Corriere della Sera, 13 novembre 2024
Licia Pinelli se n’è andata senza giustizia
Licia Pinelli se n’è andata senza avere ricevuto risposta alla domanda che cominciò a porre 56 anni fa, quando l’avvisarono che suo marito Pino, ferroviere anarchico, era morto precipitando da una finestra della questura di Milano, la sera del 15 dicembre 1969. Ha trascorso ben più della metà della sua lunghissima esistenza a chiedere la verità su quello che inizialmente si voleva far passare per suicidio (a completamento del depistaggio sulla strage di piazza Fontana avvenuta tre giorni prima) e per oltre mezzo secolo s’è trascinato nella drammatica alternativa tra omicidio e disgrazia, che ha avvelenato il seguito della storia. Provocando altri morti. Indissolubilmente intrecciati tra loro e con la bomba alla Banca nazionale dell’Agricoltura. Un groviglio che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano provò a sciogliere davanti agli italiani nel 2009, definendo Pinelli la diciottesima vittima della strage e accogliendo al Quirinale sia Licia Pinelli che Gemma Capra, la vedova del commissario di polizia Luigi Calabresi ucciso a colpi di rivoltella nel 1972, dopo essere stato pubblicamente additato come l’assassino di Pinelli. Non lo era: l’unico elemento accertato dalle indagini sulla fine del ferroviere è che il commissario non si trovava nella stanza da cui precipitò la vittima al momento del volo. Per il delitto Calabresi ci sono dei colpevoli dichiarati da sentenze definitive, seppure contestate dai condannati, ma su Pinelli è rimasto il buio, malamente rischiarato dall’ipotesi del «malore attivo» avanzata da un giudice, che non ha mai convinto nessuno. La strage del 12 dicembre, da cui tutto ebbe inizio, è rimasta impunita, però oggi sappiamo chi l’ha organizzata e perché: i neofascisti coperti dagli apparati di sicurezza. I colpevoli sono stati indicati con nomi e cognomi dai giudici ma fuori tempo massimo (erano già stati assolti con sentenza definitiva quando un’altra Corte d’assise li indicò come responsabili), cavandosela grazie ai depistaggi orditi con la complicità dei servizi segreti, che ebbero un ruolo pure nelle fughe all’estero di informatori e imputati. È il paradosso di una vicenda senza giustizia, in un Paese dove le «trame nere» sono state imbastite con connivenze istituzionali che le hanno utilizzate e sfruttate: quello che hanno fatto i terroristi protetti da uomini dello Stato, alla fine s’è scoperto, seppure con fatica e troppo ritardo; quello che è accaduto nella questura di Milano, ancora no.