Corriere della Sera, 12 novembre 2024
Il Gladiatore 2 vuole rendere Roma Great again
Verrebbe da scrivere Let’s make Rome great again (Rendiamo Roma di nuovo grande) dopo aver visto questo tormentato sequel che a ventiquattro anni di distanza rinverdisce la fama cinematografica del Gladiatore originale. Tormentato perché la storia delle sceneggiature che si sono succedute, compresa una affidata a Nick Cave, e che hanno fatto passare la proprietà dalla DreamWorks di Spielberg alla Paramount, occuperebbe un libro, prima di approdare a quella di David Scarpa e Peter Craig che ha convinto l’ottantaseienne (oggi) Ridley Scott a tornare dietro la macchina da presa.
Ma tormentato anche perché la Storia, quella romana autentica, ha subito più di un aggiustamento, piegandosi alle esigenze narrative e soprattutto a quelle spettacolari: mai saputo che nel Colosseo si facessero anche delle naumachie ma soprattutto che nell’acqua scorrazzassero degli squali famelici che si avventavano sui malcapitati che cadevano dalle navi.
Comunque, dato per assodato che Scott non è Barbero, tutto il resto scorre via come ce lo si poteva aspettare: battaglie filmate con gli otturatori al millesimo di secondo per ottenere delle immagini eccezionalmente nitide, grande sfoggio di duelli tra gladiatori per il piacere del popolo (e degli spettatori), trame e intrighi per impossessarsi del potere e – lo si diceva all’inizio – una spolverata di ambizione nazional-populista che mescola l’utopia di Marco Aurelio con il fascino soldatesco al grido di «forza e onore».
A condurre il film è Lucius, un irriconoscibile e pompato Paul Mescal (che differenza dalle delicatezze di Aftersun e Estranei!), combattente per l’africana Numidia ma dall’apparenza evidentemente caucasica e stranamente colto in citazioni latine. All’inizio del film vediamo Lucius lottare per la sua terra attaccata dalle legioni romane guidate dal generale Marcus Acacius (Pedro Pascal): non solo la Numidia è conquistata ma l’amata moglie Arishat (Yuval Gonen) viene uccisa in battaglia e Lucius, dopo una specie di puntatina nell’aldilà a vedere la moglie che se ne va sulla nave di Caronte, viene fatto prigioniero dai romani.
Il suo destino sarà naturalmente quello del gladiatore, adocchiato subito dall’esperto Macrinus (Denzel Washington, inevitabile tributo alle esigenze della varietà biologica), che indirizzerà il film verso temi più politici e meno agonistici (anche se i duelli, naumachia compresa, faranno sempre la parte del leone nel film). Lui, che forse dovrebbe adombrare l’omonimo prefetto del pretorio che salì al potere nel 218 d.C. prima di essere deposto dai Severi, introduce anche l’unico personaggio femminile di rilievo del film, Lucilla (Connie Nelson), moglie di Marcus Acacius ma con un segreto nel passato che gli spettatori non tarderanno a scoprire.
Dopo aver fatto riscoprire agli spettatori con il primo Gladiatore i fasti dei peplum, creando con Russell Crowe un nuovo tipo di eroe cinematografico, capace di contare solo sulla propria forza fisica e intelligenza tattica (e non sui ritrovati delle tecniche digitali con cui sono cresciuti i super-eroi), Ridley Scott doveva inventarsi qualcosa che giustificasse la «necessità» di questo nuovo sequel. E l’ha trovato in una specie di filosofia del dovere e del coraggio messa naturalmente al servizio di un progetto di società accogliente e rispettosa, probabilmente ispirata a quella Costitutio antoniniana che l’imperatore Caracalla (Fred Hechinger) nel film non ha il tempo di emanare (viene ucciso subito dopo essere salito al potere mentre in realtà regnò sette anni) ma che invece fece nella Storia allargando la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi.
E Il gladiatore II diventa così una specie di viatico populista per il terzo millennio, dove l’abilità nei combattimenti e il senso del dovere sovvertono le regole auree dei ludi gladiatori (introducendo il rifiuto di eliminare l’avversario) ma contemporaneamente fanno della forza fisica il vero tratto distintivo di chi vuole emergere per vincere, offrendo della politica una visione fatta di intrighi e tradimenti che solo l’uomo forte potrà emendare.