9 ottobre 2024
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Biografia di Antonio Albanese
Antonio Albanese, nato a Olginate, poco a sud di Lecco, il 10 ottobre 1964 (60 anni). Attore, sceneggiatore, comico, regista, cabarettista.
Titoli di testa «Io diffido dei simpatici a tutti».
Vita Ha due fratelli più grandi, Ignazio e Anna. Ha definito il paese dove è cresciuto «uno dei posti più belli del mondo» • «Lei è figlio di un muratore. “Papà lasciò Petralia Soprana, borgo delizioso delle Madonie a 1.147 metri, per finire all’altro capo d’Italia: Olginate, sopra Lecco. Alzi lo sguardo e vedi il Resegone, lo abbassi e vedi le officine. Non partì per un vezzo culturale o per imparare le lingue; partì per fame”. È vero che non trovava casa? “Non cercavano scuse, glielo dicevano in faccia: non affittiamo ai meridionali. Così divise uno scantinato con altri siciliani. Si fece accettare poco alla volta. Giravo per il paese e lui mi diceva con orgoglio: ‘Vedi quel balcone? L’ho fatto io. Guarda quel davanzale; la padrona di casa ancora mi ringrazia’. Era un lavoro umile, ma mio padre ne era orgogliosissimo”. Il gusto del lavoro ben fatto. “Un signore del posto mi disse: ‘Se tüch i sicilian fussen cuma el to pà, la Sicilia l’era el Giapùn’. Non mi fece piacere. Era un’offesa ai siciliani, che abitano una terra meravigliosa e potente”» [Cazzullo, Cds] • «Qual è il suo primo ricordo? “I viaggi in treno Milano-Palermo: 24 ore, 30 con i ritardi. Papà lasciava mamma, me, mio fratello e mia sorella in stazione con le valigie, e si incamminava verso il treno con altri disperati pronti a tutto. Ci saltava sopra al volo, occupava i posti, poi si sbracciava: ‘Presto, gettate le valigie!’. Ricordo ogni dialetto, ogni profumo. Salivano i ciociari, i casertani, i salernitani, i lucani, con certe frittate dall’effluvio che ti faceva lacrimare gli occhi. La Calabria non finiva mai [...]”. Allora si conversava? “Insomma. Una volta avevo di fronte due siciliani che rimasero in silenzio assoluto per 22 ore. Alla vista dello Stretto, uno lanciò un bacio alla terra natia, tirò fuori un panino e mi rivolse finalmente la parola: ‘Lo vuoi un po’ di panino?’. Era la settimana santa, il viaggio fu davvero una Via Crucis. Ci fermavamo di continuo, quasi sempre in galleria. L’altro, dopo due ore inchiodati nella stazione di Termini Imerese, si animò, abbassò il finestrino e gridò a pieni polmoni: ‘Buttana de ’a miseria, amo a passari a Pasqua accà?’. Il treno ripartì subito”» [Cazzullo, cit.] • «Quale fu il tuo primo maestro? “Non fu un maestro, ma una maestra. Una maestra a volte disperata perché ero un bambino abbastanza vivace. Sempre stato vivace, sempre avuto una bella energia. Abitando tra il lago e il bosco, poi... Ma una cosa la ricordo bene: anche lei, come tutti i maestri, aveva una credibilità oggi troppo spesso perduta”» [a Stella, Cds] • «Ti è pesato, tanti anni fa, lasciar la scuola a quattordici anni per andare in fabbrica? “La cultura era quella, allora. Amen. Certo, a ripensarci oggi... Quando mio figlio mi ha detto che voleva fare il liceo classico sai cosa ho fatto?” Cosa? “Ho stappato una bottiglia”» [Stella, cit.] • Ha lavorato per sette anni come tornitore in una fabbrica di macchine utensili, la Tecnoimpianti. «Facevamo macchine per la trafilazione. Era un lavoro dignitoso e creativo: avevamo il disegno da realizzare al millesimo di millimetro. Il trafilato entrava nei rulli e diventava filo di ferro […] saprei usare il tornio, la fresatrice, la lesatrice, il trapano radiale. Non è inutile. Ho anche un tatuaggio tribale. Lo vuol vedere?”. Questo filamento sul polso? “Un truciolo incandescente si infilò tra la mano e il guanto. Fu più lo spavento che il male”» [Cazzullo, cit.].
Teatro «Mio fratello Ignazio frequentava Brera e mi portò a vedere Dario Fo, poi Gabriele Vacis» [Cazzullo, cit.]. «Le piacque? “Impazzii”» [a Pagani e Travaglio, Fatto, 2012] • «Mi aiutò un leggero esaurimento nervoso: avevo voglia di uscire dal mio mondo. La sera mi divertivo a metter su un po’ di musica in una piccola radio privata. Ma mi pareva una cosa irraggiungibile, il teatro» • Aveva ventidue anni quando chiacchierando con amici venne fuori che una ragazza faceva un corso serale di teatro: «Due volte la settimana dopo il lavoro correvo in uno scantinato di Porta Romana, ai corsi di teatro di un argentino scappato dalla dittatura, Raul Manso. Per me era un gioco. Finivo in fabbrica alle cinque e mezzo, mi facevo una doccia e due sere la settimana partivo per Milano con la mia vecchia macchina di seconda mano. L’amore è stato immediato. Facevamo roba serissima. Controllo della voce, controllo del corpo, piccole esercitazioni… Un giorno mi disse: “Lo sai che sei portato?”. Così diedi l’esame alla scuola civica Paolo Grassi. Mi presero» [Cazzullo, cit.] • «E così lascia la fabbrica. “Il padrone, il signor Gnecchi, mi voleva bene e si ingelosì: ‘In quale altra fabbrica vai?’. Quando scoprì che volevo fare teatro mi incoraggiò”. E suo padre? “Incassò il dolore senza voltarsi. Disse solo: ‘Cazzi tuoi’”» [Cazzullo, cit.] • «L’Accademia Grassi, ambientino piuttosto snob, l’ha messa a suo agio? “Non direi, almeno non subito. Il primo anno è stato duro, ero isolato, l’estrazione diversa pesava come un macigno. Ma io non mollavo: spettacoli, mostre, letture furiose... fino a un’illuminazione: io avevo di più, non meno di altri. Io avevo i fondamentali di una cultura popolare che non impari sui libri perché è fatta di fisicità, umanità, ritmi, colori, parole che in certi ambienti non sono mai pronunciate”» [Rossini, Espresso] • Prende in affitto una stanzetta in periferia assieme a uno studente messinese, e si mangia tutta la liquidazione (agli iscritti all’Accademia era vietato lavorare) • «Ho fatto il cameriere e il barista, ho pitturato un appartamento, ho insabbiato una casa...”. Insabbiato? “Ci si mette una specie di scafandro e si disincrostano i muri con getti di sabbia: faticosissimo. Vendetti la macchina, un’Audi 80 di ventiduesima mano. Avevo un sax contralto, bellino, seminuovo: vendetti pure quello. Quando non avevo più nulla da vendere, mi presentai a Zelig”. Il cabaret di Bisio, Paolo Rossi, Gino e Michele. “C’erano anche Aldo Giovanni e Giacomo. Io avevo un personaggio drammatico, il paziente di un manicomio, Epifanio. Gli misi occhiali e un cappotto rubato alla scuola di teatro, e lo voltai in comico» [Cazzullo, cit.] • «Michele: “Un giorno ci telefona il critico Renato Palazzi dalla Scuola Paolo Grassi: ho qui uno che fa per voi. Era un attore che aveva lavorato osservando i malati in una casa di cura. Salì sul palco con un personaggio timidissimo, che si chiamava Tolmino, non ancora Epifanio, e indossava il cappottino della mamma di Palazzi”, Gino: “Antonio Albanese debuttò in televisione in “Su la testa”, e una sera fece Epifanio salutando: ‘Ciao miao bau’. La mattina dopo mi alzo, faccio colazione e dalla finestra vedo alcuni studenti che si salutano facendo ‘ciao miao bau’. In una sola serata, Epifanio aveva già sfondato”» [Gino & Michele a Di Stefano, Cds] • «Io sono partito con intenti diversi: […] Cechov, Pinter. Quando ho scoperto la comicità ho avuto la sensazione di saper volare: rendermi conto del mondo e del nostro tempo» [a Finos, Rep] • Nel 2015 smette di fare spettacoli dal vivo, fino al 2023, quando mette in scena Personaggi al teatro Arcimboldi di Milano: biglietti esauriti in poche ore, raddoppio dello spettacolo del sabato per le alte richieste • «In Grazie ragazzi lei mostra che il teatro può cambiare la vita. Ci metterebbe la mano sul fuoco? “Vengo da una famiglia operaia, ero destinato a fare altro, ma ero un ragazzo che sentiva di avere delle cose dentro. Come un fuoco. I libri, il teatro mi hanno aiutato a tirarlo fuori. Io sono la prova che la cultura, la conoscenza, le buone letture sono una leva potente”» [a Bandettini, Rep].
Tv Nel 1992 va al Maurizio Costanzo Show, ma il vero successo lo ottiene a Mai dire Gol dove i tre della Gialappa’s gli fanno fare l’allenatore del Foggia Frengo, Stop e Pier Piero, giardiniere di Berlusconi gay e interista • «Quando scoprii che il figlio di Silvio si chiamava Pier Silvio, faticai a crederci. Poi non resistetti. […] Macchietta innocente, fino a quando una mattina, mesi dopo, non mi telefonò mia madre. Donna umilissima, spaventata, atterrita […] Avevano arrestato ad Arcore il vero giardiniere di Berlusconi e Gigi Vesigna, direttore di una rivista oggi estinta, Il Telegiornale, mise in copertina la notizia”. Che c’era di strano? “Nella foto c’ero io. Mamma aveva le palpitazioni”» [ibid.] • Crea un personaggio dopo l’altro: Mino Martinelli, filosofo contemporaneo cocainomane, il professore Pacifico, mite insegnante di latino, il Ministro della Paura, l’ultrà Frengo, il fannullone Alex Drastico, e altri • «Io non imito i Vip, rubo la realtà. I miei sono personaggi che ho incontrato nei bar, sul tram» • «Non mi piace parlare dei politici. Nei miei personaggi non c’è riferimento a una persona ma a un insieme di gestualità e comportamenti, dal vicino di casa al personaggio illustre, per raccontare un sentimento del tempo» [a Bandettini, Rep] • «A volte mi faccio invitare in serate orribili, dove c’è della gente così antipatica che si vede appena entri e vorresti scappare via, ma sono fonti di ispirazione pazzesca» • «Credo che per un attore la televisione sia un po’ come per un industriale una fiera: passa tantissima gente, hai la possibilità di farti vedere molto, tutti ti conoscono. E questo va benissimo. Ma gli affari veri sono altrove» • Nel 2007 entra nella squadra di Fabio Fazio a Che tempo che fa. Si inventa il personaggio di Cetto Laqualunque, politico calabrese politicamente scorretto «che del voto di scambio dice “è mercato”, che trova posto a sua figlia come cardiochirurgo malgrado abbia la licenza media. E che ha come centro della sua campagna elettorale “chiu pilu per tutti”, ovvero donne, donnine e sesso facile al Minchionaire, il locale che fa il verso al Billionaire di Flavio Briatore» [Stefania Berbenni, Panorama] • Per scriverlo, ha assistito a decine di comizi elettorali • L’anno scorso, davanti ai ragazzi del Giffoni Film festival, ha raccontato un episodio che lo ha ispirato: «Ero in un paesino della Calabria e un candidato alle elezioni locali si è presentato sul palco con la foto della moglie dell’altro candidato e ha detto: “vedete questa è una buttana non potete votare a lui perché è un cornuto!” […] Cetto non si ispira a un personaggio in particolare. È un insieme di politici che ho incontrato non solo in Calabria. Come quello che disse “Sarò breve e circonciso” e poi è diventato deputato» • «Una grande maschera italiana, ormai superata dalla realtà» [Cazzullo, Cds]. «Nel 2011 a Oria, un paesone da 15mila abitanti in provincia di Brindisi, il poliziotto in pensione Francesco Arpa si candidò a sindaco con la lista Persone Indipendenti Libere Unite: in sintesi, P.I.L.U. Il suo slogan era: “Ti piace il P. I. L. U.? Dimostralo: vota Arpa sindaco!”. Ottenne 288 voti» [Stella, Cds] • «Non vi è alcun dubbio che l’espressione la qualunque per intendere “qualunque cosa” sia stata favorita dal grande successo di un personaggio televisivo e cinematografico interpretato dal comico lombardo Antonio Albanese, alias Cetto La Qualunque, maschera che rappresenta un politico calabrese avido e corrotto» [Accademia della Crusca].
Film Finora, ha diretto 5 film e ha recitato in 28: tre del regista Carlo Mazzacurati (Vesna va veloce, 1996; La lingua del santo, 2000; La sedia della felicità, 2014), due del regista Silvio Soldini, che lo fece esordire (Un’anima divisa in due, 1993; Giorni e nuvole, 2007); tra gli altri ruoli, ha interpretato un ex cantante nella Roma degli anni trenta in Tu ridi dei fratelli Taviani (1998), un uomo che sposa la cognata vedova ne La seconda notte di nozze di Pupi Avati (2005), un attore piacione in To rome with love di Woody Allen (2012), un tuttofare ne L’intrepido di Gianni Amelio (2013), un borghese che incontra la coatta Cortellesi in Come un gatto in tangenziale e seguito di Giovanni Veronesi (2017, 2021), un insegnante di teatro in carcere in Grazie ragazzi (2023), un maestro spedito in un paesino sperduto dell’Abruzzo in Un mondo a parte (2024) • L’anno scorso è uscito Cento domeniche, che ha scritto, diretto e interpretato. È la storia di Antonio Riva, un operaio che perde tutti i suoi risparmi nel fallimento di una banca. L’idea nacque vedendo l’intervista a un uomo a cui era capitata la stessa cosa. «Era un uomo pieno di dignità, non voleva manifestare la sua disperazione e la vergogna che provava. […] Mi sono detto: ma come mai questa dignità non viene esaltata?». Per due anni si documenta, chiede pareri a psicologi e giornalisti che seguirono i casi dei «truffati delle banche» in Veneto • Il titolo «viene dal nome che un amico di mio padre aveva dato alla casa che si era costruito in due anni impiegando tutti i sabati e le domeniche» [a Bressanelli, Lettura] • Girato a Olginate e dintorni, il suo paese d’origine in provincia di Lecco: «Pensi che in una scena lavoro al tornio che è lo stesso dove avevo lavorato per sette anni da ragazzo, più di trent’anni fa. Il signor Gnecchi, il mio padrone di allora, non c’è più ma il figlio mi ha riaperto la piccola azienda» [Bandettini, Rep] • «Il calvario di un uomo gentile e perbene che giorno dopo giorno vede tutta la sua vita andare in pezzi. Stritolata da una catena di montaggio di meccanica ferocia» [Stella, Cds].
Lirica È nato lo stesso giorno di Giuseppe Verdi • Ha recitato alla Scala in Pierino e il lupo nel 2001 • Ha diretto due opere di Donizetti: Le convenienze ed inconvenienze teatrali alla Scala di Milano nel 2009, e Don Pasquale nel 2013 al Petruzzelli di Bari; nel 2023 ha diretto Gloria di Francesco Cilea al Lirico di Cagliari e il Rigoletto di Verdi all’arena di Verona, che ha ambientato nel dopoguerra degli anni cinquanta (Alberto Mattioli della Stampa lo ha stroncato) • «Mi sembra che l’opera aggiunga una possibilità di raccontare il nostro tempo ripartendo proprio da quei “fondamentali” che non hanno tempo. I sentimenti più accesi, la passione, la rabbia, il desiderio» [a Di Paolo, Rep].
Amori Separato dalla prima moglie, da cui ha avuto una figlia, Beatrice. «Desideravo un figlio da sempre, anzi una bambina, fin da quando ero piccolo» • «“Ti piacerebbe fare il mio lavoro?” le ho chiesto. E lei, sempre gentile gentile: “Secondo me, papà, è veramente troppo faticoso”» [Berbenni, cit.] • Un secondo figlio, Leonardo, avuto nel 2010 da Maria Maddalena Gnudi, figlia dell’ex ministro del governo Monti Piero Gnudi, sua attuale compagna • «“Mi ha rovinato il film La seconda notte di nozze, dove mi innamoravo di una donna non più giovane. Questa cosa ha scatenato strane speranze in signore di una certa età. […]” E a lei piacciono le donne? “Un bel po’”. Parte anatomica preferita? “Il seno”. È della scuola “sotto la terza non è amore”? “Va bene anche una seconda, è la forma che mi interessa”. Parte invisibile preferita? “L’ironia”» [Berbenni, cit.].
Politica «Lei è notoriamente di sinistra. “Dolorosamente di sinistra, direi”» [Rossini] • Della sinistra lo fa ridere «il pentitismo continuo, grottesco. E anche la disponibilità, soprattutto nel passato, a svendere i propri principi in nome di una malintesa modernità» [Maltese, Rep] • «Gli italiani non possono che stare al centro, abbiamo il Vaticano, è il Paese che ha inventato la commedia d’arte, tutti un po’ Arlecchino, un po’ Balanzone, un po’ Pulcinella» [Berbenni, cit.] • «Qualche volta ho indispettito qualcuno della politica. Interpretavo un intellettuale di sinistra che scambiava Che Guevara con Jovanotti e da quelle parti non l’hanno presa proprio bene».
Gola «Lei beve volentieri? “Rossi fermi. Ma non esagero”. Buona forchetta? “Tagliatelle al ragù, costine di maiale, coniglio freddo con sedano e olive della mia mamma. Divento pazzo per il risotto alla milanese, sono anche bravino a farlo, ho un pusher di zafferano abruzzese”» [Berbenni, cit.] • Ha scritto Lenticchie alla julienne, un libro di ricette di questo tipo: «Gabbiano in crosta – ingredienti: un gabbiano sterile dell’Aventino; 680 lenticchie opache di Colle Val Susa di Val d’Elsa di Norcia; una bustina di tabacco aromatizzato al cardo essiccato in una malga trentina. Preparazione: Costringete con grazia il gabbiano a fumare il tabacco aromatizzato, ricordandogli che comunque la vita media di un gabbiano metropolitano non può superare i tre anni» oppure «Paté d’animo – con l’aiuto di una vostra assistente albina, frantumate con la roccia la cipolla nana fino a raggiungere la lacrimazione» o anche «Abbacchio di petali con segatura di patate – ingredienti per 4 deejay vegani» • «Albanese, perché ce l’ha con gli chef? “Sono loro che stanno esagerando. […] Amo la cucina; ma qui siamo arrivati all’allucinazione. Ho scritto una ricetta immaginaria, il “brodo alla griglia”; poi ho scoperto che uno chef l’aveva fatto davvero […] Congela il brodo in recipienti a forma di costata, poi lo squaglia davanti allo sventurato cliente. Un altro ha ideato un’insalata con 94 tipi di fiori – 4 petali per tipo – e l’ha chiamata insalata semplice. Non è più arte; è capriccio, incompetenza, virus”» [Cazzullo, Cds] • «Vorrei sapere il segreto del suo brodo. Acqua fredda, niente sedano, l’importante è la gallina. Deve aver vissuto» [a Tinelli, Oggi].
Curiosità Vive tra Bologna e Milano • Ha doppiato il Grande Topo in La Gabbianella e il Gatto • «La religione mi interessa. Rispetto il mondo dell’associazionismo, degli oratori. Ci sono passato. Qualche dubbio non guasterebbe. Io ho letto il preticello di Caproni: “So che anche voi non credete a Dio, nemmeno io, per questo mi sono fatto prete”» [a Pagani e Travaglio, cit.] • Ha un terreno in Toscana, ci ha piantato quaranta ulivi e ha dato a ciascuno il nome di un amico: «C’è l’ulivo Michele, l’ulivo Andrea... fanno un buon olio» [Rossini]. Michele è Michele Serra, i due hanno lavorato assieme • Ama i quadri e la pesca • Non gli piacciono i social network: «“Se si ride meno è anche colpa di questi Facebook e Twitter”. E perché? “I social sono un virus che si è insinuato, anche nell’informazione: si prende sul serio tutto, ogni cazzata. C’è chi twitta per commentare negativamente quello che sta vedendo alla tv: ma allora esci, vai a berti una birra, dico io. E invece no, i social ti inducono a cercare nel mondo più malinconia di quanta nei hai tu. Altro che risate”» [Bandettini, Rep].
Titoli di coda «Noi comici non siamo educatori».