il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2024
Biografia di Vittoria Belvedere
Avviso salvifico: mai versare l’acqua, il vino o qualunque altra bevanda a Vittoria Belvedere. Lo sguardo di rimprovero è netto. “Basta con questi gesti!”.
Lei è ossimoro nell’essenza.
È bella, ma si veste per nascondere.
È calabrese di nascita, brianzola di crescita, ma così bionda, così azzurri gli occhi, così alta di zigomi, sembra svedese.
Accento zero.
È nel mondo dello spettacolo da una vita, ma da una vita è sposata e ha tre figli.
Appare garbata, ma la parolaccia le scappa. Eccome. (“Lo so, sembro un po’ una camionista”).
Nasce come modella, poi attrice di cinema e serie tv (quelle da milioni e milioni di spettatori), ma da anni non la chiamano (niente casting, niente provini e poca televisione).
Per fortuna c’è il teatro (“e per fortuna mi piace tantissimo”): ora è in tournée con Benedicta Boccoli e Debora Caprioglio con lo spettacolo Donne in pericolo (fino al 20 al Manzoni di Roma).
Quindi non la chiamano…
All’inizio la risposta che mi sono data è perché ero a cavallo tra i quaranta e i cinquanta: non più ragazzina e troppo giovane come madre; poi ho pensato che non sono una prezzemolina, una che sta bene su e con tutto. Però non mi lamento, perché amo il teatro, sono felice sul palco, lì mi sento professionalmente realizzata.
È nella categoria attrice con l’ansia pre-sipario?
Tutte le sere, cinque minuti prima, penso: “Ma chi me lo ha fatto fare? Perché sono qui?”. A quel punto scattano i fiori di Bach e la valeriana.
Roba forte.
Non reggo altro, a me basta una sigaretta per finire a terra.
E alla fine dello spettacolo?
Inizia la fase che amo di più: la cena con la compagnia. Mi piace tornare all’effetto gita scolastica, al casino, alla goliardia: il furgone lo guido sempre io.
Fa le corna dal finestrino?
Una volta a una rotonda ho litigato con un camionista per la precedenza, con accanto Enzo Iacchetti terrorizzato che mi pregava di smetterla.
Non è caduto nell’istinto del maschio Alfa.
Enzo non è il tipo.
Iacchetti in tournée.
Persona meravigliosa e compagno di lavoro perfetto; (sorride, a lungo) credo che mi ami follemente, spesso ripeteva: “Peccato che sei sposata, altrimenti saresti stata mia”.
Iacchetti manifesta il timore di perdere il successo.
È una forma di depressione come capita spesso ai comici, poi lui ha raggiunto il successo tardi e tardi si è goduto la vita, in tutte le sue forme. Il problema è che all’improvviso arrivi a 70 anni e scopri l’altra metà dell’ora e subito: la solitudine.
Il rischio solitudine la spaventa?
Molto.
Però?
Ne parlo con mio marito e ci consoliamo con la frase: “Abbiamo tre figli, almeno uno di loro ci porterà dal medico o ci comprerà il pannolone”.
La critica che in questi anni l’ha più offesa?
Mi dispiace solo quando pensano di me che sono fredda, gelida, algida; una che si dà le arie. In realtà sono proprio timida. Però ho un vantaggio rispetto alle critiche: non ho scheletri nell’armadio; (pausa) o almeno credo.
Va in analisi?
Sì, da poco. A 52 anni devo fare un check su chi sono.
Rivede i suoi vecchi lavori?
Sotto le feste ogni tanto mandano Il mio amico Babbo Natale, o sulla Rai passano le immagini di Sanremo; poi Sandokan e altre cose nazionalpopolari; (ci pensa) un tempo evitavo, oggi mi piace.
Primo giorno di set.
Con Florestano Mancini per Piazza di Spagna; passo indietro: durante un servizio fotografico con Bruno Oliviero conosco Paola Petri, moglie di Elio. Dopo qualche tempo Paola mi porta a Milano per un provino con Florestano. Arrivo sul set e ricordo benissimo una mamma che accompagnava la figlia bionda e le tirava in continuazione su la minigonna, più altri consigli del genere, e dentro pensavo: “Ma cosa ci faccio qui?”. Non solo: al provino mi dimentico le battute, attacco di panico, così Florestano mi ferma: “Ti vuoi riguardare?”. “Sì”. “Ti sei piaciuta?”. “No”. “Ok, ciao”.
E invece?
Mi ha preso; così ho interpretato Lucrezia Lante della Rovere, perché tutta la serie era ambientata nella Roma bene, quella di Marina Ripa di Meana.
Ne era affascinata?
Mi incuriosiva, non la conoscevo: venivo dalla Brianza; (pausa) ho sempre avuto la sensazione di non essere del tutto dentro al meccanismo.
Cioè?
Sempre sentita un pesce fuor d’acqua, anche nel look non sono rassicurante; (ritorna al cinema) credo si essere tra le ultime ad aver recitato con e per alcuni dei mostri sacri.
Tipo?
Mauro Bolognini nella Famiglia Ricordi.
Cast di stelle.
Tra di loro c’era un giovanissimo Kim Rossi Stuart. Dopo il film siamo partiti insieme, destinazione Turchia.
Giovani, belli, innamorati.
In realtà giovani, belli e disperati: lui devastato per la morte del padre, io in Calabria mollata dal fidanzato. Ci sentiamo, gli domando cosa combina: “Quasi quasi parto per la Turchia”. “Vengo anche io”.
Da film.
Due cretini: dovevamo stare fuori dieci giorni, al quarto mi sono arresa alla tristezza ed è finita la vacanza.
Storia breve ma intensa.
Che storia? Lui ci ha lievemente provato una sera, ma stavo troppo male, quindi niente; (ride) quando lo racconto, le mie amiche mi danno della cretina e se tornassi indietro, in effetti… (sorride) con lui non ne abbiamo mai parlato.
Tra le sue amiche c’è sempre Laura Pausini?
No.
Che è successo?
Accade che le persone per motivi spesso imperscrutabili si allontanino. Poi lei è una che punta molto su se stessa, sulla carriera e, all’improvviso, quando la chiamavo rispondeva “oggi non posso, oggi non ci sono”. Poi ho scoperto che usciva con Paola Cortellesi.
Piazza di Spagna, la fama.
Mi ha permesso di ottenere tanti provini, tanti copioni: era come se mi fossi laureata all’università dello spettacolo.
Con i registi come si è trovata?
È andata sempre bene, eppure di scene drammatiche, terribili, ne ho viste…
Tipo?
Il regista che urla “sei una mignotta!” o “frocio di merda!”, e lì ti senti minuscolo.
Soggezione, con chi?
Massimo Spano è arrivato a farmi piangere pur di stimolarmi; oppure Silvio Orlando quando mi ha chiamata per sostituire Marina Massironi in La scuola (a teatro): tutte le sere arrivava da me e analizzava ogni passaggio, ogni dettaglio; alla fine si è complimentato per il risultato. Io felice. Anche perché è un mostro di bravura.
Lei è un’artista?
Non mi ci sono mai sentita.
Proprio mai?
No. È una cosa brutta? Devo parlarne con l’analista?
Ha la sindrome dell’impostore?
Ma de che! Tutto quello che ho realizzato me lo sono guadagnato; (cambia tono) quando mi chiamarono per il provino delle Ragazze di piazza di Spagna, la mia agente fu chiara: “C’è la raccomandata…”. Ci andai lo stesso, e José María Sánchez fu super (il regista). Qualche giorno dopo fu proprio José a chiamarmi.
Altro che raccomandata.
Su quel set ce n’era più di una.
Un classico.
A quel tempo sì, non so oggi.
Il picco di fama.
Con Sanremo: un’esplosione, e avevo trent’anni.
Ha visto i cantanti dare le testate per il nervoso?
Lì no, le scene più assurde le ho vissute ai Telegatti: gente che protestava per un elicottero mancato o altri gesti d’isteria.
Al Festival eravate lei, Baudo e la Arcuri. Andavate d’accordo?
Con Manuela mica tanto, si vedeva. E Baudo aveva una passione per me: lo devo ancora ringraziare; (ride) entrava nel camerino e mi sollevava l’umore con “sei prima negli indici di gradimento”, come a dire “tifo per te”.
Contenta la Arcuri.
Arrivava perennemente tardi alle prove, si comportava da diva, magari alla fine della cena se ne andava senza pagare, nonostante avessimo tutti la diaria; una sera Gino Landi (coreografo e regista, ndr) si è veramente incavolato.
Baudo professionista assoluto.
Un gran signore, l’ho amato; quando mi ha chiamata per Sanremo gli ho risposto: “Non sono in grado”. E lui: “Non ti preoccupare, ci penso io”. Poi nel momento in cui stavo per uscire dal colloquio, entrava la Arcuri, allora mi ha chiuso in uno stanzino perché non ci dovevamo incontrare.
A Sanremo si è divertita?
L’ho vissuto con ansia, avevo paura di tutto a partire dalla conferenza stampa della mattina. C’era un’esposizione mediatica pazzesca, inedita; mi è servito tanto il truccatore, Marco Terzulli, che abbassava i toni, mi consigliava. Ricordo un’intervista “a due” per le Iene, io e la Arcuri, e proprio Marco mi ha consigliato di ribaltare l’immagine angelica, di recitare la parte della porca. E lì dissi di tutto, anche di rapporti sessuali a tre.
Va bene, si è divertita.
Come una fan ho assistito a tutte le prove dei cantanti, affascinata da Patty Pravo; Gino Paoli mi fermò: “Conosco tuo padre”.
Era vero?
Sì, papà muratore gli aveva realizzato il bagno.
Nel curriculum ha pellicole erotiche.
Graffiante desiderio! Ecco, questi sono stati i miei unici compromessi, quelli di pellicole osé in cui ho mostrato il seno e il sedere; lì discussi con il regista, Sergio Martino, perché in una delle tante scene di nudo, voleva che uscissi dalla vasca e restassi senza nulla addosso per un tempo interminabile, fino alla scena di sesso vera e propria. E io: “No, almeno l’accappatoio”. “No, nuda sgocciolante! Io sono un regista e so come vanno certe cose”. “Io sono una donna e se devo farlo rizzare è meglio un vedo e non vedo”.
Alla faccia della timidezza.
Ho vinto io.
Le scene di nudo sono kriptonite per molte attrici.
Mi tranquillizzava la presenza della troupe; (sorride, assai) per la scena di sesso con Andrea Roncato ho preteso che ci impacchettassero.
Che vuol dire?
Le parti intime incerottate per evitare contatti eccessivi.
In carriera ha pronunciato molti “no”?
Rispetto al discorso iniziale della prezzemolina, forse oggi mi sottrarrei di meno: il presenzialismo è quasi doveroso. Però non ho rimpianti.
Oltre a Baudo, mi dica chi in questi anni l’ha colpita o stupita.
Giorgio Armani: un mito. Una persona unica. C’è chi lo definisce severo, ma credo sia parte di un percorso.
Incute timore.
Inizialmente. Ma la prima volta che ci siamo incontrati, dopo poco, me lo sono trovato sdraiato a terra che prendeva l’orlo ai miei pantaloni per Sanremo.
In difficoltà.
Per forza!
Lei chi è?
Non lo so, vado in analisi per capirlo.