18 ottobre 2024
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Biografia di Guia Soncini
Guia Soncini, nata a Bologna il 19 ottobre 1972 (52 anni). Giornalista. Opinionista. Scrittrice. «A definirmi ho sempre problemi, di solito saccheggio Edmondo Berselli che diceva “Sono uno che scrive”» • «Disinvolta. Abilissima. Anticonformista» (Cesare Cavalleri) [Avv 5/5/2021] • «Stile intensamente personale. Sia perché il suo è uno scritto molto parlato, e nelle sue pagine, più che percepire la sua voce se ne è trascinati. Sia perché, di qualsiasi cosa si occupi, tutto è filtrato dalla sua esperienza, da quel che le è capitato nella vita» (Claudio Giunta) [Domenicale, 18/6/2023] • Non è esatto dire che è giornalista, visto che non è iscritta all’ordine. «Mai data una notizia in vita mia. Anche se non sarei l’unica». Il che non le ha impedito di scrivere per Amica, iO Donna, Marie Claire, Il Foglio, Il Riformista, l’Unità, D e La Stampa. «Praticamente tutto quello che c’è in circolazione, anche quello che in circolazione non c’è più». Dal 2019 tiene una rubrica fissa su Linkiesta, L’Avvelenata, come una canzone di Francesco Guccini • Anche se debuttò alla radio e alla televisione, dice che, da quando sono finiti i soldi, in tivù ci va solo se ha un libro da vendere. «Non sento il bisogno di esprimere il mio parere gratis» • Di libri, a oggi, ne ha scritti otto. Da ultimo: L’economia del sé (Marsilio, 2022), sulla mania moderna di fare commercio di sé sui social; e Questi sono i cinquanta (Marsilio, 2023), sull’inesorabile avvicinarsi della vecchiaia • Dicono sia talmente antipatica da essere impossibile da frequentare. «È un atto temerario voler dialogare con la Soncini, non solo perché, se non è in vena, sa come gelare il sangue altrui, ma perché appena si sa che c’è un suo nuovo libro, scoppia un fuggi fuggi generale. Non dalle librerie, che anzi si risvegliano dal loro torpore per l’arrivo di suoi follower cartacei, ma proprio dalla Guia stessa e da chi, pazza come me e per festoso masochismo, ne vanta gli amabili pregi» (Natalia Aspesi) [Rep 25/3/2022] • Detesta i complimenti e le leccate di culo • È vanesia e logorroica • Non riesce a resistere a una battuta • Una volta qualcuno ha detto: «Si crede gnocca, e si crede pure Gadda», critica che lei stessa giudica calzante • A chi chiede di intervistarla, dice: «Non mi importa nulla di quello che la gente scrive di me, basta che sia scritto in italiano». Ovviamente è una bugia.
Titoli di testa «Da brava stalker della Soncini, conscia del suo fastidio per qualunque sconosciuto le dia del tu, sin dai primi scambi su WhatsApp per chiederle un’intervista le do del lei: lei farà altrettanto, e andremo avanti così fino alla fine, come due educate, rispettose e raffinate signore. Che è poi quel che siamo» [Marianna Tognini, Rolling Stones 8/11/2022].
Vita Figlia di un medico. Padre brianzolo, madre metà pugliese metà molisana • «Mi chiamo Guia per via della mitomania di mia madre». La signora Soncini, in vacanza in Costa Azzurra, aveva conosciuto una signora che si chiamava Guya, femminile di Guy, come Guy de Maupassant. «Il corrispondente velleitario di quelli che vent’anni dopo avrebbero chiamato i figli Ridge e Brooke». Un nome fonte di infinite incomprensioni. «Eh, come?! Gaia? Guaia?». Un giorno, in vacanza in montagna, i Soncini incontrarono Sandro Pertini. La mamma mandò la bimba a chiedere una dedica su una cartolina illustrata. Il presidente scrisse: «A Guglia!» • «I miei genitori si sono detestati finché morte (di lui) non li ha separati, come aveva ordinato loro il prete trentasette anni prima. Sono rimasti sposati in salute, malattia, amanti (di lui), abbandoni del tetto coniugale (indovinate un po’: sempre di lui), ricchezza (di lui) e tracolli finanziari (inevitabili, visto che il bilancio di famiglia lo teneva lei, che era capace di farsi prestare i soldi dalla cameriera pur di non rinunciare a un tenore di vita comprensivo di autista – non è un esempio di fantasia) […] Mia madre non ha mai lavorato un giorno in vita sua, il suo unico scopo nella vita è sempre stato spendere soldi altrui, ha iniziato a dirmi di trovarmi marito che ero ancora alle elementari (giuro: non sapete l’imbarazzo quando gli amici ricchi smisero d’invitarci in piscina perché capirono che mia madre intendeva accoppiare il loro erede novenne con la sua figliola – oltretutto pessima nuotatrice)» [Elle, 21/5/2017] • Percorso scolastico accidentato. Elementari in una scuola all’interno dei giardini Margherita, a Bologna. «Davanti a uno zoo. I bambini delle elementari davanti alla gabbia dei leoni». Medie dai barnabiti. Poi al linguistico, in una serie di istituti diversi. «Il primo quadrimestre del primo anno, dalle Orsoline di Cortina d’Ampezzo, poi le suore mi hanno cacciata. Secondo e terzo anno al Malpighi, bocciata. Al quarto anno ho fatto due anni in uno nel seminterrato della signora Beltraminelli. Dava ripetizione ai ricchi asini. Poi si andava a fare l’esame da privatisti a Modena» • «Ho avuto un’adolescenza ordinaria. Detestavo mia madre, non mi andava di studiare: le solite cose. I miei avevano un matrimonio ordinario: mio padre detestava essere sposato con mia madre, la riempiva di corna, e poi trovava modi per farsi perdonare, come tutti. Il modo di mio padre di farsi perdonare non era comprare gioielli a mia madre, ma bancarmi di botte su sua richiesta. Una sera, nella seconda metà degli anni Ottanta, ci fu una scena particolarmente violenta. Il pretesto era che avevo preso uno dei foulard di Hermès della mamma: mi ero fatta fare una complicata treccia dal parrucchiere, e volevo proteggerla dal disfacimento notturno. La treccia non sopravvisse a quello che a Bologna chiamavano “un liscio e busso”, e ancora me ne dispiaccio. Mentre mi riempiva di mazzate, mio padre mi urlava delle cose così atroci che, benché mi balocchi da anni con l’idea di farne un libro, non ho ancora trovato un modo di ripeterle che non mi faccia sembrare un incrocio tra Fassbinder e Bergman. Questo è il punto della storia in cui, nei film, la madre insorge e, pur di proteggere la prole dalla violenza, se ne va di casa. Questo è il punto della storia in cui, nella realtà, mia madre dice: “Abbassa la voce, vuoi che finiamo sul giornale?” […] La mattina dopo quella serata degli anni Ottanta, come tutti i mariti che picchiano le mogli che avrei letto in cronaca nei decenni successivi (le dinamiche storte mica cambiano, se si tratta di figlie invece che di mogli), mio padre si presenta fuori da scuola con un mazzo di fiori. Come spesso accadeva, io però a scuola non ci ero andata (a Bologna si chiamava “fare fughino”). E quindi rapidamente divenni la colpevole: lui era venuto con le migliori intenzioni, e io ero la solita asina che non entrava a lezione […] La settimana dopo venni mandata al Sud, dalla nonna. Mia zia, vedendomi spogliata ricoperta di lividi, chiese spaventata se avessi avuto un incidente. La risposta “È stato papà” venne accolta da un frettoloso “Poverino, è nervoso, lavora tanto” […] Da quella sera del foulard in cui pensai che quei due con me avevano chiuso, a quando cambiai numero di telefono e non mi feci mai più trovare, passarono una quindicina d’anni. Certo, sarei potuta andare al pronto soccorso e a fare una denuncia già il giorno dopo, farmi adottare da una famiglia povera ma serena, finire il liceo senza lividi in una casa in cui i foulard fossero della Standa. O avrei potuto rinnegarli appena maggiorenne, trovarmi un lavoro da commessa, non farmi comprare dalla mamma e dai suoi sensi di colpa tutta la collezione Dolce e Gabbana dell’estate 1992. Invece […] ho preferito l’agio alla dignità, e ho rinnegato la famiglia solo quando la famiglia non mi è più servita. Non posso essere troppo severa con le mogli che non divorziano per non rinunciare al tenore di vita: sono stata una figlia che ha fatto tale e quale […] Le mie amiche [...] raccontano infanzie in cui i genitori si raccomandavano che studiassero, che avessero una carriera, che fossero indipendenti. Io al liceo sono stata bocciata non so più quante volte e nessuno mi ha mai detto “Studia, asina”: a casa mia erano così mitomani che dicevano senza mettersi a ridere: “I professori sono spaventati dalla tua intelligenza” (ero così intelligente che preferivo guardare Quando si ama che aprire un libro). Tuttavia, io lavoro da quando avevo 22 anni e le mie amiche hanno perlopiù fatto le universitarie fuori corso fin dopo i 30; loro non sono state tranquille finché non sono riuscite a mettersi un vestito bianco e un anello al dito, e io ho del matrimonio l’idea che aveva Alberto Sordi (“Mettersi un’estranea in casa”); loro si fanno allegramente pagare mutui e vacanze da genitori e suoceri e io pur di essere indipendente rinuncerei alle vacanze a vita. Certo, non ci vogliono degli specialisti viennesi per dire che mica significa che la mia formazione non m’abbia influenzata: mi sono formata in opposizione a quel che ho visto da piccola. Però, se può funzionare sia per emulazione sia per contrasto, capite bene che vale tutto, e tanto vale rilassarsi» [Link, 1/8/2020] • Primo lavoro: all’ufficio iniziative marketing dell’Unità. Le videocassette di Veltroni. «Ma non so se si può dire che era un lavoro, visto che non mi hanno mai pagato» • A fine anni Novanta viene scoperta da Bruno Voglino, autore televisivo, dirigente Rai: «Hai una bella faccia, dovestri fare televisione». Primi passi come autrice. Lavora per Galagoal (Telemontecarlo, 1996) e Pubblimania (Raitre, 1996), Area 51 (Radio 2, 1997). «All’inizio del 1997 condussi il mio primo programma radiofonico. L’idea era che lo conducesse Paolo Damasio in arte Mixo, e io gli facessi da spalla, poi come mio solito mi allargai ma lui, che oltre che una persona carina è un gentiluomo, non fece mai un plissé e m’insegnò un mestiere senza farsene avvedere. Avevo ventiquattro anni e nessuna idea che il mondo fosse fatto di cretini, quindi non avrei mai detto ci fossero persone che ascoltavano la radio il pomeriggio e prendevano sul serio una convenzione narrativa fatta da caratteri autentici resi radiofonici a mezzo iperbole: Mixo quello che proponeva musica rumorosa, io che dicevo “c’è troppa batteria”» (da Instagram). Dal 1998 al 2001, solo radio. «Quando finì il contratto, telefonai a tutti i giornalisti che avevamo ospitato per chiedere di collaborare alle loro testate. Mi risposero tutti di sì» • Primo articolo: nel 2001, per GQ. «Era su Schwarznegger. Scrissi che avrebbe potuto scendere in politica. Come vede non do notizie, ma profezie…» • Grande traguardo: l’intervista a Jack Nicholson. «Uscendo da un’intervista pensai che potevo anche smettere di fare questo mestiere, tanto ormai il più figo del mondo l’avevo incontrato». «Quello fu anche il momento in cui capii che i giornali avevano finito i soldi. Scrissi il mio pezzo, loro lo illustrarono con foto di dieci anni prima. Era il 2003. Ventuno anni fa. Sono ventuno anni che il giornalismo è morto…» • «“L’avvelenata” è l’unica mia rubrica della quale non abbia pensato io il titolo. No, non è vero, c’è stata anche “La deficiente”, il cui titolo era di Franca Ciampi. “L’avvelenata” me l’ha proposto Christian Rocca, che tra l’altro credo non abbia mai sentito una canzone di Guccini, e io ho detto subito di sì perché non è previsto dal mio codice etico che dica di no a una citazione di Guccini. È una canzone […] del 1976 che sembra scritta domani: non credo esista sintesi più perfettissima di noialtri stronzi schiavi dei telefoni con la telecamera di “nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento”» (Maria Teresa Carbone) [leparolelecose.it, 7/9/2023] • La rubrica esce sei giorni a settimana, dal lunedì al sabato. Da quelle colonne l’Avvelenata sparge il suo veleno. «Come la Contessa Sanguinaria (Erzsébet Báthory, bella dama secentesca ungherese), non risparmia nessuno, se non qualche rarissimo esemplare di Homo superbamente sapiens, tipo Arbasino, per scrittura, o Obama per fascino, Calasso e Fruttero e Lucentini per preveggenza, Zalone, Moretti e Altan per generico sublime sociologico, Dalla, Gaber e De Gregori per magia: donne mi pare solo una, la divina Yasmina Reza, e infatti non c’è una femmina instagrammata che non immagini l’opima Guia, in Prada o Elbaz, sul rogo che merita» (Natalia Aspesi, cit.) • «Il suo campo delle sue osservazioni è il presente in generale, con una propensione per le arti pop e i media, nonché tutto quello che si dice, sente, scrive in giro. “Costume” è la vecchia categoria che inquadra questo tipo di produzione intellettuale; ma nell’età di internet e – per usare un’etichetta cara all’autrice – del Grande Indifferenziato, dentro il “Costume” ci può stare praticamente tutto (una vecchia bella antologia scolastica curata da Natalia Ginzburg s’intitola modestamente La vita: e questo è quello di cui più o meno si occupa, con pari modestia, Soncini) […] Io sono un suo ammiratore, oltre che per qualità evidenti (acume, intelligenza, cultura, ironia, wit, capacità di scrittura fuori del comune), per una peculiarità che immagino siano pochi a poter apprezzare. Dato che non è (credo) laureata e che non ha fatto un dottorato, Soncini è rimasta felicemente immune dalla serqua di idiozie che i dipartimenti umanistici delle università hanno assorbito, prodotto, messo in circolo negli ultimi decenni […] Resistere non è facile, e anche solo per questo Soncini meriterebbe una medaglia» (Claudio Giunta, cit.).
Amori Si rifiuta di parlare del tema. «Se una mia coetanea mi parla delle sue paturnie amorose, chiamo la polizia» • «A chiunque viva sola vengono proposti candidati al ruolo di marito o convivente. A me succede più di rado che alle altre. Non perché nessuna persona sensata rischierebbe di presentarmi un suo amico, trovandomi magari in una giornata di malumore – anche per quello, ma non solo. Principalmente perché le persone che mi conoscono sono prima o poi passate da casa mia. Una casa che dice forte e chiaro: non vi voglio qui; che farebbe dubitare qualunque uomo delle mie doti di buona moglie, e scoraggerebbe anche il più avventuroso» [Elle, 25/4/2016].
Denari Nei giornali gira voce che sia piuttosto cara. «Poiché non sono molto cara – come tutti, guadagno un terzo di vent’anni fa; ma, certo, è plausibile che il mio terzo sia più cospicuo così come lo fu il mio intero – capisco che la mia avidità è leggendaria. Del che sono piuttosto fiera, intanto perché mi piacciono i soldi, e poi perché questa piccola leggenda screma molto le richieste».
Politica Dice di votare «abbastanza a caso». «Sia per decidere il partito, sia per decidere se votare o no» • Nel 2018 andò al seggio e scrisse sulla scheda «Lucio Dalla vive!». Quell’anno si votava il 4 marzo.
Religione Atea. «Non capisco perché il Trono di Spade sia considerato un fantasy e la Bibbia no» • Nota però che i figli delle sue amiche che non vanno a catechismo, se vedono la Pietà di Michelangelo, non ci capiscono nulla.
Tifo Ha guardato solo due partite di calcio in vita sua. Una dei Mondiali del 1982, «ma solo perché andavo ancora in vacanza con i miei». La seconda nel 2006, «quella della testata di Zidane». «Mi hanno costretto. Ero a casa di Michele Serra. Ma non lo scriva, per favore, che fa tanto conventicola e radical chic» • Insensibile anche al fatto che, nella primavera scorsa, il Bologna sia andato in Champions. Non si è accorta nemmeno della baraonda. «Ho le finestre che affacciano sugli interni. E poi non partecipo ai festeggiamenti della plebe».
Vizi «Non mi drogo perché ho paura. Non fumo perché non so aspirare. Tutti gli altri vizi, ce li ho».
Curiosità Ai centralinisti che non capiscono il suo nome, dice di chiamarsi Giulia, per velocizzare il tutto • «Quelli che io penso siano qualità, gli altri li considerano difetti. Sono egoista, avida, presuntuosa, insofferente, esigente. Sono una pessima amica, è impossibile lavorare con me» • «Vedo subito i refusi. Non so se è una qualità o una maledizione, perché non riesco a leggere niente senza irritarmi. Quando mi toccherà trovarmi un lavoro, potrò fare la corretrice di bozze» • Detesta gli emoticon. «Bisognerebbe vietarli a chi ha più di 19 anni» • Detesta i messaggi vocali. «A cosa servono? A risparmiare sullo scatto alla risposta? A non farmi mai sapere cos’hai da dirmi, perché ora sono in pubblico, non posso ascoltarlo, lo faccio poi, e poi ovviamente mi dimentico?» • Detesta anche gli animali. Vorrebbe vietare di portare i cani al ristorante. «L’unica vera dittatura è l’amore per gli animali» • Guarda Temptation Island • Ha smesso di seguire i talk show quando i talk show hanno iniziato a parlare solo di Covid • Ha querelato Le Iene e la rivista Oggi • È in causa con un giornalista italiano che s’è offeso perché in un articolo diffondeva «informazioni sensibili su di lui» anche senza citarlo • «I giornalisti italiani che non mi perdo mai sono pochissimi. Serra. Aspesi. De Gregorio. Leggo quasi sempre le interviste di Cazzullo, anche se l’intervista è un genere minore» • «I giornalisti italiani che trovo insopportabili sono talmente smaniosi di essere nominati che non li nominerò» • Passerà il suo compleanno a Cagliari. «A un festival dove mi hanno invitato, e dove andrò proprio per non dover pensare a come passare il mio compleanno» • «Quando mio padre è morto, non ho risposto ai messaggi che me lo annunciavano, non sono andata al funerale, non ho fatto nessuna delle cose che si fanno per i tuoi cari ma certo non per consanguinei con cui non parli da anni e di cui ricordi solo orrori. Mia madre, che era preoccupata quanto vent’anni prima della propria reputazione, e assai smaniosa di sembrare parte d’una famiglia felice, ha pubblicato un necrologio firmato da me. Di tutte le ragioni per cui ci si potrebbe innervosire per un necrologio che mai avresti scritto e che qualcuno ha simulato per tuo conto, la mia fu: oddio, ora penseranno tutti che questa prosa sciatta sia la mia» • «Il suo ultimo libro, Questi sono i cinquanta, tolto qualche eccesso di entusiasmo per il pop e qualche eccesso d’insofferenza nei confronti degli odiati giovani, è forse il migliore dei suoi […]. Conoscendo l’autrice, sapevo che non sarebbe stato un piagnisteo sulla Morte che si avvicina. Ma non mi aspettavo neppure un quasi solare inventario delle ottime ragioni per le quali dovremmo rallegrarci di essere arrivati sani e salvi alla mezza età. Sì, sì, può darsi davvero: l’età più bella. Solida, seria, consapevole, disillusa ma non cinica, anzi persino generosa col prossimo, dato che noi ormai bene o male siamo arrivati in cima. Peccato, come dice Gassman nella Famiglia (ma a proposito di un’età diversa!), che duri così poco» [Giunta, cit.].
Titoli di coda «L’anno scorso ero a un festival estivo. Arrivano due signore col libro da farsi firmare, lo dedico, poi una dice “No dai, lo sai che lei non ama i selfie”, l’altra mugugna, e io, sentendomi vieppiù magnanima, dico: ma certo, facciamoci questa foto. Ci facciamo la foto, se ne vanno, io firmo qualche altro libro. Quando finisco è rimasto un libro sul tavolo, lo apro, e c’era la dedica per quelle due. L’avevano lasciato lì» [Maria Teresa Carbone, cit.].