scivola verso il pop (e ci sono ospiti Olly e Jvli), con Lazza, Fabri Fibra e Tony Effe si apre una finestra rap, la techno di Deborah De Luca apre al finale dance. Un riassunto di Emma, ma ci indica anche il futuro? 
«Ho portato tutto quello che sono stata e che sono. Non amo definirmi in un genere o in un mood e provo a collegare tutto con la mia presenza sul palco». 
Canta anche in modo diverso, la sua voce sembra meno urlata... 
«Pachy, il mio vocal coach, lavora non solo sulla tecnica ma anche sulle posture errate: usando il corpo in modo diverso riesco a fare bene anche falsetto e voce sottile. La rabbia e la forza non sempre aiutano: morbidezza e dolcezza possono aiutare». 
Per «In Italia» proietta stralci di articoli sul femminicidio e sulla bocciatura del Ddl Zan… 
«Punto la lente sui temi dei diritti civili, del razzismo, dell’omofobia. Provo a riportare il dibattito su un piano empatico e umano. Dare diritti a qualcuno non significa toglierli ad altri». 
Da qualche tempo si è aperta a collaborazioni con i rapper che sul tema del rispetto verso le donne spesso scivolano verso un linguaggio poco accettabile. Come lo concilia con le sue idee? 
«Sul rap ci vuole uno sguardo più aperto. Come il pop ha le sue linee guida, anche il rap ha un suo immaginario che è fatto di testi forti e scomodi ma dietro ci sono persone perbene: alla musica si deve lasciare libertà di espressione. Puntiamo il dito contro i rapper, ma i problemi sono altrove». 
A proposito di diritti. Sembra che si vogliano restringere non solo quelli delle minoranze. Il diritto all’aborto riguarda tutte le donne... 
«Fingiamo di vivere in una società emancipata ma torniamo indietro. Ci scandalizziamo per il burqa perché ha un impatto visivo immediato, ma anche da noi ci sono limiti alla libertà delle donne. Oppure pensiamo alla legge che ha reso crimine universale la gestazione per altri quando la nascite sono pari a zero e i single non possono adottare. Le donne pagano più di tutti». 
Ora ha altri due palazzetti: il 14 novembre a Roma e il 17 a Bari. E poi? 
«Mi fermo. Ho bisogno di dormire, di fare cene con gli amici, di respirare e di godermi quello che è accaduto dall’uscita del disco in poi». 
E se chiama Carlo Conti? Magari non per cantare? 
«Non ce la faccio proprio. Ho bisogno di un momento per me».