la Repubblica, 12 novembre 2024
Minuto di rumore vietato nel liceo di Giulia Cecchettin
Pretendeva silenzio il preside del liceo in cui ha studiato Giulia Cecchettin. E invece studentesse e studenti volevano fare rumore: un minuto di rumore contro i femminicidi e contro la radice di queste barbare uccisioni, già quasi un centinaio dall’inizio dell’anno. Ne è nato uno scontro tra dirigente scolastico e studenti, proprio nel giorno in cui servivano unione e coesione, quell’ 11 novembre in cui bisognava ricordare, a un anno di distanza, l’uccisione di Giulia per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta.Di fronte alle richieste dei movimenti studenteschi, che volevano organizzare “un minuto di rumore” in ogni classe, Luca Piccolo, preside del liceo Tito Livio di Padova, ha detto “no”. Meglio il silenzio, o al massimo una candela accesa sul balcone di casa. Un ordine impartito prima a voce e poi con una circolare. Ma gli studenti hanno disobbedito e ora annunciano battaglia. «Ben 17 classi hanno trasgredito a questo ordine e adesso stiamo organizzando qualche forma di protesta per i prossimi giorni», annuncia Viola Carollo, della rete degli studenti medi del Veneto. Mentre il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, ieri a Mestre per presentare il suo nuovo libro, ha alzato un muro in difesa del preside. «Massimo rispetto per quello che fanno le scuole, non entro nel merito», ha detto, cercando di placare ogni polemica. Ma la questione è tutt’altro che chiusa.In tutta Italia sono state numerose le scuole e le università che hanno deciso di organizzare i “minuti dirumore”, ormai diventati simbolo della lotta alla violenza di genere da parte degli studenti. Funziona così. Ci si accorda con l’istituto per un orario in cui deve suonare la campanella e, da quel momento, per un minuto, tutti gli studenti iniziano a fare rumore sbattendo sui tavoli chiavi, borracce, penne, righelli. «Lo scopo è far sentire rabbia e indignazione, per una coscienza collettiva», continua Viola Carollo. Ma il dirigente del liceo Tito Livio, la scuola in cui studiò anche Giorgio Napolitano, aveva un’idea completamente diversa.«Proprio perché è necessario interiorizzare questo evento, credo chela nostra strada debba essere quella del silenzio», ha scritto Piccolo nella circolare e anche in una lettera pubblicata sul sito della scuola.Nel documento si invitavano poi ragazze e ragazzi ad accendere una candela sul balcone della propria camera, lasciandola consumare fino alla fine. E magari fare una foto, da inviare a un indirizzo mail creato appositamente. Anche tra i docenti del liceo padovano la scelta del preside non è stata presa benissimo. «Giulia era mia alunna, tutto ciò che si può fare per lei è sempre troppo poco», dice Barbara Giovannelli, insegnante di Storia e Filosofia. «Vorrei capire la ragione di questo divieto, che non ha alcuna logica. Parlerò con i ragazzi».È possibile che faccia sentire la sua voce anche Elena Cecchettin, sorella di Giulia e attivista sul fronte dei diritti delle donne. «Lei e il padre hanno dato voce a questa tragedia che non è un lutto qualsiasi ma il frutto avvelenato del patriarcato», ricordano gli studenti. «Ecco perché adesso non accettiamo di essere zittiti in questo modo da un preside». Ieri mattina, a poche centinaia di metri dal liceo in cui è stato imposto il silenzio, l’Università di Padova, 800 anni di storia, ha deciso di ricordare proprio con il rumore di tante studentesse e tanti studenti la sua laureanda massacrata a coltellate. C’era anche Gino Cecchettin. Quanto alle motivazioni che possono aver indotto il dirigente scolastico ad adottare questa linea intransigente, Viola Carollo ha le idee chiare. «C’è paura di esporsi in quello che viene visto solo come un tema politico e non come un problema sociale», dice la rappresentante degli studenti. «Non c’è una presa di responsabilità da parte dell’educatore, che sembra non aver compreso il senso di un anno di dibattiti. La matrice è molto chiara: non si vuole usare la parola patriarcato».