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 2024  ottobre 01 Martedì calendario

Biografia di Marco Cianca (1953-2024)

Marco Cianca (1953-2024) «Giornalista. Marco Cianca è andato via. E per chi ha vissuto e condiviso anni, decenni di vita e di lavoro con un amico, è difficile trovare parole che trasmettano e raccontino qualcosa di lui. Qualcosa di non banale. Scovare tra i tanti ricordi di giornate belle e di tempi difficili, anche di tensioni e discussioni, come è normale che avvenga tra amici che non si nascondono niente. Ci fu un episodio che ci fece litigare così tanto da non rivolgerci più la parola per alcuni mesi. Io a Milano, lui a Roma. Fu dura, ma la superammo. Come sanno fare i veri amici. Marco era un uomo colto, che sapeva fare il giornalista nel senso più vero e profondo del termine. Era puntiglioso e spesso la sua infinita cultura — una sorta di Treccani che in molti consultavamo al volo nei momenti in cui il tempo stringeva — lo faceva diventare pignolo. Non penso di esagerare se scrivo che è stato sicuramente il migliore tra tanti di noi, il più giornalista, generoso e disponibile. Se leggesse queste parole, sono sicuro che mi guarderebbe male, mi accuserebbe di inopportuna agiografia. Però alla fine mi perdonerebbe in nome di un legame che soltanto giornate, settimane, mesi e anni passati in una redazione bella, vulcanica, difficile hanno potuto costruire e saldare. Al Corriere ha dedicato la sua vita e le sue energie, molte e molte energie. Ha incarnato il senso e l’anima del nostro giornale, difendendolo e dando l’esempio di cosa significhi davvero essere un «corrierista». Per uno come Marco, prendere un «buco» da un altro giornale diventava una questione personale, un vulnus che lo faceva soffrire più di una lite in famiglia, sentiva il peso della responsabilità. E cominciava la caccia al riscatto. A modo suo, lavorando lui e facendo lavorare senza sosta la sua squadra, la sua redazione. Si è speso in ogni modo, un modo talvolta anche spigoloso e insistente, fastidioso per chi non capiva o non voleva capire o faceva finta di non capire cosa c’era dietro, quanta puntigliosa cura mettesse nel gestire anche il pezzo più insignificante. Finché non si convinceva che una parola, un aggettivo, un titolo, una collocazione era quella giusta, non si dava pace, telefonava, discuteva, insisteva. Battaglie vinte, battaglie perse. Ma sempre per un giornale che era dentro di lui, che ha vissuto in modo viscerale, indissolubile dall’altra parte della sua vita, quella privata. Una vita privata che, come sa chi fa questo mestiere, è spesso schiacciata, piccola, sacrificata. Oggi raccontare aneddoti significherebbe parlare più di me o di altri che di lui e quindi non ne voglio far cenno, ma se penso a quante volte gli ho chiesto aiuto — dentro e fuori il giornale — sento di avere un debito enorme. Un debito che non potrò mai ripagare. Marco ha fatto molte cose al Corriere. Si è occupato, capendone e diventandone uno dei massimi esperti, di economia e sindacato. È stato capocronista e capo dell’ufficio romano, gestendo situazioni delicate, quelle che hanno a che fare con il mondo complesso e vischioso della politica. Quel lavoro lo ha fatto bene, con rigore e mente libera da partigianerie. Ha fatto il capo e, come tutti i capi ha sofferto la solitudine di un ruolo che il suo carattere talvolta ha reso ancora più evidente, caricandolo di amarezze.
Negli ultimi anni, ha ritrovato l’amore accanto a Laura, la compagna che gli ha regalato una seconda vita, ha stemperato, addolcito e fatto riemergere le cose più belle di un uomo limpido, pulito, libero. Un uomo che ha amato e sostenuto in ogni modo Mario, il suo adorato figlio che stava per dargli la gioia di un nipotino. Marco non potrà conoscerlo ma gli racconteremo che nonno formidabile avrebbe avuto, un nonno buono» [Antonio Macaluso, Cds].