Corriere della Sera, 13 novembre 2024
A proposito di Valencia
Caro Aldo,
ci sono state violente contestazioni in Spagna in occasione della visita di re Felipe nei luoghi del disastro climatico. Capisco la rabbia di chi ha perso tutto, ma cosa c’entra il re? Eventuali responsabilità e colpe sono del governo, non certo di chi ha compiti di rappresentanza.
Giorgio Finzi, Milano
In Spagna siamo arrivati al punto che un gruppo di facinorosi si mette ad usare violenza a Sánchez invece di meditare sulle gesta del governatore della stessa loro razza, certo Mazón.
Andrea Ragno
Cari lettori,
la scena delle contestazioni violente alle autorità spagnole dopo la disastrosa alluvione di Valencia ha colpito molti di voi. Le vittime accertate sono 214 (altre otto si contano tra la Mancha e l’Andalusia), i dispersi 23. Non sono le cifre che si erano paventate in un primo tempo, ma resta comunque il più grave disastro ambientale dell’anno in Europa. Distinguerei però tra le tre personalità che hanno affrontato la contestazione.
Il re se l’è cavata bene. Non è fuggito e si è spiegato. In questi casi, comunque ti muovi sbagli: se vai, ti dicono che sei inopportuno; se non vai, ti dicono che sei insensibile. A chi gli gridava «il governo se ne deve andare», ha risposto: «È una democrazia, e deve funzionare». La monarchia è un’istituzione medievale: regge il peso della modernità se il monarca è all’altezza. La regina Elisabetta ovviamente lo è stata; ora vedremo cosa saprà fare Carlo. In Spagna Juan Carlos ha salvato la democrazia, ma ha dovuto abdicare nell’ignominia. Felipe all’altezza lo è senz’altro, e non solo perché è un metro e 97. Su Pedro Sánchez sono di parte: lo considero il miglior uomo di governo che abbia la sinistra in Europa, l’unico in carica ad aver vinto tre elezioni; certo che la destra lo odia.
A Valencia sono poi scese in piazza duecentomila persone per chiedere la testa del presidente della Comunità (noi diremmo la Regione), Carlos Mazón, considerato molto inefficiente. E in effetti Mazón ha gravi responsabilità. Solo che Mazón non è lì perché ha fatto un colpo di Stato. È lì perché ha vinto le elezioni, non più tardi di un anno fa, quando il partito popolare da lui guidato superò il 36%. Non solo. Ironia della sorte, pochi giorni prima dell’alluvione un sondaggio aveva confermato la popolarità del presidente, che era accreditato di oltre il 40 per cento dei voti. Consenso immeritato? È possibile. Così come è impossibile giudicare le reazioni, per quanto emotive e talora violente, di una comunità che ha perso tutto, anche la vita di molte persone care. Eppure in una democrazia nessuna comunità è mai del tutto innocente. È responsabile dei leader che sceglie, e anche delle loro politiche. Negare il cambio climatico e non combatterlo, questo sì è irresponsabile.