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 2024  novembre 12 Martedì calendario

Una mappa è per sentire

La necessità di rappresentare il mondo è una costante dell’essere umano perché ci regala l’illusione di controllare la realtà. Dall’antichità a Google E, per dirla con Primo Levi, nessuno ti parlerà come il “tuo primo atlante”
Esiste al mondo un premio per la mappa più bella dell’anno e qualche anno fa fu assegnato alla mappa World of Rivers del National Geographic. Una mappa effettivamente stupenda, e anche impressionante: segna soltanto i fiumi ed è perciò perfettamente bianca in corrispondenza dei deserti. Chissà cosa ne avrebbe pensato l’artista Alighiero Boetti che, oltre a produrre le sue celebri mappe e bandiere in arazzo, assieme ad Anne Marie Sauzeau aveva composto in un libro l’arduo catalogo dei fiumi più lunghi del mondo (i relativi materiali, fra mille altri, sino a febbraio si ammirano alla mostraCabinet de curiosités, alla Tornabuoni di Roma). Da quanto ne ha poi raccontato Sauzeau, stabilire l’esatta lunghezza di un fiume non è affare da poco, per ragioni geologiche e geometriche. Ci sono fiumi che spariscono e ricompaiono chilometri dopo, fiumi che si immettono in un lago e ne fuoriescono: come considerare il loro corso intermedio? E come misurare le anse? Seguendo il percorso della formica, quello di un camminatore sul bordo o quello ancor più rettilineo della ferrovia che le costeggia più dall’interno? Questi sono soltanto alcuni dei moltissimi motivi per cui allestire mappe è un grattacapo. Com’è il mondo possiamo saperlo soltanto da come ci appare, di volta in volta, in relazione al punto di vista che adottiamo. Perciò la differenza tra “mappare” e “m’appare” è curiosamente minima non solo sul piano dell’espressione ma altrettanto sul piano del contenuto.
In realtà il nome della mappa è un sinonimo di drappo, panno ed è passato alla rappresentazione topografica perché in origine questa veniva eseguita su tela. Sempre per la figura che nomina il supporto anziché quello che vi è riportato (accade anche con “tela” in pittura, con “vinile”, con “film”, persino con “libro”) in tempi successivi abbiamo cominciato a parlare di “carta” geografica. Così dalla mappa come fazzoletto si arriva alla mappa come rappresentazione geografica (del resto in tasca oltre ai fazzoletti oggi possiamo tenere, nello smartphone, anche Google Maps). Ma questa estensione nel significato della parola “mappa” non è rimasta l’unica a lungo.
Come dei territori anche di ogni altra cosa la nostra esperienza ci fa conoscere singoli punti, che magari non sappiamo neppure ben connettere fra di loro. Di certe città conosciamo soltanto il cartello che ne segnala l’uscita su un’autostrada: fin là sapremmo arrivarci, ma per raggiungere un albergo, un museo, un’abitazione in cui non siamo mai stati dobbiamo servirci di una mappa. La mappa è dunque il dispositivo che traccia le relazioni tra i punti, consentendoci della realtà una visione non più meramente puntuale ma articolata e a due o più dimensioni: vale per la conoscenza dei luoghi ma vale anche per la conoscenza di qualcos’altro, o per la conoscenza in sé. Come nello spazio anche tra i concetti ci sentiamo orientati o disorientati, seguiamo o no il filo d’Arianna del ragionamento nei labirinti del sapere, e l’esperienza di “perdersi in un passaggio” è comuneagli escursionisti e agli studiosi. È per questo che oltre alle mappe geografiche abbiamo mappe concettuali in cui (anche sulla base di metafore profonde, come quelle di “campo del sapere” e di “teatrodi memoria”), a essere collegati non sono centri abitati ma nuclei ideali, in rapporti di successione, di causa ed effetto e simili.
Oppure: la società. Come conosciamo la società in cui viviamo?
Ci guardiamo attorno e ci facciamo delle impressioni fatalmente generiche, “pochi giovani”, “poche carrozzine”, “molte carrozzelle e deambulatori”. Con gli strumenti della statistica gli studi demografici individuano i punti salienti per scandagliare una realtà tanto composita e disegnare mappe sulla composizione della popolazione. Nelle occasioni elettorali, il dato bruto per cui un certo partito ha aumentato i voti e un altro li ha persi viene scorporato per zone sino ai singoli seggi e produce un sapere non certo ma assai probabile dei flussi che hanno causato aumenti e diminuzioni: la forma che prende questo sapere per essere trasmesso (testo, elenco, diagramma) ha il nome di mappa anche quando a una mappa geografica non somiglia affatto. È pur sempre un modo per rappresentare singoli nuclei di conoscenza assieme alle relazioni che li legano.
Nella scuola di una volta la materia più detestata era la geografia eppure il libro di testo più amato era l’atlante geografico, le cui forme e i cui colori ispiraronouna poesia a Primo Levi (Il primo Atlante: «(…) Angariata Ungheria, bolo bruniccio di gulasch. / Italia buffo stivale dal tacco spropositato, (…) /Germania terra turchina di germi e di germogli (…)»). Il fatto è che le mappe geografiche – quelle della Terra come quelle degli altri pianeti, delle terre immaginarie, delle città d’Utopia – sprigionano tutte un fascino fatale e ineluttabile. Se il visitatore dei Musei Vaticani non sapesse che lo stanno aspettando le Stanze di Raffaello e la Cappella Sistina potrebbe indugiare per intere ore nella spettacolosa Galleria delle carte geografiche. Non sarà solo per la bellezza ornamentale degli affreschi, ma anche per il genere duplice dei loro soggetti: i territori urbani organizzati dalla civiltà umana e il loro dominio consentito allo sguardo dalla sapienza del cartografo.
Ci atteniamo alle mappe perché sappiamo che Levi aveva ragione quando chiudeva la sua poesia con i versi: «Nessuna delle terre scritte nel tuo destino / Ti parlerà il linguaggio di quel tuo primo Atlante».