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 2024  ottobre 10 Giovedì calendario

Biografia di Edoardo Albinati

Edoardo Albinati, nato a Roma l’11 ottobre 1956 (68 anni). Scrittore. Poeta. Traduttore. Sceneggiatore. «Un tipo schivo. Forse snob. Difficile da decifrare» [Marisa Fumagalli, Cds 4/11/2016] • «Dovete immaginarlo che ride spesso di sé, come se non stesse parlando di sé» [Candida Morvillo, Cds 12/10/2021] • «Sotto la sua patina di placido ironico borghese, ha un’anima di fumantino attaccabrighe» [Walter Siti, Tuttolibri 28/8/2021] • Tra i venti e i trent’anni conobbe e frequentò gli scrittori Franco Cordelli, Cesare Garboli, Enzo Siciliano e Franco Fortini, e contrasse con loro un forte debito intellettuale. All’inizio, tanti lavori di artigianato editoriale: traduceva dall’inglese, dialoghi di cinema, la radio, redattore per la rivista Nuovi Argomenti. Debutto all’età di 32 anni, con una raccolta di racconti intitolata Arabeschi della vita morale [Longanesi, 1988]. L’anno seguente, un romanzo breve: Il polacco lavatore di vetri [Longanesi, 1989] • Da allora, altri sei romanzi, due saggi, quattro raccolte di racconti, cinque raccolte di poesie. Vari reportages per i giornali: notevole 19, resoconto dei viaggi sul tram che va dal centro di Roma al carcere di Rebibbia. Ha lavorato con le Nazioni Unite in Afghanistan e in Ciad, scrivendone per Repubblica, Corriere della Sera e Washington Post. Ha collaborato con Matteo Garrone per la sceneggiatura del film Il racconto dei racconti (2015) e con Marco Bellocchio per quelle di Fai bei sogni (2016) e Rapito (2023) • Premio Viareggio 2004 per Svenimenti (Einaudi) • Premio Strega 2016 per La scuola cattolica (Rizzoli), opera munumentale, 1293 pagine, che gli costò dieci anni di lavoro e in cui racconta l’ambiente della Roma borghese degli anni Settanta, da lui realmente vissuto, e le circostanze sociali in cui maturò il delitto del Circeo • C’è chi non lo sopporta e lo considera un insopportabile narcisista. Vive solo in una casa borghese al quartiere Trieste, abbastanza grande per ospitare i suoi quattro figli. È di bell’aspetto. Non ha hobby e soffre d’asma. Detesta i social e la musica rap. «I suoi amici sono molti: i più bei nomi, da sempre, della migliore sinistra intellettuale capitolina, cioè la schiuma colta e mondana del Pd, punto perfetto di intersezione tra il cardo – i salotti – e il decumano – l’ideologia delle roccaforti editoriali, giornalistiche, cinematografare e teatrali romane» [Luigi Mascheroni, Giornale 28/9/2021] • «Prima di essere caucasico, italiano, battezzato cattolico romano, borghese, di sinistra e laziale, io sono un maschio. È questa la mia identità più ovvia, la discriminante, il mio carattere spiccato, di cui rendere conto non appena affacciato dal ventre di mia madre» • Dopo anni passati a voler dimostrare a tutti di essere il più grande scrittore italiano, oggi dice: «La carriera dello scrittore non esiste, non quella di uno come me. Adesso esisto perché con quel librone ho steso tutti, però prima dicevano: ma Albinati chi è?».
Titoli di testa «Non ho nessun metodo, non ho orari, non ho protocolli o cerimonie particolari per scrivere. Scrivo quando ho tempo o le forze. Per me è solo una questione di energia, quindi tendenzialmente quando ho il tempo e la forza io, ovunque mi trovi e su supporti diversi, scrivo a mano, su computer, talvolta registro delle cose che mi vengono in mente. Poi c’è un lavoro di collazione, di prendere tutti questi materiali così disparati e scritti in momenti disparati e unirli. Allora lì diventa un lavoro alla Moravia» [a Biagio Vitale, lincendiario.com 22/4/2023].
Vita Padre lombardo, madre piemontese. Famiglia benestante, ma attenta a non ostentare il benessere. «Papà, costruttore, era parecchio diverso dal tipico palazzinaro romano» • «Sono stato un bambino pieno di gioia. Ho avuto genitori uniti, con tutti i limiti del codice borghese dell’epoca, ad esempio, un padre poco presente affettivamente. Pensavo fosse l’unico così, poi quando ho scritto Vita e morte di un ingegnere, decine di persone sono venute a dirmi: mio padre era uguale» [Morvillo, cit.] • Studi classici dai preti, al San Leone Magno, scuola paritaria al quartiere Trieste, sulla Nomentana. «I miei non erano minimamente credenti, sono morti da laici, mi hanno mandato lì perché lo ritenevano un istituto di prestigio. Allora si andava a studiare dai preti e dalle monache perché si pensava che facessero cose che in quella pubblica non si facevano» [Goffredo Pistilli, ItaOg 10/9/2016]. La stessa scuola dove, in quegli anni, studiano Angelo Izzo e Gianni Guido i giovani responsabili, insieme ad Andrea Ghira, del delitto del Circeo. «Le classi erano interamente maschili. Noi studenti non avevamo consuetudine con le ragazze. Dovevamo cercarle fuori. Il modello proposto dagli educatori di allora: uomo forte, coraggioso, virile, integro, determinato. Se non eri così, finivi per sentirti menomato. Malato. Qualcuno ha pensato di integrare la propria scarsa virilità violentando e uccidendo» [Fumagalli, cit.] • Elementi latenti, ma sempre presenti, dell’ambiente in cui si è formato. Il conservatorismo. Il maschilismo. La violenza. «Sono di base un tipo malinconico. E una volta ero molto timido. Ma quando ho capito di poter essere amato, le cose sono un po’ cambiate» • Come fu la sua prima volta con una ragazza? «Non ne ho mai scritto. Fu una cosa molto bella. A Grado, in Friuli Venezia Giulia. Avevo 17 anni, e una fidanzata di quelle parti e andai a trovarla: 9 ore di treno, da Roma. Fu una cosa molto, molto dolce, bella, molto eccitante anche. Poi appunto c’era il mare... l’abbandonarsi a questa cosa nuova... Non è che me la ricordi bene, però ricordo un sentimento. Si ricorda un sentimento, più che i dettagli si ricorda un sentimento, nel mio caso e credo anche in lei, di grande gioia e liberazione. Fu fantastica e banale». Fantastica e banale? «C’è una bella battuta nel film Conoscenza carnale di Mike Nichols, scritta da Jules Feiffer. Due amici, interpretati da Jack Nicholson e Art Garfunkel, amano la stessa donna, e quando Garfunkel racconta all’altro che è riuscito ad andare a letto con lei, dice “Ah, ho fatto l’amore con lei!”, Nicholson si risente un po’: “Va be’, parli come se fosse la prima scopata della storia”. E Garfunkel: “Be’ in effetti è la prima scopata della mia storia” [Luca Mastrantonio, 7 8/3/2019] • Poi c’è il terrorismo. «Una pratica, negli Anni 70, di impressionante ordinarietà. Poteva coinvolgere tutti. Vittime o carnefici, complici […] io, con la mia futura moglie, ho passato una Pasqua sulla spiaggia di Sperlonga con dei ragazzi uno dei quali, tre anni prima, aveva fatto parte del gruppo di fuoco di Via Fani. Noi naturalmente non lo sapevamo, ma lui era in clandestinità. Facevo tranquillamente la Settimana Enigmistica sulla spiaggia a Sperlonga con lui, uno che aveva rapito Moro […]». Chi era questa persona? «Se c’è bisogno di dirlo, è Varo Lojacono. Alvaro, detto Varo. Era fidanzato con una cara amica di mia moglie» [ibid.] • Per l’ultimo anno di liceo, molla i preti e passa al classico Giulio Cesare. Poi facoltà di lettere, tesi con Walter Pedullà. Diventa professore di italiano, insegna all’istituto tencico della Buffalotta, in periferia, poi, dal 1994, alla scuola per detenuti del carcere di Rebibbia. «Ho fatto domanda e ho avuto la cattedra» Un passo letterario che conquista i detenuti? «Filippo Argenti nell’Inferno, così iracondo che si prende a morsi da solo. Fa capire come la rabbia possa portarti a divorare te stesso» [Morvillo, cit.]. «Penso di offrire loro la possibilità di passare il tempo umanamente insieme a Dante e Tasso, di istillare la scintilla del dubbio e della bellezza. Ricevo, in cambio, una scuola umana di comportamento. Ho imparato autocontrollo e cautela, fondamentali nella vita» [Fumagalli, cit.]. «Il motivo principale per cui lo faccio, e ti prego di scriverlo esattamente come lo dico, è che mi permette di starmene fuori dai coglioni. Cioè la massima libertà concessa all’individuo. Andare in carcere è stato un modo per tagliare la testa alle seduzioni della mondanità letteraria e non letteraria, e mi ha dato tantissimo respiro. Andare in galera mi ha regalato un lavoro continuativo e, segregandomi, mi ha messo almeno un pochino l’anima in pace. Il materiale umano con cui sono in contatto è interessante, ma non occupa l’intera mia vita: insomma tutte queste cose messe insieme trasformano quella che sembrerebbe una missione o uno sfoggio di buoncuore in un affare per me abbastanza conveniente. Faticoso, certo, sempre più faticoso: dopo venticinque anni di quella roba, dei mutandoni di lana perché le celle sono gelate, e di andare a pisciare nelle turche sudice della galera, certi giorni mi dico: ma che ci sto a fare qui? Però io lavoro tra gente disagiata, d’accordo, ma fino a un certo punto: sono dei disgraziati perché stanno in carcere, privati della libertà e di tutto, ma molti di loro non sono affatto deboli, sono delle vere belve umane nel senso anche di energia, di forza, di intelligenza e di carattere, solo temporaneamente indifesi […] Non mi sento affatto una crocerossina. Però di frequentare gente troppo simile a me non importa nulla. Mi trovo più a mio agio con persone diverse, che posso frequentare a lungo, ogni giorno, e avendo pur sempre al centro del mio lavoro cose che amo: la lingua italiana, la letteratura […]”. E le loro vite non ti tormentano? “No, però il primo anno vollero che facessi io il discorsetto prima di Natale, e quella volta lì mi sono commosso, infatti non l’ho voluto fare più» [Annalena Benini, Foglio 25/6/2017] • In parallelo, l’attività di scrittore. «Non ho avuto una vocazione precoce. Da bambino, mi piaceva leggere, poi, ho fatto traduzioni, manovalanza intellettuale, quindi, i raccontini che scrivevo sono piaciuti e ne ho scritti ancora e, quando ero percepito come scrittore, era troppo tardi per diventare altro» [Morvillo, cit.] • Prime poesie sulla rivista Prato Pagano. «Gli amici sono importanti. Ma avere amici importanti è ancora più importante. Enzo Siciliano, il ras della Roma letteraria, negli anni ’80 lo porta nella redazione di Nuovi Argomenti e poi nello Specchio. Antonio Franchini lo fa lavorare come editor in Mondadori. Mentre Sandro Veronesi l’amico inseparabile: quando uno scrive un libro l’altro lo recensisce, e dopo che l’ha recensito, scrive un libro che spedisce all’altro per recensione lo fa pubblicare in Fandango» [Mascheroni, cit.] • Scrive soprattutto a mano. «I pezzi che vengono fuori filati meno li ostacoli e meglio è. Il computer crea troppe fibrillazioni e distrazioni, con il quaderno posso andare ovunque, non mi metto a sbirciare le email, non verifico niente, ed è comunque il contrario dell’isolamento. Le sollecitazioni che ricevi sono fisiche, non virtuali. Quando i miei figli erano piccoli, e la vita domestica una baraonda, ho imparato che posso e quindi devo scrivere ovunque, in qualsiasi momento. Allora poggiavo la macchina da scrivere sulle ginocchia. Quando lessi che Giovan Battista Vico ha scritto la Scienza Nova in un tugurio con i bambini che gli si appendevano alle gambe e al tavolo, mi sono entusiasmato: ecco, si deve fare così. L’idea di quello che si isola nella baita di montagna se no non lavora, mi fa un po’ ridere. È vero che serve tempo e ozio per scrivere, ma in realtà basterebbero due o tre ore al giorno. Se mi dice bene, io ho un ritmo di una pagina all’ora […]”» • «Della Scuola cattolica, di quel pezzo di vita, ci sono ancora le tracce fisiche dentro casa sua: molti quadernetti di appunti, poi quattro quadernoni grossi e scritti fitti, cartonati per appoggiarseli sulle gambe, “di cui adesso sono molto orgoglioso ma che allora mi spaventavano e basta”, con tutti gli schemi del montaggio del romanzo, e un tabellone colorato appeso alla parete dello studio, ormai quasi svuotato, con i numeri delle scene e i nomi dei personaggi di quelle milletrecento pagine a cui è stato possibile appassionarsi anche in modo disordinato: aprire il libro e leggere, poi tornare indietro, sentire la libertà di una scrittura che lasciava affiorare ragionamenti, temi, storie, e a volte addirittura si rivolgeva direttamente al lettore, dicendogli di saltare pure avanti. […] “L’unica mia capacità è stata quella di tenere duro e di tenere insieme, ecco, sì, La Scuola cattolica sarebbe il classico libro incompiuto, che viene abbandonato perché muori o perché perdi il bandolo della matassa […] Quando ho cominciato non sapevo che cosa avevo in testa, immaginavo vagamente un romanzone, ma mentre ci lavoravo mi accorgevo che c’erano tante piste, e ad esempio la storia dei maschi e della mascolinità, che è così fondamentale nella Scuola cattolica, è arrivata dopo duecento pagine, e poi il neofascismo, e poi le case borghesi, il quartiere Trieste, e nuovi personaggi: ogni volta saltava fuori qualcosa che non era possibile non raccontare” […] “Durante tutto il tempo passato accanto a quel libro, ero posseduto dalla sensazione quasi fisica del fallimento. Solo per rispettare la firma sotto un contratto ho fatto questo rush finale di due anni di lavoro veramente matto e disperatissimo, che mi ha sfinito e prostrato. Infatti poi la vicenda dello Strega l’ho vissuta in uno stato di alterazione dovuto agli psicofarmaci che mi sono serviti a condurre in porto l’opera, a correggerla e a farla uscire. Una beata indifferenza procurata dalla chimica. Senza la Rizzoli e senza le pillole avrei abbandonato o sarei ancora ad ammattire in mezzo ai file: c’erano cento file diversi nel computer, più tutti i quaderni scritti a mano”» [Benini, cit.].
Amori «Sono attratto dalle donne. Mi fanno venire in mente idee e immagini, sono oggetto della mia ammirazione. Mi piace la grazia con cui muovono i corpi, il loro movimento sia fisico che intellettuale» • Ha avuto quattro figli da Benedetta Loy, agente immobiliare, figlia di Rosetta Loy, compagna di Cesare Garboli. Dal 2006 sta con Francesca D’Aloja, attrice e scrittrice, già compagna di Alessandro Gassmann, poi moglie di Marco Risi • Si sono conosciuti che erano entrambi sposati • Francesca: «Dovevo girare un documentario nel carcere di Rebibbia, e Sandro Veronesi mi disse: ti presento un amico che insegna italiano lì. Organizzò una cena, noi avevamo vite felici e lontane, non ci siamo stati troppo simpatici. Girai il film, ripresi pure Edoardo mentre faceva lezione. Stacco. Anni dopo, eccoci qui». Edoardo: «Ricordo l’arrivo di questa bella stangona in carcere. Ero non diffidente, ma un po’ ironico verso l’entusiasmo di quelli che vogliono fare le cose artistiche nei posti dove noi si va tutti i giorni. Pensavo: divertiti pure, mentre noi qua lavoriamo. Ci siamo ritrovati molto dopo, a una festa su una terrazza romana». Francesca: «Ho pensato: eccolo, è lui. È stato come incontrare un’anima che, forse, finalmente, poteva capire la mia, uno che potesse sciogliere l’enigma che mi porto dentro» • Abitano in case separate, ma vicine • Lui prova il bisogno fisico di toccarla e di vederla nuda, lei è più pudica • Lui paragona il sesso con lei a una devozione mistica. «Per me, le parti del corpo amato costituiscono luoghi di preghiera, di meditazione, formano una religione in cui si celebrano riti, ci si comunica» • Lui dice che «tendenzialmente» non sa essere fedele e che non pretende che le sue donne lo siano • Lei dice se se scoprisse un’infedeltà diveterebbe pazza • Dicono che all’inizio del loro rapporto usavano picchiarsi, ma ora non lo fanno più.
Impegno «Uno scrittore si deve esprimere su qualcosa di cui ha fatto esperienza, commentare ciò che si è visto al Tg la sera prima non ha senso, è meramente decorativo. In questi giorni ho declinato mille inviti a dire la mia sull’ennesimo femminicidio. Chiedono pezzi indignati, ma come affermava Nietzsche “nessuno mente come l’indignato”» [Emanuela Giampaoli, Rep 10/6/2023].
Religione Non è sicuro di credere in Dio. «Non penso che non esista, non penso che esista».
Tifo «Tolta la letteratura, che vivo in maniera radicale, ho smanie da italiano medio. Mare, bellezza femminile, calcio...». Lei tifa la squadra della Lazio. Come altri scrittori romani: Alessandro Piperno, Emanuele Trevi... «Forse ci piace essere in minoranza. Io ero blandamente juventino. Nella mia famiglia, che veniva dal Nord, non c’era nessun interesse calcistico. Tranne una vecchia zitella, la zia Lina di Torino, sposata per così dire alla Juve, credo abbonata a Hurrà Juventus. Avevo 9 anni, e il suo tifo mi fece diventare juventino. Poi nel ’67 avvenne un fatto: la Juve vinse lo scudetto all’ultima giornata, superando l’Inter battuta dal Mantova con una clamorosa papera del portiere Sarti. Avrei dovuto essere felice, la mia squadra aveva vinto lo scudetto. Ma il portinaio di dove abitavo, sempre qui vicino, in zona, era in lacrime perché la Lazio era andata in serie B. Mi dissi: “Devo, devo, devo tifare una squadra della mia città e tiferò quelli che stanno soffrendo”. Quel giorno divenni della Lazio» [Mastrantonio, cit.].
Vizi Non compra mai vestiti. «Preferisco mettere le cose usate dagli altri. La maglietta di mio figlio che, crescendo, gli va stretta, o quelle del figlio di Francesca. Inoltre, adoro portare abiti di persone che avevano stile. Il loro, voglio dire, non il mio. La camicia e i pantaloni che ho addosso erano di mio zio Roberto Cassola, scomparso qualche anno fa». «E alla cinquina dello Strega portavo, come un amuleto, i pantaloni di Nelo Risi, grande poeta e regista. È proprio un desiderio deviato e nasce dal mio imbarazzo ad andare nei negozi. E, forse, dal discorso sull’identità: sentirmi addosso i panni di un altro mi fa sentire più a mio agio. Alla presentazione del mio primo libro, avevo l’abito buono del padre di Sandro Veronesi».
Vizi/2 «Comunque, chi lo conosce bene sa che il vero vizio di Albinati tipico di chi sfoga un senso di inadeguatezza nella più sfrenata competitività è la superbia. Ego, Super Io e Super Edo» [Mascheroni, cit.].
Curiosità «Una cosa che Edoardo Albinati – scrittore, giornalista, insegnante, nato a Roma nel ’56 – non ha mai sopportato, una cosa che ha patito in silenzio, con fastidio e disagio, è che il suo nome assomigli a quello di Eraldo Affinati, scrittore, giornalista e insegnante, nato a Roma nel ’56» [Mascheroni, cit.] • Enzo Siciliano gli regalò gli occhiali appartenuti a Pier Paolo Pasolini, lui li ha tenuti in un cassetto per vent’anni, poi ha fatto montare le lenti giuste per sé e ha preso a indossarli • Suo peggior difetto? Illudersi di essere coraggioso e poi «scoprirsi a volte un po’ vighiacchetto» • Gli piace cucinare frittate, pollo al curry, ma solo per condividerli con qualcuno. Nel frigo c’è un po’ di tutto: «Non dovrebbe mai mancare il Campari soda, che ti dà una bottarella. Di questa casa mi piace la bella luce. Poiché non pratico il culto dell’identità, preferisco lasciare che il destino altrui piombi nella mia vita. Dopodiché lo accetto» • Dice di aver più paura di perdere una valigia a Fiumicino che di perdere la vita • «Appena è uscito Un adulterio hanno ricominciato: ma insomma che vuole questo dalla vita? prima 1300 pagine, ora solo 130…». Però l’aver steso tutti resta, è un fatto, così come è un fatto che quando pensi a te stesso come scrittore pensi a Proust, ti paragoni a Hemingway. «È dovuto al grande rispetto verso il fatto letterario, quindi pensare che hai come tuoi concorrenti e colleghi tutti gli scrittori, ma proprio tutti, anche i grandi. Enzesberger diceva che con Dante, Shakespeare e Kafka, non ti puoi misurare: ma con gli altri puoi farlo, anzi devi farlo. L’unica morale letteraria è questa, che veniamo tutti pesati con la stessa bilancia! Quando uno scrive sta compiendo la stessa azione di Baudelaire, non un’altra, e io questa cosa ce l’ho sempre avuta presente, questo rispetto e questa scervellata ambizione. Poi soccomberai alla tua mediocrità, d’accordo, ma almeno non ti sei sottratto al confronto, e non ti culli nell’idea di essere appena un po’ migliore di qualcuno che non stimi» [Benini, cit.].
Titoli di coda Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada? «Lo sconsiglierei vivamente dall’intraprenderla. Per il suo bene» [Vitale, cit.].