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 2024  novembre 11 Lunedì calendario

A 6 gradi sottozero, in attesa dei russi

Se ne stanno rintanati tutto il giorno in una specie di capanna di ferro senza finestre, che una volta doveva essere un container. Appena entrati e ben serrata dietro le spalle la porta di metallo spesso, i boati della battaglia arrivano come ovattati, si può persino cercare di dimenticarli nel tepore ascoltando il crepitio del fuoco. La stufa a legna riscalda facilmente l’ambiente minuscolo. Vicino c’è lo scheletro annerito di un enorme stabilimento industriale contornato dai crateri delle esplosioni. «Non andiamo via. Aspettiamo i russi, tanto per noi cosa cambia? Cosa possono farci? Siamo poveri e poveri resteremo. Tre mesi fa siamo evacuati a Dnipro. I servizi sociali ci avevano accampato in una scuola, ma c’era troppa calca e i nostri soldi non bastavano: così abbiamo deciso di tornare a Pokrovsk. Ma qui abbiamo trovato la nostra abitazione danneggiata. Fa freddo ormai, di notte si va già a sei sottozero, non potevamo stare con i vetri delle finestre rotti e il tetto bucato. Un soldato ci ha indicato questo posto, è caldo e sembra robusto», dicono Ala, 66 anni, e il marito 71enne Anatoly. 
L’acqua da bollireOgni tanto lui prende un bidone da cinque litri e va a riempirlo d’acqua a un pozzo vicino. Siete sicuri sia potabile? «La facciamo bollire, ci sembra pulita. Del resto, non abbiamo molte alternative, il primo negozio ancora aperto è a due chilometri: troppo esposto. Due giorni fa Dimitry, un 70enne, è stato colpito alla schiena da una scheggia: l’hanno trovato dissanguato molte ore dopo», ricordano. Sono ucraini filorussi, antirussi? Difficile dire. Starebbero con chiunque garantisse qualche cosa di più dei 50 euro della pensione mensile di Anatoly e soprattutto ponesse subito fine al calvario della guerra. Questi due anziani, incontrati alle porte della città che da tre mesi i russi cercano di conquistare con la speranza di completare al più presto l’occupazione dell’intero Donbass, sono simili alle migliaia rimasti per quasi mille giorni nelle zone più squassate dalla guerra nell’Est del Paese. Quasi tutti in là con gli anni, spesso malati, tanti (non tutti però) nostalgici della loro giovinezza nell’Unione Sovietica, ma se ci fosse stato qualsiasi altro governo per loro oggi farebbe lo stesso. 
C’erano a Bakhmut, Avdiivka, Chasiv Yar, Mirnograd e in tutte le altre località occupate dai russi o ancora contese che la strategia elaborata dai generali di Mosca della metodica e progressiva terra bruciata ha ridotto in un deserto di macerie e morte. Entriamo a Pokrovsk in una giornata uggiosa. Il fango è già indurito, i carri armati non sprofondano più, due notti fa è caduto qualche fiocco di neve. Le postazioni russe più vicine sono sei chilometri più a Est: il cerchio si stringe. Le auto dei soldati ucraini sulla strada principale sfrecciano velocissime per sfuggire ai droni. Prima della guerra, la città aveva circa 80.000 abitanti, le autorità di Kiev incitano ad evacuare: oggi sono meno di 10.000. 
Vediamo posti di blocco rinforzati da artiglieria e contraeree sulle strade secondarie che conducono ai centri minerari: le fabbriche di metalli e armi ucraine dipendono largamente dai materiali che ancora si estraggono da queste parti. Le bombe russe hanno da tempo danneggiato il ponte che passa sulla ferrovia. Occorre rallentare sul tratturo alternativo, che costringe ad attraversare i binari. Ma può essere pericoloso, come provano un paio di autoblindo bruciate sul ciglio. Dentro la cerchia urbana i soldati stanno disponendo i denti di drago tra i palazzi e sulle strade verso la periferia. Tank e mezzi pesanti russi avranno vita dura. Ci si prepara alla battaglia urbana, casa per casa, vicolo per vicolo. 
Accessi minati«I russi dovranno dissanguarsi per cacciarci. Non ce la faranno per mesi e avranno perso altre migliaia di uomini», ci dice Kostantin Koshalenko, sergente 40enne della 29esima Brigata. È un veterano delle maggiori battaglie del Donbass, sta occupandosi di fare minare gli accessi. Nella strada vicina funziona l’unico Bancomat attivo. Vi si assiepa una piccola folla. La gente si scambia informazioni sulle tre farmacie aperte. Stanno organizzando le cantine con batterie, acqua, cibo e medicine. C’è paura. Una donna afferma che resterà. Un vicino mi dice che lei sta coi russi. Ma lui è contento che la figlia sia scappata a Kiev.