la Repubblica, 11 novembre 2024
50 mila uomini in marcia su Kursk
Gli attacchi delle colonne corazzate di Putin proseguono ormai da tre giorni senza riuscire a sfondare. Ma gli ucraini sono certi che si tratti solo di avanguardie: nella regione di Kursk il comando di Mosca avrebbe accumulato 50 mila uomini pronti a dare una spallata per buttare le truppe di Kiev fuori dal territorio russo occupato nello scorso agosto. Preoccupano il numero – confermato alNew York Times da fonti del Pentagono – e le caratteristiche di queste forze: i russi hanno aggregato a tre delle loro unità migliori di marines e parà contingenti nordcoreani, ritenuti ben addestrati e determinati. Da qui all’insediamento di Donald Trump il Cremlino farà di tutto per riconquistare l’intera regione di Kursk e riportare l’assedio a Kharkiv, tentando di ottenere dal nuovo presidente il riconoscimento di tutte le zone sotto controllo russo.
Le fortificazioni allestite dagli ucraini sono deboli, perché le pianure in questa area non offrono ripari naturali e ci sono pochi insediamenti urbani: è il terreno per una guerra di movimento, dove entrambi gli eserciti hanno spostato i tank più moderni. Fa freddo ma non è ancora arrivata la pioggia che trasformerà il suolo in fango: c’è spesso nebbia e questo frena l’attività dei piccoli droni killer, usati soprattutto dalle brigate di Kiev.
A fare la differenza però resta la fanteria e questo rende la situazione critica per gli ucraini, che non possono rimpiazzare le perdite. Il numero di caduti russi è impressionante: l’intelligence britannica sostiene che da settembre contino 1.500 tra morti e feriti ogni settimana, ma Putin riesce a reclutare 30 mila volontari al mese offrendo paghe sempre più alte. La mobilitazione di Kiev invece fatica a raccogliere coscritti e copre circametà delle necessità: solo le brigate d’élite – ad esempio la terza d’assalto Azov – hanno i ranghi al completo.
La scarsità di fanti si sente ancora di più nel Donbass. Zelensky ha tenuto una riunione sabato per valutare la situazione della linea Kurakhove- Pokrovsk, superata in più punti dai russi. La battaglia infuria a Selydove e ieri ci sono stati alcuni contrattacchi per consolidare un paio di postazioni chiave,ma senza rinforzi significativi entro una settimana dovrà scattare la ritirata con il pericolo di abbandonare Pokrovsk, lo snodo di tutti i rifornimenti nel Donetsk.
Il problema è che un’altra concentrazione di reparti di Mosca viene segnalata più a sud, alle porte di Zaporizhzhia, da dove può prendere alle spalle l’intero schieramento ucraino nel Donbass. È chiaro che nei prossimi due mesi il Cremlino non risparmierà risorse pur di presentarsi vittorioso al tavolo dei negoziati annunciato da Donald Trump: ai vecchi tank sovietici si sono aggiunte dozzine di mezzi appena usciti dalle fabbriche. Accade ogni notte pure nei cieli, con ondate di droni Shahed – disegno iraniano ma produzione russa – che volano verso le città: sabato c’è stato uno sciame record di 145 velivoli teleguidati. Gli ucraini hanno mandato i loro contro un deposito di munizioni a Bryansk e soprattutto contro Mosca, dove sono arrivati una quarantina di minuscoli bombardieri.
Non è escluso che i raid contro la capitale russa vengano intensificati, per cercare di scalfire la credibilità di Putin: Zelensky è tornato a parlare dei nuovi missili balistici a lungo raggio costruiti in patria. E sono riprese le pressioni sull’amministrazione Biden per eliminare il veto all’uso degli Atacms statunitensi sul territorio russo: il via libera del presidente uscente permetterebbe agli ucraini di colpire le basi dove si trovano le truppe di Mosca e Pyongyang destinate all’offensiva di Kursk. Saranno le scelte di Washington a condizionare le prossime settimane di guerra, che si annunciano più feroci degli scorsi trentatre mesi di carneficina: secondo Londra, morti e feriti di entrambi gli eserciti hanno superato il milione.