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 2024  ottobre 30 Mercoledì calendario

Biografia di Don Winslow

Don Winslow, nato a New York il 31 ottobre 1953 (71 anni). Scrittore: «Uno dei pochi maestri contemporanei nell’arte del racconto» (Antonio D’Orrico, Sette, 9/9/2016) • Tra le sue opere più famose c’è la trilogia delle avventure di Art Keller e il ciclo delle indagini del detective Neal Carey. Da ultimo la trilogia di Danny Ryan.
Titoli di testa «Il primo compito di uno scrittore è scrivere bene. Il secondo, però, è far sentire la propria voce: le parole sono il mio mestiere e io ho deciso di metterle a disposizione del pubblico insieme alla mia esperienza» [a Maurizio Crosetti, Rep].
Vita «Mia madre era una bibliotecaria e mio padre, veterano della marina, un formidabile storyteller, come i suoi commilitoni che frequentavano casa nostra. Io e Kristine [la sorella], che ha 3 anni più di me, siamo cresciuti ascoltando storie meravigliose, piene di avventure e luoghi esotici» [Marco Giovannini, Panorama] • «Sua nonna girava con una pistola nella borsetta» πFrancesco Longo, Studio] • «Mia nonna Evelina gestiva una bisca... Ne aveva di storie! Diceva che il governatore Long, quello che si era messo in società con Lucky Luciano e Frank Costello e aveva riempito la Louisiana di slot machines, sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti se Roosevelt non l’avesse fatto uccidere. E che Kennedy era stato eletto con i voti di Carlos Marcello. Io ero un ragazzino, ma quando giravo per la Little Palermo di New Orleans tutti mi rispettavano perché ero il nipote di Evelina» [Enrico Deaglio, Rep] • Cresce a Perryville, «un villaggio di pescatori» nel Rhode Island: «e mio padre […] mi ha buttato in mare quando avevo 4 anni, e ovviamente non sapevo nuotare» • «Da bambino non leggevo narrativa ma solo testi di storia e biografie. Ricordo che il primo romanzo che esercitò un forte impatto su di me fu Something of Value di Robert Ruark, ambientato in Kenya» [a Federico Sabatini, Mangialibri] • «Ho studiato latino per quattro anni nella high school. Mi interessava la lingua e avevo un insegnante eccezionale. Ho letto Virgilio in latino prima che in inglese» [a Gianni Santucci, Lettura] • Da piccolo è fissato con Shakespeare, tenta di tradurre Giulio Cesare in latino • Nel 1971 va al cinema a vedere Il braccio violento della legge di William Friedkin e decide che vuole diventare scrittore: «Mi sconvolse per la bellezza e la scrittura […] E poi Serpico e Il Principe della città. […] questi film sono stati una grande fonte di ispirazione, come Jackie Chan e una certa Nouvelle Vague, penso a Bande à part di Godard. A volte, quando scrivo, cerco proprio a una narrazione cinematografica, un primo piano, una carrellata» • A diciassette anni si iscrive all’Università del Nebraska, studia giornalismo: «Sono stato addestrato al mestiere del giornalista e per questo tendo a restare molto ancorato ai fatti reali, alla cronistoria. A volte questo può risultare dannoso ai fini del romanzo, può capitarmi di perdere di vista oppure non prestare sufficiente attenzione all’evoluzione drammatica della trama» [ad Angelo Murtas, il Mucchio] • «Scrissi il mio primo “romanzo” all’età di diciannove anni. Ricordo perfettamente quel senso di appagamento per il risultato raggiunto: “Wow! Hai appena scritto il tuo primo romanzo!”. Poi lo lessi, e lo gettai immediatamente nell’immondizia. Era terribile. Ero da solo in una stanza e provai un senso di umiliazione. Credo ci vollero almeno dieci anni prima che riuscissi a trovare il coraggio di scrivere di nuovo narrativa» [Sabatini, cit.] • Si specializza in Studi Africani, e viaggia molto nel continente nero • «Ho iniziato a scrivere per il teatro, e scrivevo – neanche a dirlo – dell’Africa. All’università ero il classico immaturo che pensava di aver capito tutto, e i miei primi tentativi riflettevano proprio questo» [ibid.] • Poi torna nella Grande Mela: «Mi sono spostato a Times Square per lavoro negli anni ’70: in quel periodo era un casino di crack, prostitute e borseggiatori» • «Per quanto ha fatto il detective? “Una ventina d’anni. La mia famiglia – siamo italiani di origine – aveva delle attività a New York […] e io ho cominciato facendo la sorveglianza sui borseggiatori nei cinema. Poi mi sono occupato di frodi, di incendi dolosi, di abusi sessuali sui bambini: – la peggiore esperienza della mia vita. Ho visto tante cose. E per esperienza posso dirle che l’uomo non è buono. La vita ti fa diventare più furbo, non migliore”» [Deaglio, cit.] • Lascia il lavoro per iscriversi a un master in Storia militare: vuole lavorare nella diplomazia; poi però finisce a fare la guida turistica nei safari in Africa, nei viaggi organizzati in Cina, a lavorare per un teatro a Oxford durante l’estate • «Le esperienze di lavoro […] sono state miniere ricchissime di materiale […] Allo stesso tempo, quei lavori rappresentavano un ostacolo perché erano davvero lavori a tempo pieno e richiedevano un sacco di energia e di concentrazione che avrei potuto riversare nella scrittura. Un altro problema era che amavo davvero quei lavori, erano interessanti, emozionanti e mi facevano sentire appagato» • «Non ho mai avuto bisogno di una scrivania perché ho sempre scritto sulla strada, in hotel, in treno, in aereo, in ogni condizione, in ogni momento. Soprattutto quando facevo altri lavori per sopravvivere» [ad Antonello Guerrera, Rep] • «Ho cominciato imitando semi-coscientemente Elmore Leonard. […] Il mio primo romanzo nel 1991 è stato rifiutato da 14 editori. Poi ha vinto il premio Edgar, dedicato a un altro gigante: Edgar Allan Poe”. Perché ha aspettato tanto per provare a scrivere? “Allora mi dicevo che ero troppo occupato a procurarmi da vivere […] Col senno di poi, era semplice paura di un fallimento”» [Giovannini, cit.] • Torna in America, torna a fare l’investigatore privato e il consulente legale • Con la famiglia si trasferisce in California • «Ero in un albergo a Costa Mesa, zona noiosissima. Avevo un giorno libero perché un testimone mi aveva rinviato l’appuntamento, ho preso una macchina e ho puntato a Sud sulla Pacific Coast Highway: Laguna Beach, Corona del Mar, Crystal Cove, Dana Point mi sono sembrati i più bei posti che avessi mai visto. Ho chiamato mia moglie Jean, in Connecticut, e le ho detto di venire a vedere. Per tre anni siamo andati avanti e indietro, finché una sera lei mi ha confessato che l’idea di ripartire la faceva sentire male. La mattina dopo sono andato a comprarle un po’ di vestiti. Era il 1992» [Giovannini, cit.]• Mai stato rifiutato? «Mi è successo tante volte all’inizio di questo mestiere. Mi rifiutarono qualcosa come quindici editori. Tante volte mi hanno detto di lasciar perdere. E sa che cosa ho fatto?». Ci ha riprovato. «Proprio così. Pensavo: sono loro che si sbagliano. Il rifiuto mi dava una motivazione in più. “Perché non mi capiscono?”, mi chiedevo» [Crosetti, Rep] • Ha esordito con London Underground nel 1991 (pubblicato in Italia nel 2016) ma il suo primo vero successo è Bobby Z, il signore della droga, nel 1997 • «L’ho scritto in treno fra San Juan Capistrano e Los Angeles. Poco più di un’ora di viaggio in cui l’obiettivo era un capitolo a volta. Quando il conduttore annunciava “Union Station di Los Angeles, 10 minuti”, a qualunque punto fossi dell’azione la facevo finire» [ibid.] • «Scrivevo con la voce narrante tradizionale, onnisciente, in terza persona e al passato. E mi è sembrata proprio sorpassata. Ho iniziato così a scrivere al presente. Un soffio di aria nuova: improvvisamente sembrava che gli eventi mi si rivelassero da soli, in tempo reale. Per la maggior parte del testo, ho continuato con quella voce. […] È pretenzioso forse, ma ho voluto fare con la letteratura criminale quello che fecero con il loro mezzo i registi della New Wave degli anni sessanta: ribellarsi alle regole arbitrarie. Volevo anche uno stile che riflettesse la frammentarietà con cui riceviamo oggi le informazioni – non solo nei libri, ma in internet, skype, negli sms, nei film e nella televisione» • In che modo Bobby Z le ha cambiato la vita? «Come le ho detto, come scrittore ero morto. Per cui mi stupì moltissimo quando il mio agente disse che voleva provare a venderlo a un produttore cinematografico ancora prima che a un editore. Gli dissi: “Sei pazzo, non lo venderemo comunque a nessuno”. Quel giorno io e mia moglie avevamo chiamato una babysitter perché volevamo andare al cinema – al pomeriggio i biglietti costavano la metà e per noi era un affare – e invece l’agente mi disse che avrei dovuto restare vicino al telefono. Così ci ritrovammo io, mia moglie e la babysitter ad aspettare una chiamata, che arrivò. Mi offrirono una cifra che io, nella mia vita, non avevo mai visto, ma avrei dovuto accettare entro 20 minuti. Fu allora che mi sentii dire: “Io non faccio affari in questo modo, potete tenervi l’offerta”. Buttai giù: per i successivi venti minuti mi dissi di essere la persona più idiota sulla Terra, avere buttato via tutti quei soldi! Poco dopo mi richiamarono e mi offrirono cinque volte tanto, scusandosi pure. Accettai subito. La mia vita cambiò, ma non subito, perché avevo ancora dei casi da portare a termine ed eticamente non potevo mollarli» [a Laura Pezzino, TuttoLibri] • Da quel momento non ha mai passato più di cinque giorni senza scrivere • Lavora in piedi • «Scrivo più di un libro contemporaneamente, così se un giorno non mi sento particolarmente ispirato per un’opera passo direttamente a un’altra» [Guerrera, cit.] • «Quale è una sua giornata tipo? “Sveglia alle 5, caffè che una volta mi macinavo da solo, proprio come Frankie Machine, 10 minuti di kata, le forme di una combinazione di stili di arti marziali. Leggo i giornali e poi comincio a scrivere, fin verso le 11. Pranzo e poi nel pomeriggio ancora sport (corsa o camminata in collina, nuoto o surf), prima di ricominciare a scrivere. Se ho ancora idee fresche e energia, continuo dalla mattina. Se no mi dedico a qualcosa d’altro» • Ci farebbe visitare la sua stanza e la sua testa? «La mia stanza è un luogo semplice e pieno di musica, ad esempio quella di Bruce Springsteen, perché anche la scrittura è una danza nel buio. Sul tavolo ho il tablet, il computer, la tastiera, carta e penna. Ah, dimenticavo, accanto alla scrivania c’è un punching ball». Scrivere è fare anche un po’ a cazzotti? «Un po’ sì. È una fatica dura, uno sforzo fisico e non solo mentale». E nella sua testa cosa c’è?
«Lì dentro non vorrei entrare con una torcia elettrica neppure sotto minaccia di una pistola» [Crosetti, cit.] • Una passione per il surf: «Il mare ha sempre avuto per me una grande importanza. Sono cresciuto in un villaggio di pescatori, mio padre era un pescatore, per cui l’oceano ha sempre avuto un ruolo importante e spero che lo avrà anche in futuro. Alcuni sostengono che certi aspetti del surf possano essere paragonati a un’etica, che è la condivisione dello spazio, la condivisione del tempo, il fatto di mostrare attenzione verso l’altro. Ma io non lo definirei una filosofia. Però può essere un fatto spirituale, perché ti fa capire quanto piccolo tu sia. L’onda su cui ti muovi fa quello che le pare, indipendentemente da quello che farai tu, e quindi ci mostra sempre il nostro posto nel mondo. È una esperienza che suscita un senso di umiltà, rispetto alla potenza della natura» [a Piero Melati, Robinson] • «Fisico minuto e giovanile di chi pratica e insegna surf […], viso molto mobile con due occhi chiari profondi, jeans e maglietta, un uomo che ha fatto i mestieri più curiosi nella vita, Don Winslow è considerato il miglior giallista americano del momento. E quello che vende di più. Ha cominciato vent’anni fa ad apprezzarlo una nicchia di lettori internazionali; fece colpo con L’inverno di Frankie Machine, dove un mafioso in pensione, appassionato di surf, veniva richiamato in servizio (e buon per lui che era un tipo meticoloso); poi è esploso con […] le due saghe iperrealiste sui narcos messicani che gli hanno dato il successo mondiale» [Deaglio, cit.] • «Per scrivere Il cartello ho passato un anno a collezionare documenti, fatti di cronaca, rapporti di polizia: 153 pagine di notizie scritte a spazio uno. Ne ho selezionate quindici, poi ho cominciato ad andare a trovare persone e a far loro domande, poi a immaginare dei personaggi, delle emozioni, dei sentimenti. Alla fine ne sono rimasti due, e il tema del loro rapporto era la vendetta. Sono uno scrittore realista, probabilmente iperrealista. Il mio editor ogni tanto mi ferma» [Deaglio, cit.] • «Il Cartello è il Guerra e Pace dei narcos» (lo scrittore James Ellroy) • «Uno Shakespeare dei nostri tempi» (secondo una radio americana, perché, come il Macbeth per la politica scozzese dell’XI secolo, per comprendere la guerra della droga basta leggere lui) • «Winslow si alza e va alla staccionata. Prende una pietra. “Questo oggetto qui vale uno”. Lo trasporta oltre il legno. “Arrivato di là, lo vendi a 50. Produrre è importante, ma molto di più è occupare lo spazio da quest’altra parte della staccionata. Questo vuol dire corrompere, decapitare, sterminare. Il cartello è questo: non è la cronaca di diversi assassinii, ma il flusso di una merce diventata regina del mercato americano. I narcos vogliono il monopolio. Chi si oppone muore” […] Ma lei fa lo scrittore o il sociologo? “Scrittore, assolutamente. La crime novel è fatta per intrattenere il lettore. Però ci tengo anche a fare qualcosa per cambiare la situazione”» [Deaglio] • «Mi stupisce sempre che i millennial progressisti boicottino una catena di alimentari perché non acquista caffè certificato dal commercio equo e solidale ma poi tornino a casa a farsi di droghe che gli arrivano dagli assassini, torturatori e sadici dei cartelli» • Ci dev’essere un modo per sconfiggerli... «Siamo noi che compriamo i prodotti dei narcos e finché ci sarà domanda ci sarà offerta. I governi dovrebbero avere il coraggio di fare scelte coraggiose e liberalizzare ogni droga. Perché finché ci saranno droghe illegali ci saranno trafficanti. La liberalizzazione della marijuana in certi stati americani ha già fatto crollare le importazioni messicane del 40 per cento. Col risultato che oggi l’eroina messicana è più economica degli psicofarmaci ed è tornata nelle strade. Bisogna legalizzare tutte le droghe per levarle per sempre dalle mani dei criminali» [Anna Lombardi, Rep] • Il figlio ventitreenne di una sua amica è morto per un’overdose di eroina • Tra le sue opere, le avventure del detective Boone Daniels (La pattuglia dell’alba Einaudi, 2010 e L’ora dei gentiluomini Einaudi, 2016), le avventure di Ben, Chon e Ophelia (Le belve Einaudi, 2011e I re del mondo Einaudi, 2012), Corruzione (Einaudi, 2017), le indagini di Frank Decker (Missing New York Einaudi, 2014 e Germany, 2016), i racconti Broken (HaperCollins, 2020), la trilogia Danny Ryan (Città in fiamme, Città di sogni, Città in rovine HarperCollins, 2021, 2023, 2024) • «Ho avuto un’educazione cattolica, la messa in latino negli Stati Uniti me la ricordo. La Bibbia, nella cultura occidentale, è sempre evocativa. Entrambi i romanzi, Il potere del cane e Città di sogni, ruotano intorno alla ricerca di redenzione. Così, per un’osmosi naturale, quel linguaggio è entrato nel corpo della scrittura. Quella formula contiene anche un sottile rimando a James Joyce (Buck Mulligan, con intento di parodia, nella prima scena dell’Ulisse declama Introibo ad altare dei, ndr). E poi, anche se non voglio enfatizzare questo aspetto, la scena si svolge quasi come un sacramento: la ragazza appoggia il fungo sulla lingua di Danny e lui lo ingoia nella speranza di ottenere una conoscenza, un sollievo, una guarigione, una pausa dal peso delle tragedie di cui si sente responsabile» [a Santucci, cit.] • «Rileggo sempre dieci, quindici volte quello che ho scritto, ogni giorno. Perché la prima versione è ciò che sento io, le riletture successive le dedico al lettore: cerco di plasmare la mia scrittura, di renderla accessibile, comprensibile, funzionale a chi legge. Evito a prescindere gli avverbi. Ingolfano. Sono inutili» [a Guerrera, cit.] • Chi è per lei il lettore: qualcuno da manipolare, il suo vero padrone, un amico, un complice? «È l’uomo o la donna che incontro in un bar o su un treno e siccome dobbiamo restare insieme per qualche ora stringiamo il patto di divertirci insieme» [Giovannini, cit.] • «Se non c’è passione, allora il talento non servirà a nulla».
Politica Nel 2022 annuncia l’addio alla letteratura per dedicarsi a tempo pieno alla battaglia contro la possibile rielezione di Donald Trump: «È un grande passo e non lo faccio certo alla leggera». Il suo, spiega, sarà un ruolo da grande accusatore e contestatore pubblico dell’ex presidente • Nel 2024: «La vera crime story americana si chiama Donald Trump. Bisogna in ogni modo impedirne la seconda serie. È un enorme pericolo per il mondo intero, dove purtroppo le destre stanno crescendo di giorno in giorno. Ma, per noi statunitensi, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca significherebbe la fine della democrazia. Può accadere, purtroppo» [Crosetti, cit.].
Curiosità Gli piace l’Italia: ama Puccini ed è amico di Roberto Saviano • Ha accettato di scrivere (e di registrare) un audiolibro da ascoltare in auto per conto della Bmw (titolo: A beautiful ride; storia: Ted ha perso tutto tranne una Z4 convertibile) • Anche sua sorella Kristine fa la scrittrice • «C’è un lieto fine? “Io lo cerco, ma... Quando devo trovare una fine, comincio ad ascoltare molto jazz, soprattutto il sax di Sonny Stitt. Il finale che cerco deve avere due caratteristiche: essere sorprendente e inevitabile. E questo Stitt me l’ha sempre suggerito. Il jazz è il miglior amico dello scrittore di polizieschi”» [Deaglio, cit.]Su Netflix non guarda Narcos: «Non è disprezzo, né spregio. Ma non voglio essere influenzato da altre opere. E poi dopo aver scritto per dieci ore sul narcotraffico, secondo lei mi metto a guardare una serie tv sullo stesso tema?» [a Guerrera, cit.] • Invidia «Richard Russo (vincitore del Pulitzer nel 2002, ndr): vorrei avere la sua verve e capacità di raccontare» [Crosetti, cit.] • Consigli a un aspirante romanziere? «Leggi, leggi, leggi. E scrivi, scrivi, scrivi. Solo se leggi puoi migliorare. Lotta e non arrenderti. E questo vale anche per la vita» [ibid.].
Amori Una moglie, Jean. Un figlio, Thomas. Anche sua moglie è una surfista? «No, è nata in una fattoria del Nebraska. Ama la spiaggia, ma è difficile anche solo farla entrare in acqua. Dice che vuole sapere dove poggia il sedere» • Vivono a Julian, in California.
Titoli di coda «C’è una espressione nel mondo del surf che dice “A volte sei tu a cavalcare l’onda, a volta è l’onda a cavalcare te” […] Provo le stesse cose rispetto alla scrittura: “A volte sei tu a raccontare una storia, a volte è la storia che racconta te”» [Sabatini, cit.].