Corriere della Sera, 13 novembre 2024
I giorni di guerra di Stelio Mattioni
C amàn, avanti, muoviti, muoversi, gridano ai prigionieri italiani i carcerieri inglesi. A trascrivere questi comandi e ad intitolare loro un libro è uno dei vinti, che alcuni anni dopo diventerà un originale e forte scrittore, Stelio Mattioni, il quale ha vissuto la Seconda guerra mondiale nelle battaglie dell’esercito italiano contro gli inglesi e in un campo di concentramento inglese in Egitto.
Camàn è il suo diario di prigionia dal 1942 al 1946 e di una sconfitta che potrebbe sopraffare anche psicologicamente chi sta perdendo la guerra e la propria libertà, imparando che ci sono situazioni – quasi tutte – in cui vivere significa obbedire. Scritto in tre versioni fra il 1949 e il 1996, il libro – come sottolinea giustamente la figlia, Chiara Mattioni, accompagnando la pubblicazione del volume – è un libro sulla vita come prigione o sulla prigione quale condizione di vita, il cui pesante e nevrotico fardello è ancor più difficile da portare perché coinvolge un’intera generazione. Un ruolo eminente, nella scoperta di Mattioni, l’ha avuto Roberto Bazlen, alle cui intuizioni devono tanto la cultura italiana e in particolare la casa editrice Adelphi.
Il romanzo, come le fila dei prigionieri, si muove sul ciglio di un baratro o di un vuoto, cui si può opporre una tensione di libertà. Tuttavia Camàn è pure un libro sulla sua Trieste, che risponde all’appello anche quando sembra intontita dal suo mito che insieme blocca e potenzia, dalla sua dura realtà della guerra e degli anni successivi. Un mondo più che reale, in tempi di guerra e in tempi di pace, ma anche fantastico, che non somiglia a nessun altro. Chiara Mattioni, nella sua introduzione, rappresenta la Trieste che il padre trova al suo rientro come una città effervescente e culturalmente plurale, pietre carsiche, selciati e mare. Ma se è vero, come lei scrive, che di Trieste ci si può innamorare ma che è più difficile volerle bene, quella pluralità può assomigliare all’insieme variato eppure uniforme dei prigionieri di Camàn.
Saba, con la sua poesia e la sua famosa libreria, è il centro celebrato e sottaciuto di quel mondo e di quel tempo, la letteratura che diventa una sostanza della vita. Stelio Mattioni va alla sua ricerca anche o forse soprattutto attraverso la sua poesia. Ma, scrive, tutto parte da Camàn, dalla «tensione verso una libertà sempre vagheggiata ma impossibile per l’uomo (…) Ogni tentativo di conquistarla immancabilmente fallisce». L’esperienza di Camàn è il fermento di tanta grande letteratura e Stelio Mattioni esprime la grandezza che dà senso anche alla sconfitta, alla vita dei prigionieri di cui si narra in quel libro di guerra e dopoguerra. La sua narrativa nasce dall’odissea di quei prigionieri che continua anche quando la guerra è finita. È questa che sembra trasformare i libri di Mattioni mentre li stiamo leggendo.