Corriere della Sera, 11 novembre 2024
Il rabbino di Milano commenta i fatti di Amsterdam
«Quello che è accaduto ad Amsterdam è impressionante. E mi preoccupano moltissimo le minimizzazioni e il silenzio di chi pensa cose diverse da certi slogan violenti». Alfonso Pedatzur Arbib è il rabbino capo della Comunità ebraica milanese. Ieri ha partecipato al presidio in piazza San Babila, organizzato all’indomani delle violenze della capitale olandese.
Rav Arbib, cosa pensa dei fatti di Amsterdam?
«Mi ha impressionato il fatto in sé, cioè una vera caccia all’ebreo, condotta in tutta la città, molto lontano dallo stadio. Una sequenza che ha tutte le caratteristiche tecniche di un pogrom. Eppure le reazioni non sono state quelle che ci saremmo aspettati».
Cioè?
«Cioè non sono mancate le minimizzazioni, anche da parte degli organi di stampa, salvo poi correggere il tiro».
Quali minimizzazioni?
«Si è parlato di scontro tra tifosi, che in realtà non c’è stato, perché è provato che si è trattato di un attacco organizzato in precedenza. E questa minimizzazione mi ha impressionato molto, perché è un classico della storia dell’antisemitismo. Anche durante la Shoah, quando le notizie arrivavano ai governi di tutta Europa, c’era chi diceva che stavamo esagerando: ma non era così, quella era la realtà. Ecco anche adesso sento minimizzazioni e mi fa paura, perché non è l’unico atteggiamento che si ripropone».
Cos’altro si sta riproponendo, secondo lei?
«Si rivede il tentativo costante di attribuire tutte le colpe a Israele o agli ebrei. Per esempio, ad Amsterdam si enfatizzano i cori dei tifosi del Maccabi, la bandiera palestinese afferrata da qualcuno, come se questo giustificasse l’assalto indiscriminato alle persone. Ma soprattutto c’è un ribaltamento delle responsabilità. Come avviene a proposito della situazione in Medio Oriente, che ovviamente è molto più complessa rispetto alla narrazione spicciola».
In Italia gli ebrei si sentono in pericolo?
«Ci sentiamo tutelati, per esempio dalle forze dell’ordine, come non è stato in Olanda, ma il clima è cambiato molto. C’è la narrazione di una minoranza, che credo appartenga a una infima minoranza, che viene accolta un po’ pedissequamente dalla maggioranza che resta silenziosa. E questo contribuisce a generare un senso di insicurezza. Noi, invece, più che della solidarietà e delle condanne a posteriori di certi atti, abbiamo molto bisogno che emerga l’altra parte del pensiero, quello che non va per slogan ma riconosce la complessità».