Il Messaggero, 10 novembre 2024
Cantautori da supermarket
«Ma non lo vedi come passa il tempo, come ci fa cambiare?», cantava nel 1996 in Battere e levare. A riascoltarle oggi, mentre la sua Sempre e per sempre impazza in tv come colonna sonora di un nuovo ed efficacissimo spot, dopo che quest’estate aveva gia “ceduto” La storia, quelle sue parole suonano tristemente profetiche. E così dopo aver duettato con Fedez sull’abusatissima Viva l’Italia, essere andato ospite a X Factor e aver giocato con Checco Zalone, ora Francesco De Gregori infrange anche l’ultimo dei suoi tabù da (non più) Principe: lasciare che le sue canzoni facciano da sottofondo sonoro alle pubblicità. Ironia della sorte, in Sempre e per sempre canta: «Tu non credere se qualcuno ti dirà che non sono più lo stesso ormai». E chi glielo spiega ai fan, che anche sui social sono sul piede di guerra? «Sono vilipendio alle canzoni che portiamo nel cuore. Non mi piace questa mercificazione dei miei sentimenti», «Credevo che De Gregori non volesse dare consenso per l’uso delle sue canzoni negli spot: evidentemente qualcosa è cambiato». Sono solo alcuni dei commenti dei fan. Non che quelli di Ligabue siano più teneri: il rocker di Correggio, che agli esordi si fece cantore della provincia operosa e operaia emiliana, ha ceduto la sua Siamo chi siamo per il lancio di una nuova auto. Ma a differenza di quelli di De Gregori sono abituati a mosse del genere da parte del loro idolo: era il 2006 quando Ligabue diede il suo assenso all’utilizzo di Happy Hour in uno spot di una società di telefonia e nel 2019 fece il bis con Certe donne brillano. Antonello Venditti non fu contentissimo quando nel 2016 una parodia della sua Ci vorrebbe un amico finì in uno spot di patatine, ma alla fine cedette perché – disse – «sorridere fa sempre bene». Vabbè. Jovanotti cadde nella trappola degli spot all’inizio della sua carriera, quando nel 1989 prestò il proprio volto a una marca di merendine e nel 1990 a un videogioco: poi ci ha ripensato. Di De Gregori, invece, non si ricordano operazioni simili, prima di oggi. E la deriva commerciale del 73enne cantautore romano spiazza. Se non altro perché non si parla di un Fedez o un Ghali qualunque, per citare solo due degli artisti di nuova generazione che non si sono tirati indietro di fronte all’opportunità di monetizzare tramite le pubblicità (gelati e bibite gassate il primo,società di telefonia e fast food il secondo), arrivando a citare i marchi anche nelle canzoni, ma di un artista al quale gli italiani devono un patrimonio collettivo di immagini, suggestioni e ricordi. Non si tratta di fare i bacchettoni: ma ne valeva davvero la pena di associare piccoli grandi gioielli emotivi ad altro? Forse, banalmente, in questa fase della sua carriera non vuole fare come il Bufalo Bill della sua canzone, che rievoca i tempi gloriosi del West. Oppure s’è messo in testa di seguire le orme del “maestro” Bob Dylan, che vent’anni fa fece stracciare le vesti ai suoi, di fan, quando prima cedette The Times They Are A-Changin’ per uno spot di una bancae poi comparve in carne ed ossa in uno spot del marchio di biancheria intima.Dylan, peraltro, ha fatto anche di peggio: ha ceduto i diritti delle sue canzoni a un colosso della discografia, che per 300 milioni di dollari nel 2020 si è assicurata la possibilità di poter sfruttare capolavori da Nobel come Blowin’ in the Wind o Knockin’ On Heaven’s Door a proprio piacimento: molti dei suoi brani saranno inclusi nel film sulla vita del cantautore diretto da James Mangold con Timothée Chalamet, mentre Meet Me in the Morning è finita nella serie Netflix Eric. È il destino al quale sembrano andare incontro anche i brani di Bruce Springsteen (diritti ceduti a Sony nel 2021 per 500 milioni di dollari) e dei Pink Floyd (400 milioni di dollari sborsati da Sony per ottenere i diritti di sfruttamento di inni del rock come Wish You Were Here, Another Brick in the Wall e Time).«Non canto per la Pepsi, non canto per la Coca-Cola, mi renderebbe un buffone», cantava Neil Young nel 1988 in This Note’s for You, ma due anni fa poté fare ben poco quando la Nbc mandò in onda uno spot per pubblicizzare un match di football americano con la sua Old Man: un anno prima il cantautore canadese aveva ceduto la metà dei diritti delle sue canzoni al fondo d’investimento Hipgnosis per una pensione d’oro da 50 milioni di dollari. C’è chi dice no. La citazione non è casuale. Nel 2006 Vasco Rossi decise di dire basta all’utilizzo delle sue canzoni in spot pubblicitari, pentito delle scelte fatte fino ad allora concedendo Senza parole e Rewind a un marchio automobilistico: «Ho sbagliato. Ora sento la necessità di proteggere le mie canzoni e ho scelto di non vendere i miei sogni, che poi sono anche quelli dei miei fan».