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 2024  novembre 10 Domenica calendario

Jonathan Coe parla dell’Inghilterra di oggi

Jonathan Coe è uno scrittore molto inglese: dà appuntamento a «la Lettura » su una terrazza all’aperto a Piccadilly, a novembre, e così l’intervista si svolge in esterno, senza cappotto, con 12 gradi di temperatura («non fa molto freddo oggi, vero?», chiosa convinto). E molto inglese è pure il suo libro più recente — La prova della mia innocenza (Feltrinelli) – che sotto le mentite spoglie del cosy crime, il «giallo carino», genere che spopola in questo momento in Inghilterra, racconta di come il partito conservatore si sia trasformato – secondo Coe – in una sorta di setta occulta di estrema destra che ha inflitto danni enormi al Paese. 
La vicenda è collocata tra i fatali 49 giorni del governo di Liz Truss, fra settembre e ottobre del 2022 – passati alla storia come la più breve premiership del Regno Unito – e la Cambridge degli anni Ottanta, dove una cricca di professori e studenti punta a manipolare segretamente il partito conservatore: ma la cornice è quella di un giallo che vede protagonista Phyl, neolaureata in Lettere aspirante scrittrice, e suo zio Richard (alter ego di Coe), e che conduce a una misteriosa conferenza nel Cotswolds, dove uno dei delegati viene assassinato. La soluzione sarà nella politica contemporanea o in un vecchio enigma letterario?
Mr Coe, perché ha deciso che il genere del «cosy crime» potesse essere questa volta un buon mezzo per incanalare la sua ispirazione? 
«Ho pensato che sarebbe stata una cosa piacevole da scrivere. Ho letto diversi autori che praticano il genere, come Richard Osman, ma la mia passione va alla sua forma originaria, che è quella che chiamiamo l’età d’oro del giallo: dunque Agatha Christie. Miss Marple è la fondazione di questo genere, l’idea che prendiamo la più pittoresca, tranquilla ambientazione inglese immaginabile e gettiamo un omicidio proprio lì. L’unica cosa simile che ho riscontrato anche in Italia è la popolarità dell’ispettore Barnaby, la serie tv, che è il cosy crime portato all’estremo, un piccolo villaggio inglese dove ciascuno o è stato ucciso o ha ucciso qualcuno... Ormai se vai nelle librerie qui in Inghilterra trovi che è un genere persino parodiato». 
E dunque lei ha deciso di mettersi in scia?
«Dopo il mio romanzo precedente, Bournville, volevo scrivere qualcosa di un po’ assurdo, un po’ più leggero, perché la politica in questo Paese – ma anche in Italia, specialmente durante gli anni di Berlusconi – ha un elemento di teatro, di teatro dell’assurdo, di burlesco. Abbiamo avuto una versione molto particolare di ciò con Boris Johnson, ma anche con Liz Truss, che è stata un episodio comico o tragicomico». 
Quindi voleva scrivere un libro politico ma ha pensato che il genere del «cosy crime» poteva veicolare gli aspetti «assurdisti» della politica. 
«Sì, immagino di sì, anche se questo fa pensare che lo abbia pianificato, quando in realtà scrivi in base all’istinto; l’inizio di ogni romanzo è un esperimento. Ho solo pensato: Boris Johnson, Liz Truss e cosy crime, queste cose si associano nella mia testa, mescoliamole e vediamo cosa succede». 
La storia che lei racconta nel libro è vista attraverso gli occhi della protagonista Phyl, che appartiene alla Generazione Z. Lei ha due figlie ventenni...
«Sono molto curioso riguardo a questa generazione, a motivo delle mie figlie e a causa della contraddizione tra il fatto che, poiché sono le mie figlie, sono molto vicino a loro dal punto di vista emotivo: ma dall’altro lato non le capisco davvero, non capisco il loro modo di pensare. Ogni padre pensa: non sarò come i miei genitori, che non mi capivano, avrò sempre questo legame con le mie figlie; ma in realtà arrivi ai sessanta e dici: non capisco davvero il modo in cui pensi. Sulla questione del gender c’è un grande divario generazionale, che non tocco in questo libro, ma soprattutto questa generazione mi sembra più distaccata dalla politica tradizionale di quanto io non lo fossi. Molti amici delle mie figlie non hanno votato per i partiti tradizionali a queste ultime elezioni in Gran Bretagna, non trovano alcun punto di contatto con il premier laburista Keir Starmer: se sono di sinistra hanno votato per i verdi, se sono di destra hanno votato per Nigel Farage». 
Quindi voleva provare a entrare in quella prospettiva? 
«E voglio continuare a farlo. Scrivi romanzi per esplorare prospettive fuori dalla tua: potrei facilmente scrivere dalla mia prospettiva, ma è più interessante per me vedere il mondo attraverso gli occhi degli altri». 
Perché ha scelto di collocare la vicenda durante il breve governo di Liz Truss? Lei l’ha anche conosciuta di persona...
«Non è successo perché l’ho incontrata, anche se conoscerla è stata un’esperienza molto forte, perché lei non scende a compromessi, non fa chiacchiere cortesi con i suoi oppositori ideologici, cerca la battaglia: ed è stato interessante incontrare qualcuno del genere. Ma mentre Bournville abbracciava 75 anni di storia, ho pensato che sarebbe stato carino scrivere un libro molto più concentrato, ambientato nello spazio di poche settimane, quelle della sua premiership: inoltre, dal punto di vista politico, lei era l’incarnazione della deriva a destra del partito conservatore di cui volevo scrivere. E ne abbiamo appena visto la versione più recente con l’elezione a loro leader di Kemi Badenoch». 
Pensa che sia una prova dello spostamento dei conservatori verso l’estrema destra? 
«Sì, lo penso, sicuramente. Ma la Gran Bretagna è anche un Paese interessante e complicato, e questo è ciò che mi piace come scrittore: l’altra cosa importante di Kemi Badenoch è che è una donna nera, la prima donna nera leader di un partito britannico. Eppure non è di sinistra ma di destra dura, e questo per me è molto interessante». 
Non pensa che questo sia la testimonianza della grandezza e dell’apertura di questo Paese? Una cosa del genere sarebbe impensabile in qualsiasi altra nazione dell’Europa continentale. 
«Sospetto che lei abbia ragione: è la testimonianza di qualcosa di notevole riguardo alla Gran Bretagna, qualcosa che dovrebbe essere celebrato. Le sue idee politiche mi fanno orrore, ma è qualcosa che fa impressione». 
Nel romanzo prova a tracciare le radici malvage, per così dire, del conservatorismo odierno, immaginando una cabala di think tank a Cambridge negli anni Ottanta: sembra considerare cospirazione e inganno come qualcosa di insito nella destra. Ma in questo modo non si spiega perché 17 milioni di elettori abbiano votato per la Brexit, perché Johnson abbia ottenuto la più schiacciante vittoria dai tempi di Margaret Thatcher e perché 4 milioni e mezzo di persone abbiano votato dal nulla per Farage. È comodo pensare a cospirazioni, ma non è un po’ semplicistico? 
«È un’altra delle ragioni per cui ho scelto il genere del cosy crime: perché ciò che descrivo nel libro credo che sia accurato, per molti partiti politici le scelte sono fatte dietro le quinte. Oxford e Cambridge sono parte del network invisibile che ha contribuito a quel processo. Dunque il libro è un’analisi di come il partito conservatore si è spostato ulteriormente a destra negli ultimi 40 anni, fin dai primi tempi di Margaret Thatcher, ma non è un tentativo di spiegare l’attrattiva di ciò per la gente comune, così come non lo era Middle England. È una questione che ho messo da parte in questo libro, in parte perché non vedo come la forma del cosy crime mi avrebbe consentito di occuparmene, ma anche perché è una questione più seria, sfumata e difficile: è la questione del fallimento della sinistra, che è l’altra grande storia politica in Gran Bretagna e in Europa negli ultimi quarant’anni. Una questione sulla quale tornerò, ma non in questo libro, perché volevo che questo romanzo fosse più leggero e più burlesco dei miei recenti libri sullo stato della nazione». 
Non si tratta anche di un fallimento degli intellettuali progressisti come lei, che non hanno provato a connettersi con quella parte della popolazione, a capire le loro preoccupazioni, bollandoli invece come razzisti e fanatici? Non è il momento di fare autocritica? 
«Sì, assolutamente. Non ho negato le loro preoccupazioni, credo di essere stato uno dei primi scrittori a farlo con Middle England, che ho scritto a causa del mio fallimento nel prevedere il risultato del referendum sulla Brexit e la forza dei sentimenti che c’erano dietro. Come molti intellettuali progressisti, ho tirato un sospiro di sollievo quando Starmer è stato eletto, ma tutto ciò che quell’elezione ci ha dato è lo spazio per un riesame. I conservatori e Farage hanno ancora una forte attrattiva, che la gente come me ha derubricato a un’attrattiva per le vecchie generazioni: ma non possiamo più acconsentire a quella fizione, perché i giovani, specialmente maschi, sono molto attratti verso quelle politiche».
Come giudica questi primi mesi di governo laburista a Londra? 
«È troppo presto per giudicare il governo Starmer: però non hanno una grande idea su come sottrarre la gente alla presa della destra. Non hanno una grande idea sull’immigrazione nè sulla cultura: forse emergerà, ma per ora avremo cinque anni di governo competente e tecnocratico. Non è particolarmente eccitante, anche se ne abbiamo bisogno dopo il caos seguito al 2016: ma non lo vedo come un grande momento trasformativo nella narrativa che si è sviluppata in Gran Bretagna dagli anni Ottanta. Il thatcherismo rimane la risposta politica più persuasiva al momento attuale: e la sinistra non è mai stata davvero in grado di contrastarlo». 
La sinistra sembra aver perso il suo ruolo e la sua ragion d’essere. 
«Non voglio pensarlo, a motivo delle cose in cui ho creduto in tutta la mia vita. Mi rifiuto di credere che la sinistra sia irrilevante, deve solo trovare un nuovo ruolo». 
Dopo Liz Truss potrebbe scrivere un romanzo su Starmer e il laburismo? 
«Voglio scrivere un libro sulla sinistra e sugli errori che ha fatto negli ultimi decenni in Gran Bretagna. Se sarà un libro sugli anni di Starmer non lo so, ma è vero che il colore, il dramma e il teatro sono spesso appannaggio della destra. La sinistra ha le sue intolleranze, le sue false nostalgie, ma sarebbe un romanzo di tipo diverso, più serio». 
Lei è visto all’estero come l’interprete della Gran Bretagna contemporanea e i suoi libri sono letti come la chiave per decodificarla: qui è considerato uno scrittore brillante, divertente, ma in Europa è quasi come una sorta di oracolo. Come lo spiega? 
«Gli scrittori in questo Paese hanno uno status differente che altrove: i giornalisti non cercano le nostre opinioni politiche come in altri Paesi europei, non siamo visti come portavoce di un certo punto di vista intellettuale, siamo visti come intrattenitori. E penso che dovrebbe essere così: i britannici sono già dentro la loro realtà e non hanno bisogno di qualcuno che gliela spieghi. Gli italiani, i francesi e i tedeschi che sono incuriositi da cosa succede qui hanno bisogno di una porta d’ingresso: possono leggere i giornali britannici, ma è più facile, di intrattenimento, leggere un romanzo che offre una finestra sulla realtà britannica». 
E lei è diventato quella finestra. 
«Non sono molti i romanzieri britannici che scrivono così direttamente degli avvenimenti politici recenti e delle trasformazioni sociali come faccio io. Ne scrivo in maniera letterale, mentre invece hai una scrittrice come Ali Smith che è molto più artistica e obliqua nel suo modo di scrivere della Gran Bretagna contemporanea, un modo molto più indiretto del mio. Posso capire perché io sono un ovvio punto di ingresso, ma la cosa mi mette a disagio, perché la mia prospettiva è la mia e non pretendo di dire la verità oggettiva e imparziale su cosa accade oggi in Gran Bretagna». 
Però anche questo nuovo libro che sembra un «cosy crime» è un libro sullo stato della nazione. 
«Non proprio, perché racconta una storia molto specifica: quello che è successo di particolare in Gran Bretagna è che la destra dura non è emersa come un partito a sé, ma da un partito che decenni fa rappresentava qualcosa e che ora è qualcosa di completamente diverso. E questo spostamento è avvenuto soprattutto dopo la Brexit e con Boris Johnson». 
Nonostante tutto, lei resta ottimista? 
«Per temperamento sono un pessimista e credo sia per questo che scrivo commedie: gli scrittori comici sono sempre pessimisti, ci volgiamo alla commedia perché è l’unico modo in cui riusciamo a sentirci più allegri. Ma speriamo che quando leggono i nostri libri, anche i lettori si sentano più allegri».